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Title: Storia universale del canto, Vol. II (of 2)
Author: Fantoni, Gabriele
Language: Italian
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*** Start of this LibraryBlog Digital Book "Storia universale del canto, Vol. II (of 2)" ***
VOL. II (OF 2) ***


                           STORIA UNIVERSALE
                                  DEL
                                 CANTO


                                   DI
                            GABRIELE FANTONI

       Dottore e Cavaliere di più Ordini, Membro di RR. Accademie
                  e di Istituti Nazionali e Stranieri
                           Notaio di Venezia.

                                VOL. II.



                                 MILANO
                      NATALE BATTEZZATI — EDITORE
                                 1873.
                          PROPRIETÀ LETTERARIA



            Diritti di traduzione e riproduzione riservati.

                     Milano, 1873. — Tip. Commercio



PARTE NUOVA.



III.


_Continuazione sui Metodi e sulle Scuole. — Norme
didattico-fisico-speculative. — Metodi artistici. — Metodisti
moderni. — Sistemi. — Conservatorj. — Cappelle. — Loro decadenza. —
Osservazioni. — Esempj. — Giudizj._

Fu allorquando si cominciò trattar l’arte, non pel ministero servile
della voce soltanto, ma per quell’alta speculazione voluta, come
dicemmo, da Boezio, che la Scuola avea dovuto levarsi allo splendore
che il vero suo spirito ne disvela: ed ecco quel trattatista, già sopra
accennato, che possiede la scienza per la pratica e pel sentimento;
e che ancora in oggi può dirsi primo de’ metodisti al perfezionamento
rivolti.

Intorno al 1740, cantava ed insegnava in Roma Emanuele Garcia, detto
anche Garzia o lo _Spagnoletto_, perchè oriundo d’Iberia; cantava
le arie del Galuppi e del Porpora, e insegnava alla bella Catterina,
figlia al cuoco del principe Gabrielli, dal quale ebbe il nome, fatto
più chiaro dal suo canto.

Pare che da quell’organo prodigioso di voce della Gabrielli, ispirato
dal più vago capriccio, traesse il Garcia serio argomento alle sue
speculazioni. Avea inoltre da studiare negli emuli Pacchiarotti e
Marchesi, coi quali la Gabrielli rapì Europa intera alla ammirazione e
non fu da lor superata.

La seguì a Lucca, dov’ella cantava la _Sofonisba_; a Vienna, dove
Metastasio la introdusse alla corte per la sua _Didone_; a Palermo,
dove per un pranzo del Vicerè non accettato, la capricciosa fu
carcerata; in Russia, dove la Gabrielli chiese a Catterina II.
10,000 rubli all’anno, e all’osservazione della imperatrice, che
non dava tanto ai suoi feld-marascialli, quella rispose, che i suoi
feld-marascialli facesse cantare.

Garcia potè educare nella propria carriera il figlio che portò il
suo stesso nome, questi pure dotato di disposizioni eccellenti per la
bell’arte; trasfuse in lui le pratiche sue cognizioni, non senza far
di pubblica ragione però alcune buone norme e classici esercizj[1]. Il
degno figlio ed erede de’ pratici e speculativi studj paterni, trovò
per singolare fortuna altro condegno modello onde meglio approfondare
le sue osservazioni, da poterle poi esibire come il più fondato e
completo sistema d’insegnamento.

Emanuele Garcia figlio, divenia padre in Parigi nel 1808 di Maria
Felicita, che fu poi la Malibran. Quel mostro canoro che, seguendo la
famiglia paterna in Italia, a soli cinque anni, sostenne al teatro
Fiorentino di Napoli, a mente, la intera parte del fanciullo nella
_Agnese_ di Paër; e che al suo terzo lustro, non sentì più bisogno
dell’istruzione paterna nella bell’arte, e s’abbandonò ai proprj
slanci naturali ispirati dal genio. Garcia studiò i confronti nella
Pasta, che non meno brillante carriera della figlia iniziava a Londra;
studiò i prodigiosi artifizj vocali del musico Veluti, le cui lezioni
disputavansi le ricche e capricciose figlie della metropoli; e qui si
decise aprire una nuova scuola di canto (1824).

Con basi così potenti, quest’era la vera scuola pratico-speculativa; e
a suo monumento, il figlio dello Spagnoletto, e padre alla Malibran,
diè quel trattato che lascia poco da aggiungere agli odierni nostri
maestri, e che si può ritenere ancora realmente quale l’autore lo ha
intitolato: _Trattato completo dell’arte del Canto_.

A prefazione del metodo pose il Garcia alcune parole che servono
a schiarimento intorno allo spirito del suo lavoro, e che spargono
qualche luce sulla storia di questo pratico insegnamento.

«Sarebbe cosa interessante il conoscer l’andamento che tenne l’arte
del canto dai tempi più remoti fino a’ dì nostri; e principalmente
piacerebbe lo studiare ne’ suoi dettagli il metodo, d’insegnamento,
seguìto nei secoli diecisette e dieciotto dalle scuole dei Fedi, di
Pistocchi, di Porpora, d’Egizio, di Bernacchi ecc.... che produssero
tanti e sì belli risultamenti. (Uscirono da queste scuole gl’illustri
cantanti, Ferri, Farinelli, Conti, Raff, Bernacchi, Tosi, ecc.)

È però una sventura che quest’epoca non ci abbia trasmesso sulle sue
tradizioni fuorchè documenti vaghi ed incompleti. Le opere di Tosi, di
Mancini, i lavori di Herbst, d’Agricola, qualche passo sparso qua e là
nelle storie di Bontempi, di Burney, di Hawkins, di Baini, non danno
che una idea approssimativa e confusa dei metodi professati in quei
tempi.

Figlio d’un artista generalmente stimato come cantante, e per la
meritata rinomanza di molti fra i suoi allievi (Maria Malibran, Adolfo
Nourit ecc...) commendabilissimo come maestro, io ho riunite le sue
istruzioni, frutti d’una lunga esperienza e del più squisito gusto
musicale. È dunque il suo metodo che io qui riproduco, che soltanto ho
procurato di ridurre a forma più teorica, e di rannodarvi gli effetti
alle cause.

Siccome poi in ultima analisi tutti gli effetti del canto sono
il prodotto dell’organo vocale, così ne sottoposi lo studio alle
considerazioni fisiologiche. In conseguenza di tal metodo, io giunsi
a riconoscere il numero preciso de’ registri, e la vera estensione
di ciascuno; ho potuto determinare i timbri fondamentali della voce,
il loro meccanismo, e i loro caratteri distintivi, i diversi modi di
eseguire i passi, la natura ed il meccanismo di trilli ecc...

Io sono persuaso che l’insegnamento riguardato in questa maniera, debba
riuscire nel suo tutto più preciso e più completo. Tutti gli effetti,
sia che appartengano ad una esecuzione particolare della melodia, sia
che dipendano dal timbro speciale impresso alla voce dalla passione,
sia finalmente che risultino da un accento qualunque, possono essere
analizzati e trasmessi sotto una forma sensibile.

Per applicare in modo logico la teorica così concepita, è mestieri,
secondo la nostra opinione, isolare la difficoltà e far di ciascuna
l’oggetto d’un lavoro speciale. Nella prima parte di quest’opera sono
indicati gli esercizj proprj a formare ed a sviluppare la voce. Nella
seconda farò l’applicazione di questo primo studio alla pronuncia,
all’arte di fraseggiare, al colorito delle passioni, ai varj stili
ecc...

Forse qualcuno s’attende a trovare in questa opera de’ vocalizzi;
l’uso dei quali ci è ben noto essere antichissimo e quasi generale al
presente. Se però noi li abbiamo esclusi da questo metodo ne fu cagione
il non aver essi più, secondo la nostra scuola, quei vantaggi che
porgevano altre volte ed il condurre che fanno ad inconvenienti che gli
antichi metodi sapevano prevenire[2].

I vocalizzi sono melodie senza parole che offrono all’allievo la
riunione di tutte le difficoltà del canto. Questo esercizio suppone
che l’allievo sappia già posar la voce, renderla pura, uguale, intensa,
unire i registri, variarne i suoni, comandare all’emissione del fiato,
eseguire le scale, gli arpeggi, i trilli, i mordenti, e per dirla ad
un tratto, ch’egli possieda tutte le qualità del cantante, eccettuata
soltanto la pronuncia. Tutte queste parziali difficoltà amalgamandosi
nei vocalizzi confondono e trattengono per molto tempo l’allievo.
Qualcuno dirà, è vero, ch’egli può insistere isolatamente su quella
parte che lo imbarazza; ma ciascuno di questi inciampi si rannoda ad un
complesso di difficoltà della stessa natura che avrebbero dovuto essere
anticipatamente e separatamente l’oggetto d’uno speciale esercizio. Il
trillo, per esempio, invece d’essere studiato in una frase particolare,
dovrebbe esserlo dapprima da sè solo e in tutte le sue forme diverse,
e questo studio ne preparerebbe per certo l’applicazione a tutti quei
passi in cui esso venisse ad offrirsi. Principiando in tal guisa si
avrebbe guadagno sul tempo e si otterrebbero risultamenti più estesi
e più completi. Ecco i motivi che ci hanno fatto preferire il metodo
analitico al sistema contrario più generalmente adottato.»

Il Garcia quindi, con quella concisione propria ai savj istitutori,
affinchè gli allievi ancora inesperti non vadino naufragando nelle
confusioni, riduce principalmente i suoi argomenti, allo _Stile del
canto_ ed alla _Educazione dell’organo vocale_.

E veramente in quest’ultima materia diè saggi di una sperienza non
comune e di osservazioni diligentissime. Inventò il _Laringoscopio_.

Egli descrisse poi, quanto si può meglio, l’Apparecchio vocale:
apparecchio complicatissimo che dipende da quello della respirazione e
della voce, funzioni intimamente legate.

Presentò anche una _Memoria sulla Voce_ umana all’Accademia delle
Scienze in Parigi (16 novembre 1840). La Commissione eletta a riferire
intorno a quella Memoria venne formata dai signori Megandie, Savart,
e Dutrochet; i quali se inoltrarono in essa seriamente i loro studj,
non giunsero però a dare un risolutivo giudizio; e conchiusero la loro
relazione del 12 aprile 1841, col dire che: «la teoria della formazione
e variazione de’ suoni per mezzo dell’organo vocale umano è ben lontana
dall’essere completa; non essendosi neppure d’accordo sul genere
di strumento a cui possa essere comparato.» Piacque a quasi tutti i
fisici considerarlo siccome del genere degli strumenti a fiato, nei
quali il suono producesi per le vibrazioni di alcuni corpi solidi ed
elastici. Solo il Savart paragonò l’organo vocale umano agli strumenti
de’ cacciatori che si servono per imitare il canto degli augelli,
del genere dei flauti, in cui il suono non è prodotto se non dalle
vibrazioni dell’aria che percuote sulle pareti d’una cavità, o che si
rompe sul tagliente di un’ugnatura.

Ben si sa come Roberto Schumann, fra i suoi primi precetti musicali,
richiamasse la riflessione continua de’ musicisti ai suoni prodotti
dalle campane, dai vetri delle finestre, dal cuculo, ecc., consigliando
a sforzarsi di conoscerne le qualità, di coltivare l’orecchio a
discernerli, la voce a imitarli. (Sperimento già usato spontaneamente
anche dal Rameau). Egli soggiungea: «Fatti per tempo una chiara
idea della umana voce nelle sue quattro principali specie; osservala
specialmente nel coro; indaga in quali intervalli sta la sua maggior
forza, in quali altri si può adoperare con flessibilità e dolcezza.»

Vedemmo gli antichi tutti ignari anch’essi, od incerti sulla teoria
della formazione e variazione della voce umana, fermare le loro
osservazioni in sugli effetti meglio che sulle cause.

E credo che anche il Garcia basandosi agli effetti abbia potuto bensì
studiarli, provocarli, confrontarli, imitarli, modificarli; ma non
s’abbia potuto mai rendere ragione del perchè le estese e acute note
della Gabrielli non potessero essere eseguite da altri, se non fosse
un violino abilissimo; e la Catalani sia riuscita appena a imitarle;
del perchè la voce di petto nella Malibran toccasse la tredicesima,
la massima estensione che voce di donna ha raggiunto; del perchè il
timbro della Pasta, dapprima aspro e velato, siasi spiegato con tanta
sonorità; mentre le rimaneva invincibile la difficoltà delle scale
ascendenti; ed il trillo in lei ritenuto impossibile, dopo dieci anni
di celebrata carriera, improvvisamente siasi permesso alla sua voce, la
sera del 15 novembre 1830, nel teatro italiano di Parigi, in cui con
istupore generale, nuovamente, la cavatina del _Tancredi_ brillò d’un
_trillo a inflessioni_ magnifico.

E chi avrebbe potuto spiegare le cause per cui la Sontag e la Persiani
s’impadronirono con lunghi studj del _re e_ del _mi^b_, mentre la
Demeric alla sua prima comparsa (1819) emise il _fa_, con incomparabile
bellezza e purezza di voce?

Come trovare l’origine del re gigantesco di Lablache; e del sol
nell’ottava sotto ai bassi ordinarj, con cui il russo Yvanoff
discendeva a un registro ignoto ai cantanti?

Da che, la _segnalata organizzazione_ con registro percorrente tre
ottave, d’Hitzinger, Duprez, Rubini, principi fra i tenori?

Per sì mirabili effetti Garcia potè fare vaste osservazioni e fissare
norme utilissime. Definì anche esattamente alcune modificazioni
della voce, e ne trovò le corrispondenti immagini e le artificiali
imitazioni.

Dimostrò, per esempio che, «il _Trillo_ avviene da un movimento
oscillatorio nella laringe, non dissimile a quello d’uno stantuffo
moventesi nel corpo di una pompa; e si opera nella faringe che serve di
inviluppo alla laringe.» Nei rossignoli, trovò l’esempio più perfetto
di questo fenomeno. Trovò il trillo artificiale in quello ottenuto
agitando esternamente la gola coi diti.

Studiò il _Timbro_, e lo definì «quel carattere proprio e variabile
all’infinito, che ogni registro ogni suono può prendere, fatta
estrazione dalla intensità.» Quindi _timbro aperto_, come dicesi in
Francia, quella _voce bianca_ che gl’italiani danno alle donne ed ai
fanciulli; timbro _chiuso_ alla _voce mista_.

Ridusse a due soli i _Registri_ possibili, quello _di petto_, e _di
falsetto_: escluse i così detti _appoggi_.

Asserì che non sarà mai cantante _chi non sa rendersi padrone del
proprio fiato_.

Anch’egli trovò solfeggi da esercitare efficacemente gli organi vocali,
accogliendone alcuni paterni, ricordando quelli del Panseron e di altri
sperimentati maestri.

S’attenne altresì ai trovati ed ai giudizj di alcuni pratici
celebrati; e ritenne col Veluti che l’_Eco flautato_ (filatura) _riesca
coll’ingrandire tutto l’arco di dentro_.

Disse _Vibrazioni_ di voce, que’ suoni filati con inflessioni eguali
di forze e di durata, il di cui effetto Catruffo nel suo metodo di
vocalizzo indicava col mezzo di sincopi.

Sulla così detta voix _sombrée_ s’attenne allo studio fisiologico
relativo dei signori Diday e Pétrerquin; e chiamò _registro di
contrabasso_, questo suono straordinario assai basso e rauco, simile al
grugnito d’animale. Registro di voce umana, inferiore per la gravità
dei suoni alle note più profonde che possano prodursi da un basso
in voce di petto; che s’impiega in Russia nei canti religiosi; voce
portata in Francia nel 1837 da un artista teatrale italiano; e di cui
ne diede contezza ai fisiologi, per primo, il dott. Bennati.

Ritenne anche Garcia, come il Lichtenthal, che l’_appoggiatura_, e
quella specialmente ripetuta o doppia, debbasi al Pacchiarotti, con
altri abbellimenti e fioriture registrate nell’opera del Calegari.
(Vedi retro, vol. I, p. 158.)

Ottemperò i fondamentali suoi giudizj intorno alla voce umana agli
antichi dettati di Aristoxene, e alle recenti ricerche del fisico e
letterato Dodart[3].

Con tali e simili osservazioni, offerse poi un buon sistema educativo
per ogni voce, emendando il difetto lamentato da Rousseau nei maestri
francesi, di non distinguere le voci e non appropriarvi speciali
esercitamenti, a scapito della lor musica; e compendiando i varj metodi
che a seconda delle proprie voci e delle speciali sperienze alcuni
celebri artisti moderni avevano dati separatamente a guida dei nuovi
cantori, com’erano gli esercizj proposti da Lablache o da Rubini[4],
atti soltanto alle voci che alla natura e carattere delle loro
rispettivamente tenevano.

In omaggio però alle storiche ricerche ed al vero, devesi ricordare
che altri zelanti cantori e maestri italiani tentarono non solamente di
dar qualche regola per la educazion della voce, ma di scrutare le cause
vocali e porgerne le scoperte.

Fra i primi, quel fantastico genio e appassionato cantore che fu
Gaetano Donizzetti. Questi, che nella prima gioventù parea chiamato
alle genialità del disegno ed alle armonie dell’arte della sesta, passò
a quelle della bell’arte sorella, cantando con gusto particolare, come
già quasi tutti i compositori italiani cominciarono la lor musicale
carriera; e si occupò d’una maniera tutta speciale del meccanismo della
voce umana. Su questa grande e misteriosa architettura eresse anche
un lavoro, ch’egli pure, quasi contemporaneamente a quello del Garcia,
indirizzò all’Istituto di Francia.

Quivi, dove gl’italiani maestri per tanto tempo ricorsero quasi al
battesimo del buon gusto e della scienza, porgendo fatalmente lo strano
spettacolo di cercar essi maestri i giudizj dei discepoli e degli
allievi, per quell’aura orgogliosa e suprema di cui questi nell’altrui
decadenza aveano saputo circondarsi; in Francia dico, fu ammirato
e rimase più noto il lavoro del Donizzetti di quello che nella sua
patria; perfino si pretese da alcuni, che di non pochi materiali di
quel suo trascurato edificio, il prefato Garcia, per riverenza o per
astuzia, abbia il proprio arricchito.

Anche Pietro Generali lasciava un metodo per apprendere il bel canto, e
parecchi solfeggi utilissimi.

Anna Maria Pellegrini-Celoni di Roma, una _Grammatica_ o regole di ben
cantare; ed ivi pure la _Grammatica melodiale_ di Francesco Rossino,
1793.

Il maestro Albanese prescrivea utili norme ai suoi allievi di canto
per lettere (1773), alcune delle quali furono pubblicate nel 1850 da
periodici d’arte.

Savinelli lasciava esercizj noti ai vecchi cantanti, non men di quelli
di Rubini e di Generali.

Asioli fra i parecchi suoi trattati d’armonia, dettò _Principj
elementari_ che furono adottati dall’Istituto di Milano, e furono
imitati da altri, quali il Cajani, il Cattaneo[5], il De Marchi.

Vitali Geremia intese a riformarli (Milano 1850).

Recentemente il Parisini li estese in forma più analitica e storica,
e ottenne al suo lavoro l’approvazione pei licei musicali d’Italia in
sostituzione all’Asioli[6].

Picchianti parlò di canto ne’ suoi _Principj generali e ragionati della
musica teorico-pratica._ Milano 1830; ed ivi, Reicha Antonio, nel suo
_Trattato di Melodia_ 1841[7].

Guido Cimoso padre, di Vicenza, nel «Trattato element. di Musica, ossia
Principj element., seguendo il metodo di Bonifacio Asioli aggiuntevi
alcune annotazioni necessarie nello studiare quest’arte, ad uso
de’ suoi allievi ed a chi volesse approfittarsene, con sette tavole
relative» (Vicenza, tip. Picutti 1828, in 4.º).

Anche Gianelli Pietro, analogo trattato grammaticale dava in Venezia
nel 1820, seguito da un dizionario; e un _Sunto teorico_, Sartorelli
Alessandro, 1836. Massimino, a Milano nel 1846.

Paragoni storici delle Musiche e de’ loro sistemi, osservazioni e
provvedimenti al loro progresso, avemmo poi da Perotti Gian Agostino,
1811-12; da Mayer Andrea, Padova, 1821; e quivi poscia da Zacco, 1855;
da Revoire Lorenzo, Milano 1833; da Hogart Giorgio, ivi tradotto 1836;
e da Ancini Pietro, che trasse il suo ragionare da Martini, Kircher, e
d’Alembert (Milano 1826).

G. A. Villoteau ricercò _sull’analogia della musica colle arti_, Parigi
1807; Pier Francesco Tosi osservò _il canto figurato sulle opinioni
de’ cantori antichi e moderni_ (Venezia); e Saverio Mattei ponea le
sue _Probole se i Maestri di Cappella son compresi fra gli artigiani_
(Napoli).

Il dottor Bennati medico, lasciò una memoria sulle cause vocali e sul
relativo esercizio, poi convalidato da una scuola pratica, in occasione
del XI. Congresso medico a Vienna nel 1831.

A Milano, Tettamanzi Flaminio dava nuove _Teorie pel canto fermo_,
1832; Luraschi Gaetano altro metodo per tale canto, 1840; ed altro,
Macchi Giovanni, 1845; Gambale Emanuele le sue _Riforme_, 1840;
Catruffo G. _Nuovi vocalizzi_.

De Garaudè Alessio un suo completo metodo di canto pei fanciulli.

Basevi ragionava degli effetti fisici, 1838; Boucheron dei filosofici,
come a lui piacque chiamarli, 1842; e in quella gran sede musicale,
nuovi saggi cantabili, ad istruzione e diletto, veniano dati dai due
celebri tenori Crescentini[8] e Crivelli; indi da Moretti Luigi, Nava
Antonio, Rabitti Luigi, Ubaldi Carlo, Biava Samuele (1838).

Lauro Rossi pubblicò a Milano nel 1858 una _Guida di Armonia pratica
orale_. Indi, Enrico Boucheron, il _Corso completo di canto_.

Antonio Leoni un _Breve Metodo di canto corale_, per la r. Scuola
milanese, ove le belle tradizioni degli asili dell’arte egli insegna.

E quivi nuovi studj ed esercizj _per la Divisione_, ed a voci di
soprano, tenore e contralto, del Bona; per baritono e _per tutte le
voci_, del Nava; in genere, del Varisco, del Consolini, del Perelli,
del Mazzucato, e d’altri maestri.

Ultimamente alla _Scuola Corale_, considerata anche come arte
educativa, Giovanni Varisco porse nozioni tecniche ed esercizj
(Milano, 1872); ed Ernesto Panofka espose in francese idioma
(Firenze, tip. Cellini 1872), tradotto subito dal Meini, 28 Capitoli
di _Considerazioni generali sulla voce e sull’arte del canto_, dove
esamina l’organo vocale dallo stato suo naturale _sano e forte_, fino
al suo educamento alla vera arte, senza _sforzo_ e _imitazione_, per le
quali esagerazioni specialmente avverte la cagione e i fenomeni della
decadenza vocale; consiglia i mezzi ad evitarla, e quelli in pari tempo
valevoli a migliorare l’insegnamento[9].

Ermagora Fabio, maestro di canto a Venezia, fornì di suo metodo un
nuovo istituto musicale privato (Camploy), autorizzato dal Governo nel
1838, che però presto si spense. Indi Plet Luigi nel 1852.

Gervasoni Carlo parimenti diede un metodo alle scuole di Piacenza e di
Parma, 1800-12; Venturini, a Bassano 1820; Adriano Balbi, autore della
_Grammatica ragionata_, a Padova.

Francesco Canneti a Vicenza; Masutto Giovanni a Treviso; Baldissera
Giacomo a Polcenigo, colle Composizioni ginnasiali e corali; Benelli e
Vivaldo Vivaldi, diedero le _Teorie elementari_; e Vitangelo Nisio la
_Grammatica facile_ alle scuole primarie.

Salvatore de Castrone-Marchesi, nella scuola di canto da lui diretta
al conservatorio di Colonia, sperimentò i suoi eccellenti _Vocalizzi
elementari progressivi per unire l’articolazione alla vocalizzazione_
(Milano, per Lucca, 1870) che furono ritrovati utili a ridestare quelle
purtroppo obbliate leggi di saggia economia nella emissione della voce,
delle molteplici sue sfumature, dell’uso dei differenti registri, della
spontanea _morbidezza_ d’esecuzione.

Vaccaj scrisse il _Metodo pratico del canto italiano per camera_;
nell’intento di renderlo più famigliare, e ricondurlo siccome
maestro di civiltà nelle modeste pareti d’onde esso canto era uscito
d’infanzia.

Luigi Felice Rossi, uno di _Lettura musicale e canto_, a Torino, 1834.

Francesco Zingarle, altro _metodo di canto elementare_, a Trieste, 1869.

Platania parimenti a Palermo.

Corinno Mariotti, _Norme pel canto popolare onde renderlo efficace_,
Torino 1870.

Beniamino Carelli, _Sull’arte del canto_, intitolò una parte,
_Cronaca del respiro_; trattò l’_anatomia della gola_; il _danno
dell’accompagnamento_: alcuni _Consigli ai Cantanti_ dalla voce
alterata o stanca, seguiti da analoghi esercizj, fanno completo il
trattato di igiene e di estetica musicale. Napoli (1871).

All’estero, fra i distinti maestri e metodisti, Francesco Dominga
Varalles de San-José, avea pubblicato per le scuole della Spagna e del
Portogallo, un _Compendio di Musica teorico-pratica_; Porto 1806.

L’inglese dottor Burney, che fin dal 1770 percorreva l’Italia per
raccogliere tradizioni e documenti, benchè non dasse nella sua _Storia
della Musica_, che una riproduzione di quella del padre Martini, sulla
quale specialmente s’era fondato, giovò non pertanto a diffondere i
principj della nostra Scuola anche per quanto al canto si riferiscono.

Il dottor Pietro Lichtenthal porgeva alle scuole austriache un nuovo
suo Dizionario musico con leggi pel canto, da Milano 1830.

Delle teoriche francesi di Galin — Paris — Chevé, e quindi d’Halevy,
specialmente rivolte a facilitare e diffondere il canto abbiamo
parlato, come pure del _Manuale completo di musica vocale e
strumentale_, di Alessandro Stefano Choron.

F. J. Fétis, direttore della cappella del re dei Belgi e del
Conservatorio in Bruxelles, erigendo il nuovo suo Dizionario _di
Biografie universali dei Musici_, che fece precedere da un breve
compendio storico della musica (1837), non mancava di dare le
sue opinioni sul canto. Ma in queste non fu sempre felice; fu più
che imitatore nella storia; inesatto nelle biografie e trascurato
specialmente per gl’italiani, onde il prof. Canal di Padova ad una
opportuna correzione s’accinse. Migliore, se non completa, è la _Storia
generale della Musica_ che imprese a pubblicare nel 1869 a Parigi, alla
cui continuazione desiderasi più imparziali e generali compilatori.

Allievo peraltro del Conservatorio di Parigi, e per elezione
classicista, Fétis fu più rispettabile pei suoi dettati sulla armonia,
di cui lasciò il _Trattato del contrappunto_; mentre fu poco amico dei
maestri e della musica italiana, benchè gli uni e l’altra abbia a fondo
studiati, onde talvolta ne fu savio critico e insieme archeologo, morì
a 87 anni nel marzo 1871.

Successe alla sua doppia cattedra altro belga distinto, il Gevaert.

Alla Danimarca, A. P. Bergreen dava un trattato istorico musicale,
relativo però più che altro alle terre Scandinave, sul quale
specialmente s’informano[10].

Al Conservatorio di Parigi, con eclettico sistema, insegnavasi colle
norme migliori di parecchi maestri; ma come da altri fu detto, mancava
sempre un buon indirizzo di canto dove il canto non era.

Lo stesso Garcia biasimava in quell’istituto la distruzione della più
bella melodia Cherubiniana, attribuita, a suo vedere, specialmente
all’ingenito difetto di _attaccare i suoni con portamento di voce
inferiore, che attira il biasimo dell’uomo di gusto_.

E attorno il tempo appunto de’ cennati metodisti e dei metodi chi
riuscirono più o meno completi, e più o meno accetti, per non parlar di
tanti altri che rimasero più o meno cogniti o fortunati, emergea quello
da noi osservato del Garcia a Londra insegnante.

Al quale, se pur non vuolsi accordare la efficacia di formare il
cantante, specialmente dopo i nuovi modi introdotti dalle moderne
declamazioni, gli si confermerà sempre il primato ne’ riguardi teorici
dell’arte; e resterà sempre la pratica più opportuna nei fisiologici
rapporti; onde il suo autore fu giustamente proclamato, sovrano
legislatore dell’igiene del canto.

Fatto non indifferente alla conservazion degli artisti, alla vita
dell’arte, al soccorso umanitario. Questione di perdita delle voci e
rovina degl’organi, o di rafforzamento vocale e sanità polmonare, alla
quale rivolsero speciale attenzione Crescentini, Busti, Aprile, Choron,
Chevé; Cuvier, che dovette il riordino del suo petto agli esercizj
della sua cattedra corale; Ferrein, Müller, Weber, Segond, Wrisberg,
Lichfeldt, Raffaello dottor Folinea, scrittori musicali; Lablache
Luigi, Panofka, Casamorta, maestri che propugnano l’utile ginnastica;
Mantegazza, che la prescrive per lo sperimento della propria fisica
debolezza vinta con regime analogo; Fantoni scrivente, che provò egual
giovamento; Carelli, che nella sua _Cronaca d’un respiro_, conchiude:
Vuoi star ben, canta bene.

Nè mal s’appone quest’ultimo scrittore, se in vista della infervorata
accettazione della bella scuola anche come metodo salutare, osa
avvertire a un’alba novella pel risorgimento del canto italiano.

Il professore di canto nel Conservatorio di Milano, Alberto Mazzucato,
voltò dal francese nell’italiano idioma il metodo del Garcia. Vi
premise alcune proprie osservazioni: confermando che — la formazione
della voce umana, e specialmente la modificazione della voce pel
canto, s’avvolse e s’avvolge tuttora nel mistero. — Lamentando quindi
il difetto dell’unità di insegnamento, così si esprime nella sua
prefazione:

«E chi trova giusto di rotondare, chi di quadrare la bocca, chi di
aprire sguajatamente le vocali, chi di chiuderle[11], a tale che
un povero allievo cui fosse venuto il grillo di cambiare più volte
d’_insegnatore_, anche passando da un reputato ad un altro più riputato
ancora, trovavasi ogni volta in uno ripetuto caos, se per non altra
causa, per la disparità che aveavi nel modo di far emettere la voce; e
non di rado avveniva che nello sforzo di ridurre a nuova forma l’organo
vocale vi perdesse anche la voce medesima. Nè parlo di ciò come di cosa
passata, che al giorno d’oggi pure non avvi maestro di canto, il quale
non abbia idee sue proprie e sì disparate dalle altrui, da sembrare
per sino, sarei per dire, non trattarsi dell’istessa materia. Non così
negli strumenti propriamente detti. Ivi la buona, la vera scuola è
una; ed ogni istitutore valente parte da un principio, che ad eccezione
di modificazioni lievissime è sempre lo stesso e s’accorda cogl’altri
tutti. Nè a modo d’esempio, un allievo di Rolla avrebbe dovuto rifare
intero lo studio ed anzi dimenticare come biasimevole il già fatto, se
posto si fosse in seguito sotto la scuola di Paganini.

Ben altrimenti nel canto, lo ripeto, dove, salvo rare eccezioni, ogni
maestro trova falso il metodo dell’altro maestro, e rimette il nuovo
allievo affatto ai principj, inculcandogli di dimenticare totalmente
i studj già fatti e i vizj nell’antecedente scuola appresi. E perchè
dunque? Per due ragioni: 1.º per _totale, o quasi totale ignoranza del
meccanismo e modo di agire dell’organo vocale_; 2.º per _ignoranza
delle differenti e rilevantissime modificazioni cui va soggetto
quest’organo dall’uno all’altro individuo_[12].»

Nell’importantissima osservazione dell’illustre Mazzucato con tanta
semplicità esposta, trovo purtroppo compendiata una dolorosa passione
ch’io medesimo ebbi a provare nella scuola genialmente invocata della
musica vocale; e riportate al vero le fiere vicende d’un tradito
educamento.

Altro che incolpare la musica della rovina dei cantanti! la musica
sente il danno de’ cantanti che si danno a lei rovinati.

Dai più abili insegnanti che non erano mossi nè da vanità, nè dallo
interesse, io appresi le prime norme del vocale educamento. La natura
prima e fedele maestra, m’avea lasciato poco da chiedere all’arte. Ma
l’idea della necessità della scuola e dell’utilità d’assiduo e regolato
studio, mi fe’ cercare e affrettare il possibile perfezionamento.

E come accade sovente pel concorso delle circostanze, o per l’avidità
d’apprendimento, da uno all’altro reputato maestro cercai tormento,
confusion, perdizione.

Un appassionato cantore, cui per poco avea sorriso il favor della
natura, e che in sè medesimo non avea saviamente osservato, mi spingea
ciecamente per la strada dove egli stesso era caduto.

Un teorico maestro faceami convinto ch’altro mezzo non m’avrebbe
giovato fuora di tal sistema che in questo e in quell’allievo mostrato
aveva i mirabili effetti, e che all’uno come all’altro dovea assicurar
la riuscita.

Consultato uno più pratico, da una sola udizione pretendendo aver
penetrato il mistero tutto d’una voce, giudicava subito di trattarla,
come da un’altra, fosse pure di natura opposta o derivante da organismo
assolutamente diverso, avea ricevuto o gli era sembrato ricevere
consimili impressioni.

Un amico artista dedito alle modulazioni ed alla agilità, inculcava
doversi attendere a questo studio, che non nuocerebbe alla sicurezza e
alla forza.

Un provetto declamatore insinuava la libertà e la manifestazion della
voce, nè mancherebbe poscia il suo abbellimento.

A Venezia un parere; un altro a Milano.

Lo sforzo continuo di riformare l’organo vocale pagavasi intanto col
tesoro della voce. Nella confusione ingenerata, per cui al paziente non
era ormai più possibile discernere la retta via, ammenochè lunga dimora
non s’avesse frapposta, ritenuta da altri anche questa nociva, io pur
ricordo una bella sentenza, che in questo argomento noto ad onore d’un
egregio maestro, men ch’altri superbo e vocicida.

Francesco Canneti di Vicenza[13], buon compositore per sapienza
cumulata al Liceo di Bologna, e insegnante il bel canto senza posseder
filo di voce, mi guidò qualche tempo nei vocali esercizj.

Dopo ch’io l’avea lasciato per attingere alla scuola lombarda ritenuta
superiore, reduce da questa, riferiva al primo maestro il consiglio ivi
suggerito di emettere la voce con intera apertura del petto e della
bocca, onde giovare alla sua forza, mentre il cantar sempre di petto
dovea costare meno fatica. Canneti si tacque.

Un dì mentr’egli accompagnava sul cembalo il mio canto, ad una bella
nota libera, forte, spontanea, si arresta, mi guarda, e mosso da
nobil’impeto mi dice:

«Siano pur queste note di petto, di testa, di gola, o come meglio
aggrada ad altri giudici il riguardarle; emettete sempre questo la
come vi dà natura, e sarà sempre nota bella e stupenda; e vel dica
il consenso non di chi quà dentro v’applaude, ma degli estranei e
meno periti che passando in fondo alla via v’odono anche da lungi, si
soffermano ed esclamano: che bella voce!....»

Altra volta, essendo io accompagnato d’altro bravo maestro, giovane
e ignoto, Luigi Facchin, con me amico al famigerato Apolloni, m’ebbi
richiesta da Gaetano Fraschini presente, che mi giovava di suo
consiglio, perchè spingessi a certi modi alcune note. Alla risposta mia
cònsona al vanto di elevato insegnamento, il grande tenore mi soggiunse
parole da farmi comprendere come il giovane panattiere di Pavia dai
modesti cori della sua parrocchia di San Feliciano avesse egli medesimo
insegnato al futuro suo maestro Moretti la guida per cui poscia a più
elevati voli dovea confortarlo.

Questo naturale supremo effetto, libero mistero della voce, aveano
fortunatamente compreso la cuciniera del Gabrielli, quando senza scuola
veruna e ottimamente, cantava le arie del Galuppi; la figlia a Garcia
quando ribellandosi anche agli insegnamenti del padre, s’abbandonava
ai proprj slanci naturali, ispirata dall’inclinazione e dal proprio
sentire per diventare la Malibran; il sarte e corista al teatro di
Bergamo, quando cantava il celebre Nozzari, che senza curar di imitarlo
e per cantar a modo suo, superò ogn’altra fama di tenore, e fu Rubini.

Si pretese poscia che le virtù di questo esimio potessero acquistarsi
seguendo il suo metodo di canto, se può dirsi metodo l’esercizio vocale
da lui lasciato nelle _Dodici lezioni di canto moderno_. Vana pretesa
in chi lo consiglia; illusione in chi lo adopra.

Rispettabili sono le lezioni di chi volle poco o nulla alle lezioni
altrui assoggettarsi: e tanto più in quanto che, per risonante che sia
il grido del cantante, diversamente da ogni fama, è destinato a perdere
in breve tempo l’èco che sparse, se l’artista non lascia più stabile
monumento.

Rubini, che ammirò il mondo della sua voce e della sua maniera di
canto, lasciò il più grande insegnamento nel nessuno sistema, e nelle
poche lezioni di vocale esercizio: ma lasciò la libertà, e il segreto
per conservare al cantante il tesoro della sua voce.

Questo lo insegnò tacitamente nella negazion del sistema; e lo espresse
nella sentenza che la tradizione ci serba a mirabile documento.

Allorchè prematuramente il più grande tenore francese avea terminata
la sua carriera, per aver sforzata la magnifica sua voce, l’incontrò
un giorno Rubini a Bruxelles, essendo reduce da Pietroburgo, e benchè
più attempato, pure nella pienezza ancora dei suoi mezzi. — Ebbene, gli
disse Duprez, tu canti ancora, ed io dovei ritirarmi (et moi j’ai du
mettre chapeau bas!...) —

— Eh mio caro, rispose il re dei tenori, _tu hai cantato col tuo
capitale, ed io canto cogli interessi_. —

Oh quanti di questo vero ebbero a fare fatale sperienza! E quanti
maestri non concorsero anche involontariamente a sacrifizj così
crudeli!

Sentite, sentite, a proposito di metodi e di insegnamento per il bel
canto, che cosa scrisse non ha guari un reputato critico, e consigliere
nominato e riconfermato a far parte nei giudizj accademici del r.º
Conservatorio di Milano, parlando appunto della scuola di canto ivi
pure famosa e parte d’uno degli Istituti musicali più importanti e
rinomati di Europa[14].

«Le due accademie finali al Conservatorio (settembre 1870) mi
suggerirono alcune serie considerazioni sui risultati degli studj
musicali in quell’importante istituto: queste considerazioni non
pullularono nella mia mente all’improvviso; esse si rinnovarono
con più tenace persuasione, e siccome sono verità mi sembra obbligo
indeclinabile il dirle, qualunque sia la mia attuale posizione nel
Conservatorio.

Premetto però ch’io non mi pongo fra coloro che trovano il
Conservatorio pessimo, che lo credono più dannoso che inutile....

Il Conservatorio rende incontestabili servigi all’arte, facilita
l’istruzione musicale, e non difetta che d’un buon indirizzo artistico.
La Musica nel Conservatorio la s’insegna bene, quanto alla sua parte
materiale e oserei dire meccanica; gli allievi di canto, anzi le
allieve, perchè i maschi brillano sempre per la loro assenza, quando
escono dal Conservatorio, cantano quasi tutte barbaramente, con
pessimo gusto e colla voce sciupata prima d’incominciare la carriera;
ma la musica la sanno per bene, e possono leggere a prima vista,
accompagnarsi sul cembalo, e mettere giù un basso correttamente....

Cattivo sistema di sommare insieme tanto gli studj musicali che gli
altri letterarj. Abbondanza di premj così badiale e stemperata, da
perdere ogni merito, ogni efficacia, e da sembrare veramente ridicola;
e mi basta citare quell’allieva diecenne di canto, che ebbe il gran
premio musicale! Premiata un’allieva di canto di dodici anni! con qual
voce? con quali speranze per l’avvenire?....

Sui risultati delle scuole di canto mi basti il dire, senza far nomi,
che ho udite voci guaste forse dai cattivi metodi, emissioni viziose,
canto senza grazia, senza eleganza, e senza giusta espressione.
Un’eccezione è la signorina Suardi ch’è un vero portento, con quella
sua cara vocina, quell’accento così giusto, quel fraseggiare così
elegante, e un’agilità, una nitidezza da canarino; questa piccola Patti
è allieva del Lamperti, ed è già scritturata a Varsavia, che sarà per
lei il principio d’una luminosa e fortunata carriera....»[15]

Così Filippo Filippi, nell’_Appendice_ della _Perseveranza_, 18
settembre 1870 N. 3909.

Nè io da questa libera e severa opinione prendo animo adesso a
censurare; chè, come sopra ho già accennato, ebbi campo ben prima
d’ora, a lamentare le conseguenze d’un malinteso sistematico
educamento, avendone provati pur troppo in me medesimo i tristi
effetti.

Nè serbar posso rancore alla scuola di Milano; se il mio povero collega
e concittadino Marco Viani, colto cantore egli pure, di bel tesoro di
voce egli pure da natura fornito, vidi dalla scuola di Venezia cogliere
i medesimi amarissimi frutti; se cent’altri dalle varie scuole d’Italia
e dell’estero, incolsero nella stessa sventura.

Nè tampoco questo torna a demerito de’ singoli insegnanti, maestri e
cantanti illustri per sè medesimi.

Non consento a fregiare interamente i maestri della gloria dei loro
allievi: addebito la colpa ai metodi ed ai sistemi impotenti a spiegare
ed informare i misteri delle umane voci, e tiranni quanto la moda.

A sfogo di questo dubbio da gran tempo in me ingenerato, che poi
fissossi nella mia mente come certezza, deponeva in altri miei
scritti alcune osservazioni, dalla sperienza appunto suggerite; colla
confidenza che il soldato in sul campo ferito, discorre e specula
intorno ai casi della battaglia.

Ho scritto nelle mie memorie: Devo rammentare, anche per la possibile
istruzione altrui, quanto sia difficile e raro un buono insegnamento
di canto, e adatto ai singoli individui che alla bell’arte si dedicano;
quanto sia facile di rincontro e frequente il perdere in questo studio
preziosi tesori, doni peregrini di cielo e gelosissimi.

Io sperimentai fra gl’insegnanti i meglio stimati in Vicenza, città
peraltro distinta anche nelle cose musicali, altri in Venezia, ed in
Milano; e posso asserire che se ciascuno di quelli potea incorrere
nella sorte di legare al suo nome fortunati allievi, nessuno potea
essere istitutore di canto.

E veramente parea che il destino volesse per le mie fatiche musicali
formare in me piuttosto un osservatore che artista; perocchè
attraversandomi quasi sul colmo ogni progetto, mi lasciava soltanto
dell’esperienza. È per questo, che non mi pèrito talvolta di levare
la voce in argomento, e che non rinunzio di poter discernere, e forse
meglio di qualche laudato professore od artista, sulla bontà e sulla
opportunità de’ mezzi che s’impiegano alla educazion delle voci, che
dovrebbero essere sempre variabili e relativi, mentre pur troppo li
vedo quasi sempre assoluti e sistemati. A sostegno della mia credenza,
che non è pretensione, basta ch’io indichi il fatto d’aver visto
ai miei tempi, epoca de’ canti Verdiani, tanti istitutori e molti
de’ grandi artisti impuntarsi a ritenere che una tale maniera di
scuola avuta buona per un individuo, oppure provata in loro medesimi
felicemente, possa e debba riuscire acconcia per ogni altro; e quindi
quasi tutti sovra ad un metodo, per formare, distruggere; non occupati
d’altro sui loro allievi che ad usare; a sforzare precipitosamente i
mezzi trovati; chiedere miracoli a lor modo pedantemente, dai metodi
scritti; ostinati a voler dalla natura quello che dovea porgere l’arte;
e non accordare all’arte i suoi riposi e quel tempo, senza i quali ella
non crea.

Quasi che gli artisti ambissero di goder negli allievi i loro
imitatori, anzichè lasciare alla natura il proprio sentire e le
spontanee sue forze; e quasichè i maestri avessero sempre a ricreare
in iscuola le loro orecchie, piuttosto che pazientare e stancarsi onde
preparare per gli altri.

Non è vero che natura sia avara di belle voci; ella facile le
dona. Raro è il mantenerle. La trascuranza, e i falsi sistemi ce le
disperdono. Non sono i modi Verdiani che guastano i cantanti: sono
i cantanti che si guastano, e i loro educatori che ne affrettano la
rovina.

In questi tempi di sconfinate idee, purtroppo notar si deve anche
una prodigalità di fiato, una esagerazione d’accento; il che pone in
contrasto forze, espressione, intonazione.

Se è ammissibile un sistema, soltanto quello provvido di Auber e
predicato da Rubini dev’essere: _Economia della voce_; la eccellente
regola nella difficil’arte.

Bella voce, buona attitudine, finita educazione fanno il cantante.
Quest’è la potenza una e trina al suo genio. Egli ha in sè il metodo
del sentimento. — Gli altrui insegnamenti s’aggiungono a conservazione
ed a fregio.

Io tengo che, pel canto nessun metodo possa fermarsi; se, il canto è
_melodia dell’animo_; se, è quel movimento originale, spontaneo, men
suscettibile di legami, meno inclinato all’imitazione.

Quel filosofo che in tutte le arti scorgeva la imitazione, e la
lamentava nella poesia e nella musica, insegnò: — doversi riflettere
costantemente che la sola specie di canti imitativi da ammettersi
nella repubblica, sono gl’inni in onore degli Dei e le lodi ai grandi
uomini; oltre a questa eccezione, la Musa imitativa nuoce alla verità,
e fuorvia l’uomo dal buono e dal bello. —

Ed io trovo il metodo uno strumento della più servile imitazione,
che limita il potere dell’animo, si impone al mistero della sua
manifestazione (la voce); inceppa quindi i naturali slanci, e toglie
dal vero e dal bello.

Lascio di trascrivere un altro libro di mie osservazioni in proposito,
per far luogo ad altre sentenze.

Con quali sistemi mai erano rette e giudicate le scuole del Fedi,
del Pistocchi, del Redi, del Brivio, del Bernardi, dell’Amadei, e de’
napolitani Leo, Feo, e del Gizzi?

Ove sono i grandi e sapienti artisti di quei tempi, quando il
Pasi cantava con largo stile e magistrale, e Ferri in un sol fiato
percorreva ascendendo e discendendo due piene ottave continuamente
trillando e segnando i gradi tutti della scala cromatica con
sorprendente giustezza[16]?

Perchè era possibile allora sentire un grande artista _cantare con uno
stile proprio e diverso da quello di altri grandi_ pure educati alla
medesima scuola?

Perchè oggi, quando il numero de’ libri scritti, così detti metodi,
è cresciuto a dismisura, avvi tanta deficienza di cantanti che ne
meritino il nome, e da ogni lato proclamasi la decadenza dell’arte?

Così domanda lo studioso maestro Caputo. Ed io intrometto: potrebbesi
a lui rispondere coscienziosamente coi motivi ai quali il De La Fage
accagiona tal decadenza, cioè allo stabilimento de’ Francesi in Italia,
alla soppressione delle scuole, all’abolizion dei castrati, alla
deviazione dai primitivi sistemi[17]?

Il Mancini invece, ancora nel 1777[18], prevedea questa deviazione
dalle lunghe, pazienti, innamorate pratiche dell’arte; accusando
l’aurea fame risvegliata nei maestri, e la smania di _subito guadagno_,
causa di corruzione e decadenza.

Fétis nel suo _Metodo de’ metodi di canto_, limita la colpa agli
avvenimenti della guerra e della politica, che toccando le basi delle
scuole ne affrettarono il decadimento e prepararono la rovina.

Marchesi poi, ne compendia le cause esprimendosi in questi termini:
«Volgiamo tutta la nostra attenzione alla vera arte del _bel canto
italiano_, la quale oggi giorno si trova in uno stato di completa
decadenza, alla quale a gara l’hanno spinta il realismo, l’empirismo,
ed il ciarlatanismo; ma guardiamoci dal volere apporre dei limiti alle
infinite rivelazioni dell’umano intelletto nelle sfere trascendentali.
Queste cambiano bene di forma nel modo di manifestarsi, seguendo loro
malgrado l’impulso della direzione morale della umanità, nelle sue
alternanti fasi di progresso e decadenza, ma non si estinguono mai,
perchè sono eterne, tal che la fonte d’onde esse emanano, il cielo.

.... L’epoca più gloriosa della musica fu quella nella quale l’arte
del canto era giunta all’apice della sua perfezione; e se oggi, maestri
altamente dotati, mostrano nelle loro composizioni una certa materiale,
realistica, e direi quasi, volgare tendenza, io oso asserire che la
loro divagazione dal retto sentiero, e le loro stranezze sono l’effetto
della completa ignoranza del meccanismo e della vera missione della
voce umana, nonchè del vero bel canto.... Tanto i moderni cantanti,
quanto i moderni compositori, tutti, meno pochissime eccezioni, cercano
soltanto con titanici sforzi vincere le più grandi difficoltà, soltanto
per sorprendere l’uditorio, invece di commuoverlo. La forza regna da
per tutto; la grazia, questa madre santa e pura delle belle arti, è
divenuta una rarità[19].»

Rossini elogiando i 24 _Vocalizzi_ della signora Marchesi ebbe ad
esprimersi: «Ho percorsi col massimo interesse (quei esercizj), sono
composti con somma conoscenza della voce umana, con chiarezza ed
eleganza, essi contengono quanto fa d’uopo allo sviluppo d’un’arte che
da troppo tempo io assimilo alle _Barricate vocali_! Possa il di lei
interessante lavoro profittare alla gioventù odierna, che trovasi un
tantino fuori della buona via. Insista pure ad insegnare il _bel canto
italiano_, esso non esclude l’espressione e la parte drammatica, che
va riducendosi ad una semplice questione di polmoni, e senza studio
(_c’est bien commode!_)[20].

Goethe sentenziò, che la madre della sublime fra le arti belle «non
richiede deduzione nè di materiale, nè di soggettivo elemento; poichè
dessa è tutta _forma_ e _possanza_, ed eleva e nobilita tutto ciò che
esprime.»

Rousseau: «La melodia italiana trova in ciascun suo movimento,
espressioni per tutti i caratteri, quadri per tutti gli oggetti.
Ell’è a piacere del musicista, triste sur un movimento vivace, gaja
sopra uno lento, senza dipendere dalla parola, e senza esporsi a
contrassensi. Ecco la fonte di quella prodigiosa varietà che offrono i
maestri d’Italia (del suo tempo); varietà che previene la monotonia, il
languore, la noja, e che i musicisti francesi non possono imitare...

_La imitazione teatrale francese_ sia pel canto che per l’armonia è
un’arte barbara e gotica.»

(Scudo la definì «quella imitazione premeditata che s’immagina
poter sorprendere il secreto della vita e togliere clandestinamente
l’altrui bene di cui pretende glorificarsi; ben diversa dalla
imitazione spontanea che procede dalla ispirazione e risulta dalla
affinità de’ genj; sterile e fallace, perchè chi la pratica, incapace
d’essere commosso, si fa illusione simulando a passione che non prova
e riproduce per solo artificio, quasi tenendosi alla lettera, il
linguaggio dell’amore).»

Meglio sarebbe, segue Rousseau, «conservare il duro e ridicolo canto
francese qual’è piuttostochè più ridicolmente sforzarsi a fabbricarlo
italiano, tanto più disgustevole e mostruoso, quanto che è impossibile
associare all’italiana melodia la lingua francese[21].»

Disse inoltre quel profondo osservatore — insostenibile il principio
della semplicità dei rapporti sulla quale vorrebbesi fondare il piacere
della musica[22] — impossibile l’imitazione di quelle espressioni
naturali e solenni dell’amore e del dolore; e _predisse arditamente_
che il tragico canto italiano non potrebbe essere d’altri nemmeno
tentato[23].

Ammise qualche successo nelle comiche e leggiere espressioni; il favore
delle _sinfonie_; la potenza in altri delle armoniche combinazioni.

Colla forza del genio parea presentisse le misteriose ricerche di
Beethoven, gl’intrelciati arpeggiamenti di Haendel, le fantasie
tumultuose di Berlioz, le fabbricazioni di Wagner, i progressi de’ loro
imitatori che appartengono al regno della scienza, non confondibili coi
semplici naturali concetti dell’invenzione, con quelle semplici forme
possibili soltanto al vero canto, e che infatti scorgonsi conservate
malgrado le riforme introdotte dalle italiane scuole del passato
secolo.

Ed è in conferma il gran fatto, che la scienza nell’impossibilità
di trovare il bel canto fuor dalle pure fonti e naturali, e vedendo
inutile ostinarsi a far comune il retaggio di pochi, volse per altra
via i suoi conati, dove immancabile esito potea ripromettersi; e si diè
a fabbricare armonie, laudabili, talvolta sublimi; ma che non hanno a
che fare col vero canto.

Fra questo e quelle è insussistente adunque la question del primato; ed
anzichè questione, v’ha confessione reciproca dell’attitudine relativa,
e della diversa natura.

Per la composizione sono opportunissimi il metodo ed il sistema: il
metodo non può essere che sussidiario alla espressione; il sistema non
può essere che micidiale al bel canto.

A dimostrazione speciale di questo criterio, oltrechè ad esporre le
fonti più feconde de’ canti universalmente riconosciuti siccome i più
puri, grati, ed esprimenti, noi ci siamo per lunga via intrattenuti
con istorici ricordi degli antichi compositori, gelosi tutti, più
che modernamente non sia, di marcare un carattere proprio, uno stile
particolare e indipendente.

Alto insegnamento anche a colui che vuol farsi vero interprete delle
varie composizioni cantabili, inesprimibili senza un accurato studio
sulla natura speciale alle medesime, e per la perfetta espression delle
quali, deve regolare il proprio sentire a seconda del loro carattere e
del loro stile.

I maestri cantanti più degni di questo nome inculcarono sempre questa
indispensabile conoscenza, proponendo a migliore scorta lo studio de’
diversi stili negli antichi compositori.

«All’artista cantante non basterà possedere il dono d’una bella voce,
ed averla anche educata a tutte le difficoltà del canto, se a questo
non vi si aggiunga una profonda educazione musicale, che gli permetta
d’immedesimarsi col pensiero poetico, sul quale s’ispirò da prima il
compositore, egli stesso.

L’educazione vocale basterà per l’esecuzione materiale di una musica
fatta più per dilettare le orecchie che per commuovere il cuore: ma
il cantante di espressione, oltre all’educazione vocale che lo deve
porre in caso d’eseguire tutte le difficoltà di una melodia, deve
inoltre possedere molta sensibilità d’animo e l’arte della espressione;
principio sul quale si basa la vera interpretazione melodica. Nessuno
studio sarà più atto a sviluppare questo sentimento, quanto quello
dello stile de’ primi maestri che si distinguevano sopratutto per una
schiettezza ed una spontaneità rimarchevoli.

Nell’esaminare attentamente la storia de’ differenti generi di musica
che diedero poi nascita a quello oggi in uso, si formerà un giusto
criterio del carattere e dello stile particolare ad ognuno d’essi — e
questo studio nell’allargare le conoscenze del cantante svilupperà in
lui lo stile ed il sentimento del bello.»

Così consiglia anche il celebre artista Leone Giraldoni, in una sua
_Guida teorico-pratica ad uso dell’artista cantante_[24]; alla quale
operetta viene egli pure a introdursi colla lamentanza sulla scarsità
di maestri sapienti per la educazione vocale, e sulla inopportunità
de’ sistemi de’ pretesi maestri, che in cambio di rivolgere ogni
lor cura alla conoscenza ed alla regola dell’istrumento al cui buon
uso essi devono indirizzare e con tanto maggior studio quant’esso è
più delicato, la voce, si danno incredibilmente premura d’inculcare
all’allievo il proprio loro modo di sentire, unica cosa, come il
Giraldoni soggiunge, che non si possa trasmettere.

«I nostri antichi cantanti avevano più buon senso di noi altri su
questo particolare; ed i Nozzari, Crescentini, Righini, Garcia,
facevano passare ai loro allievi anni interi negli studj materiali
della voce, non curandosi che della parte meccanica della gola,
persuasi che vinta quella difficoltà ed ammaestrata la voce a tutte
le risorse dell’arte, il cantante potesse proseguire da sè stesso
nell’incominciato cammino.»

Pienamente d’accordo in questa massima coi grandi maestri-cantanti che
furono, e col rinomato artista dei nostri giorni, noi abbiamo anzi
mostrato di restringere l’opportunità del sistema anche in ciò che
esclusivamente all’organo materiale si riferisce; chè mentre in alcuni
casi abbiamo dovuto ammettere la prodigiosa virtù d’un metodo al buon
indirizzo delle voci, l’abbiamo in tanti altri riconosciuto inefficace
per modo da non poterlo ammettere col Giraldori giovevole sempre
e indispensabile «ad estirpare que’ primi e naturali difetti — che
snaturano la emissione semplice del suono — che recano impedimento al
cantante nell’esercizio dell’arte sua — che ritenute _leggi di natura_
dai maestri in generale e perciò non infrangibili senza pericolo, egli
riguarda più spesso come _vizj di natura_.»

Siano pur leggi o vizj, l’arte può realmente mutarle od emendarli?...

Io non convengo che «da tale assurdità, come si esprime il Giraldoni,
provengano tante voci difettose che ogni giorno si odono sulle scene»
e che per conseguenza i sistemi vocali, anche impiegati a suo tempo,
avrebbero potuto sollevarci da tutti quegl’ingratissimi suoni.

Infatti l’autore medesimo, deve soggiungere: «vi sono certamente alcune
voci che hanno ricevuto dalla natura stessa tali prerogative da poter
essere ammaestrate da chicchessia, facendo così la fama del maestro,
senza sua colpa, però sono assai rare. Il caso pure viene in ajuto allo
scolaro, il quale senza sapersene rendere conto, incontra un bel giorno
insoliti effetti di sonorità nella sua voce....»

Insiste altrove sulla _estirpazione de’ naturali difetti_, e sulla
possibilità «di giungere con uno studio intelligente e coscienzioso
a cambiare la voce in meglio ed in modo irreconoscibile,» ma combatte
col dottor Mandl[25], il metodo di canto del Conservatorio di Parigi,
che si scosta dai modi più naturali — funesta teoria — principio
fatale, non mai contraddetto abbastanza, preconizzato in metodo
officiale. —

Conviene che l’artista, o sacerdote dell’arte, è colui che «dedicandosi
al culto e all’incremento di questa, anima colla favilla _del
suo genio_ ogni concepimento di cui dev’essere l’interprete; come
Pigmalione animò l’inerte marmo col fuoco derubato dal cielo....
A portare meritevolmente questo nome nell’arte melodrammatica, è
d’uopo armarsi di gran volontà e d’instancabile costanza: — e solo
dopo, per una primitiva ed elaborata educazione (trascurata purtroppo
generalmente) potrà _aspirarvi_ l’ingegno colto ed il cuore sensibile
— e dopo un assiduo e indefesso studio, il cantante potrà _sperare_
di essere distinto in mezzo al gregge de’ sedicenti artisti.» E posti
gli esempj di Rubini e Duprez, conviene che, il primo anche dopo
le sapienti cure del maestro Nozzari, il quale spiò nel rejetto di
Napoli[26] le potenti risorse che lo fecero poscia un portento, ebbe
a sfidare lunghe scoraggianti prove, nelle quali più che la scienza
medesima pur tanto acclamata che il nuovo maestro gli avea trasfusa,
gli valsero gli studj pratici in sè stesso, le proprie scoperte e la
costanza.

Il secondo egualmente, in onta all’ottima istruzione che portò seco al
primo calcare delle scene, dovè durar parecchi anni alla formazione
della propria scuola; e fu tutta opera sua quell’ampio fraseggiare,
quella declamazione espressiva, quello stile largo ed elevato, quella
pronunzia vibrata e quell’emissione acquistata in Italia, per cui
giunse a detronizzare Nourrit innanzi allo stesso pubblico parigino che
da quindic’anni non si stancava di festeggiarlo; e pose il fondamento
della sua estesa e durevole fama. Il ritorno di Duprez a Parigi e il
trionfo nella sua apparizione nel _Guglielmo Tell_ fu tale, che non si
rammenta l’eguale negli annali del teatro dell’Opera.

Bel conforto ai primi passi degli iniziati nell’arte; e bell’esempio
con cui il Giraldoni li invita allo studio continuo ed alla costanza
instancabile.

Ottimi del resto i suggerimenti di questo sperimentato artista, sia
ai riguardi della _respirazione_, come per la pratica de’ _registri_,
sulle _esercitazioni vocali_, sugli _effetti drammatici_, sulla
_erudizione_ e sull’_igiene_ del cantante, coi quali argomenti discorre
nei dieci brevi capitoli della sua _Guida_.

E bene conchiude considerando, che «pittore vivo dell’umana natura in
sè stesso, l’artista incontrerà l’oggetto principale de’ suoi studj ed
il germoglio della sua scienza.»

— Coi doni della natura, anche straordinarj, giungerà a dilettare le
orecchie, ma giammai a commuovere il cuore se non accoppia una bella
educazione. —

L’artista cantante è sacerdote educatore. La sua ignoranza pervertisce
un pubblico, come un pubblico ignorante piega servilmente al gusto
depravato l’artista colle lusinghe de’ suoi favori. — L’artista
che cerca l’effetto plateale, abdica le sue sovrane prerogative,
sacrifica alle facili soddisfazioni dell’amor proprio l’alta missione
di cooperare alla educazione del popolo, dirigendo verso il bello
artistico il di lui sentimento e buon gusto, e tradisce sè stesso. Ma
sia ben guardingo a non lasciarsi trasportare dalla foga del proprio
sentire — più l’artista sarà padrone di sè per dominarsi, più grande
sarà l’effetto della espressione; effetto che deve stare nei limiti
del vero. — Mercè la educazione infatti, il sano criterio e il giudizio
intelligente saranno la miglior guida anche alla regola e buon impiego
delle doti naturali, colle quali potenze soltanto potrà il cantante
innalzarsi al di sopra di quelle migliaja di così detti artisti, che
vegetando tutta la vita nell’esercizio di tal professione, che per loro
non è altro che un mestiere volgare, bestemmiano contro la fortuna, o
il destino che li dimentica, quando dovrebbero invece accusare la loro
nullità, ignoranza e presunzione.

Con ciò finisco sui metodi con cui vorrebbesi, erroneamente, formare
e modificare la voce umana; finirò intorno alle moderne scuole con
qualche autorevole giudizio, coll’espressione della pubblica opinione,
colla convinzione de’ fatti.

                   *       *       *       *       *

Un altro splendido documento a conferma delle idee suesposte, e
specialmente a prova della necessità indispensabile e prima di
coltura nel sacerdozio del canto, e di profonda e variata dottrina
nell’artista, è la lettera di Giuseppe Verdi, bene perito nelle
bisogne, colla quale declinava la onorifica offerta fattagli dai
napoletani affinchè egli assumesse la Direzione di quell’illustre
Conservatorio, lasciata vacante per la morte all’arte funesta di
Mercadante[27].

Verdi, cui la scienza affida i suoi alti misteri per fare al popolo la
rivelazione del bello; che mantiene le tradizioni senza rinunziare alle
ricchezze delle forme straniere, così pronunciavasi:

«Mi sarei fatto una gloria, nè in questo momento sarebbe un regresso,
di esercitare gli alunni a quegli studj gravi e severi, e in uno così
chiari dei primi padri, A. Scarlatti, Durante, Leo...

Per comporre, studiate Palestrina e pochi suoi coetanei, saltate dopo
a Marcello, e fermate la vostra attenzione specialmente sui recitativi.
Fatti questi studj uniti a larga coltura letteraria, non aumenterete la
turba degli imitatori e degli _ammalati_ dell’epoca nostra... Nel canto
avrei voluto pure gli studj antichi uniti alla declamazione moderna.

Ma per mettere in pratica queste poche massime facili in apparenza,
bisognerebbe sorvegliare l’insegnamento con assiduità... vuolsi un uomo
_dotto sopratutto e severo negli studj. Tornate all’antico e sarà un
progresso_[28].»

Questa lettera è un vero programma artistico, dignitoso, savio, leale;
che insiste sulla dottrina necessaria ai cultori d’un’arte divina,
che per lungo tempo, e generalmente, parve abbandonata alla gente più
incolta. «Questa lettera è un vero balsamo, — commentò Filippi, — un
refrigerio alle piaghe che affliggono la musica: Dio voglia che la
evangelica parola del grande Maestro, faccia i molti miracoli per la
redenzione dell’arte... e pel ritorno dei Conservatori alle gloriose
tradizioni.» E qui dietro il rifiuto dell’autore del _Rigoletto_,
proponeva Antonio Bazzini di Brescia quale compositore e conoscitore
approfondito d’ogni musicale disciplina, e tale che per la coltura sua
«potrebbe rialzare le sorti d’uno stabilimento sceso così al basso da
smarrire quasi ogni tradizione del suo gloriosissimo passato.»

D’Arcais v’aggiunse, che il Ministero per la pubb. istruzione in
Italia, dovrebbe far precedere una tal nomina da una mutazione quasi
generale degli ordinamenti di quell’istituto, per non dannare a
riuscita manchevole il nuovo Rettore per quanto valente[29].

Accagiona le tristi condizioni in cui il più celebre Conservatorio
è caduto, all’errore d’aver lasciato sullo stallo difficile del
Zingarelli, fino all’ultimo tramonto dell’età sua, quando più
conveniagli riposo, il Mercadante, cieco, affranto da dolori fisici
e morali; coadjuvato bensì da un Consiglio di governatori e da un
emerito archivista; ma atto piuttosto a presiedere onorariamente
la conservazion d’un museo, che ad allontanare i danni onde il
reale Collegio fu colpito e che lo ridussero alla condizione cui
presentemente si trova.

Tale Collegio, di san Pietro a Majella, sorto dalle rovine di parecchi
altri Istituti che fiorivano in Napoli, raccolse in sè tutte le glorie
della scuola napoletana; o per dir meglio, ha goduto i frutti d’un
glorioso passato.

Il cav. Francesco Florimo archivista, nel suo _Cenno storico sulla
scuola musicale napolitana_, testè pubblicato (tip. Rocco) ci narra le
vicende dei Conservatorj napoletani che prima di quello ora esistente
furono quattro, chiamati: _dei Poveri di Gesù Cristo; di sant’Onofrio;
della Madonna del Loreto; e della Pietà dei Turchini_. Aboliti i
primi, rimasero per qualche tempo quelli della Madonna di Loreto e
dei Turchini, finchè anche questi furono riuniti in un solo che prese
il nome di Collegio R. di Musica; occupò diversi locali, e finalmente
quello di san Pietro a Majella. Sorto in principio di questo secolo,
quando la scuola napoletana era all’apogèo di suo splendore, se
paragoniamo i suoi frutti a quelli che per tanti anni vennero dati dai
Conservatorj precedenti, siamo tratti alla conseguenza che la scuola
napoletana cominciò a cadere fin da quel tempo.

Addito questo fatto a coloro che portano a cielo gli ordinamenti
di quell’Istituto, che furono a più riprese modificati, ma mai
profondamente e per modo tale da accennare a un mutamento di sistema.

Abbiamo veduto, come dalle sue varie sedi quel tempio chiarissimo
nell’arte della composizione s’abbia ingloriato degl’illustri fondatori
Porpora, Durante, Scarlatti, Leo, Cherubini, Feneroli, Zingarelli,
Bellini, Pacini; venerò viventi fino a questi giorni Saverio
Mercadante[30] e Michele Carafa; nè cessa di vantare in Enrico Petrella
un degno emulo a Verdi.

Ricorda ultimamente i bravi maestri di canto, Carlo Conti ed Angelo
Ciccarelli.

Ora nuovamente s’illustra del suo concittadino Lauro Rossi chiamato
all’onore di quella direzione nel 1871.

Tale stabilimento può dirsi anche l’Archivio musicale il più ricco
d’Europa; e mercè i riordinamenti e le cure del sullodato archivista,
mostra le sue _Stanze artistiche_ quasi complete nelle collezioni
de’ classici d’ogni nazione, d’opere didattiche e teorico-musicali,
d’autografi dei celebri compositori, e perfino di una raccolta
ritenuta per unica di ritratti originali ad olio de’ maestri italiani
e stranieri dal diciassettesimo secolo al presente, speciale dono del
cav. Florimo[31].

Ma fra tante memorie e ricchezze, vi si è mantenuta in fiore la
scuola napoletana? la scuola che sembra essersi chiusa con Paisiello e
Cimarosa?!

Nel nostro secolo è bensì uscito qualche valente compositore; ma poco
per volta andarono miseramente perdendosi le tradizioni dell’antica
scuola che aveva riempiuto il mondo di maestri.

Le scuole artistiche possono vivere e prosperare indipendentemente dai
Conservatorj e dalle Accademie; ma non è men vero che un Conservatorio
può e deve giovare a conservare le tradizioni.

Una delle parti più importanti dell’insegnamento musicale è il canto; e
quivi pure questo è in decadenza.

Procede lo stimabile critico D’Arcais: — le cose stanno in questi
termini. I professori di canto vi sono anche male retribuiti; due
o tremila lire! onde traggono lucro dalla loro abilità fuor del
Conservatorio, il cui posto è in generale ambito unicamente per
procurarsi una numerosa clientela, ed è una occupazione di sopra più,
mentre tutte le cure sono rivolte e consacrate agli alunni perfino
patroni di agenzie teatrali, onde innumerevoli abusi.

Nessuno può chiedere l’abolizione dei Conservatorj di musica, ma se è
giusto che lo Stato si sobbarchi ad una spesa non lieve per tenerli in
vita, è pure indispensabile ch’essi rechino all’arte maggior utilità di
quella che presentemente se ne ritrae.

La malattia è grave, ma invece di uccidere l’infermo, cerchiamo il
rimedio.

Nel riordinamento generale di tali Istituti si lasci per carità V
elemento burocratico, i mecenati consiglieri, i posti _ad honorem_ ed a
riposo —[32].

Nè valgono a far rifiorire degnamente la scuola di canto in Napoli
tanti maestri che anche fuori del r.º Collegio esercitano l’opera loro
nel campo già culto felicemente dal Marotta discepolo a Crescentini.

I maestri Seidler e Costa insegnarono per molto tempo nei primarj
Educatorj di quella città, ora diretti pel canto da Giorgio Micieli.

Hanno bel nome di maestri e compositori: Paolo Serrao, De Giosa, Nicola
d’Arienzo, Beniamino Carelli, Carlo Caputo, Delfico, Mazzone, Bonamici.

Seguono: Sarria, Colletti, Casammata, Nani, Moscuzza, Achille Valenza
autor delle _Fate_, Claudio Conti che or regge la scuola al r.º Albergo
dei Poveri.

Mancarono di recente: Salv. Sarmiento, L. Siri, L. Graziani, Pasquale
Mugnone, Raffaele Giannetti.

Promettono: Paolo Manica di Catanzaro, Vincenzo Fornari, Pietro Musone
di Casapulla[33].

Fra la folla poi de’ presunti virtuosi, a ben pochi fu dato di tenere
non del tutto inchinata la bandiera della bell’arte.

Sul quale argomento, il medesimo D’Arcais, parlando dell’Istituto
Fiorentino (_Rassegna Musicale_), ebbe a ripetere: «L’arte del
canto è senza dubbio in cattive condizioni per tutta Italia.
Mancano buoni maestri. E fu proposto da molti di stabili scuole
normali pei professori di canto, come mezzo più utile a rialzare
quell’importantissimo insegnamento. Si dovrebbe scegliere que’
pochi maestri che conoscono e conservano le tradizioni del bel canto
italiano, per questa nuova scuola destinata a produrre buoni professori
di canto.....»

Senonchè, Francesco Dall’Ongaro proponendo di introdurre l’insegnamento
del canto anche nelle nostre scuole primarie, come si pratica nella
Svizzera, nella Germania, in Inghilterra, in America, sentì opporsi dal
suo amico prof. Alessandro Biaggi:

«_Dove trovare un maestro di canto?_...»

«Mancano i maestri, e _mancano i valenti esecutori del canto_, e a
questo si deve ascrivere la decadenza dell’arte e non già alle vicende
politiche — disse pure in questi giorni Giuseppe Rota, maestro alla
Cappella e al Teatro Comunale di Trieste, in occasione d’apertura
della Società filarmonica Triestina di mutuo Soccorso. — L’arte non è
il trastullo del senso; mentre la vediamo associarsi alle più nobili
aspirazioni del secolo, e partecipare al dolore di un pubblico lutto,
e alla gioja d’un avvenimento eroico, nazionale.... l’arte piange e
sorride con noi, in noi. Fu gloria de’ più secoli; illustrò nazioni; è
fomite di civiltà e progresso[34].

L’antico poeta di Salmona avea già dimostrate le ingenue arti come
quelle che «ingentiliscono i costumi, nè permettono all’uomo d’esser
crudele, purchè s’apprendano fedelmente, non in maniera superficiale
per solo passatempo o trastullo, ma con pienezza di giudizio.»

«L’arte, dice C. Cantù, deve associarsi alla civiltà.»

Ma la bell’arte del canto è in realtà fuorviata: ed è pur questa,
come disse Massimo d’Azeglio della letteratura «una delle cagioni
dell’abbassamento notevole che ognuno conosce nel termometro morale
della società leggente e cantante d’Europa.»

Fra questa società, bisogna pur confessare, alcune straniere nazioni
minacciano di rapire alla madre Italia collo studio, quel primato che
non poterono mai torle col genio. Ed ecco legarmisi l’idea dell’ottima
proposta di un urgente provvedimento per l’istruzione del canto anche
nelle scuole primarie.

— In Germania, Francia, Inghilterra, leggesi a prima vista gli
_Oratorj_ di Haydn, e le _musiche a cappella_ di Palestrina, Carissimi
e Marcello, poichè in quelle scuole corali tutti gli elementi sociali
vi prendono parte, e non i soli operaj che hanno poco tempo di
dedicarvisi. Aristocrazia, borghesia, commercianti e popolo coltivano
il canto; quindi la possibilità di quelle numerose e perfette masse
corali, e maggior probabilità di speciali distinte riuscite quanto più
vasto è il seminato.

Nuoce dunque al progresso dell’arte in Italia la limitazione del canto
alle Scuole popolari; e benchè in quest’anno si constati anche a Milano
un miglioramento, specialmente nella Scuola corale, — che corrispose
alle cure intelligenti ed assidue del direttore Leoni, coadjuvato
dall’aggiunto m.º Prina[35] — pur si rimarca il gran danno d’abbandonar
tanta coltura solamente alla classe men colta.

Non devono arrestarsi gli Italiani sulle passate glorie e sugli
ottenuti trionfi, ma adoperare ogni mezzo, per procedere di pari passo
coll’odierno progresso, e per mantener quel primato che non fu a loro
fin qui contestato, potente ancora presso a’ stranieri, come vedremo
passando in breve rivista le attuali più importanti scuole europee e
mondiali.


_Segue la rivista delle scuole italiane. — Degli studj sovra esse e
giudizj. — Nuovo indirizzo de’ Conservatorj. — Ultime fasi della scuola
veneta. — Attualità delle principali nostre scuole, e loro speranze._

E tornando brevemente a quella milanese, dopo aver accennato alle
critiche ed alle lamentanze che si fanno su quel Conservatorio,
dobbiam constatare una lodevole attività non affatto infruttuosa anche
oltre le porte di quell’Istituto, una gara di docenti che pur lascia
sperare migliore indirizzo, come da suolo irrigato da spesse sorgenti è
probabile che quella più pura abbia a scaturire.

Laddove ricordasi Sammartini, vecchia guida melodica ai compositori, e
Secchi maestro, per tanti anni creator di cantanti, e quindi Lamperti
padre esimio maestro, adesso il figlio Giov. Battista e B. Prati,
trattano il canto _teatrale_; Leoni quello corale.

Fuori del Conserv., finirono da poco la loro carriera, Ronchetti
e Giovanni Rossi istitutori alle scuole popolari, gravi d’anni; ed
in fiorente età, De Giovanni, Tamburini Riccardo, Eugenio Torriani,
Giano Brida. Ed oltre a quei già nominati fra i metodisti, s’hanno
accreditati maestri, Gerli, Zarini, Bona, Prina, Ronzi, Gamberini,
Garzoni, Perelli, Bruni, Sangiovanni, Marcarini; la Aspri-Bolognotti,
Antonio Davila, Gaetano Nava, B. Pisani, non ignoti compositori;
Baretta, che fu già rettore del Conservatorio di Bologna, ora attende
in Milano ad erigere un nuovo _Dizionario musicale_. Binaghi, veterano
tenore, che ora insegna ai ragazzi; Isabella Alba che apre una scuola
collettiva; Enrico Boucheron preposto ai cantori del Duomo; Enrico
Panofka che esamina le _Voci_ e il loro educamento; Giovanni Varisco
che propone l’indirizzo normale ai maestri medesimi.

Merita anche menzione il pietoso impiego del canto nel Manicomio di
Milano, e quivi la istruzione dei cori, con felice e rinnovato successo
(Vedi vol. I, pag. 107).

Il trasferimento dell’illustre Lauro Rossi alla direzione del Collegio
di Napoli, e l’innalzamento del prof. Alberto Mazzucato[36] a quella
del milanese Conservatorio, valgano a fonderne con unisona norma e
con eclettico studio i buoni sistemi; perocchè è certo che a base
educativa vuolsi pure un metodo stabile e generale, che potrà essere
poi modificato, o per meglio dire, diversamente applicato e indirizzato
dai vari cultori, a seconda delle opportunità e circostanze; ma nella
sua iniziativa non deve variare di artista in artista, offerendo mille
strade dubbie e nessuna sicura; distruggendo la scuola, scemando gli
artisti; e, come scriveva fin dal 1844 il pratico Ferrary Rodigino,
peggiorando l’arte con un negativo progresso[37].

Non è, diceva egli saviamente, come noi sopra abbiamo osservato, non
è scuola la misera imitazione, il tirocinio pubblico, la servilità al
metodo di questo o di quell’artista felicemente riuscito, chè il teatro
non fa l’arte, nè è questa un mestiere.

Dei tanti pretesi artisti che pullulano in siffatta maniera, non per
proprio valore ma ad altrui rimorchio, strano il più delle volte e
incompreso, si può dire col Varchi, che dessi non servando metodo
alcuno non intendono sè medesimi. Come poi potrebbe agire moralmente
una siffatta educazione? Fu detto che, «la educazione artistica non può
formare il cuore.» Vuolsi dunque una fondamentale istituzione savia e
uniforme.

Il ministro per l’Istruzione pubblica del regno d’Italia, Cesare
Correnti, formulando il nuovo Statuto organico del Collegio musicale di
Napoli, pubblicato con r.º Decreto 14 gennajo 1872, «_cercò allargare
anche il campo delle lettere, perchè gli artisti devono oggimai
persuadersi che non saliranno mai in altezza ed in fama durevole e
meritata senza quell’ajuto_[38].»

Il 1.º Congresso musicale espresse quindi il voto che anche il
Conservatorio di Napoli abbia a tramutarsi in vero Liceo, come gli
altri d’Italia, e quelli di Parigi, Praga, Bruxelles, tendono mano a
trasformarsi.

Dopo i Conservatorj di Napoli e di Milano, di cui abbiam fatto cenno,
devesi oggi notare distintamente in Italia l’Istituto Fiorentino.
— Che se non vanta antiche origini al pari di qualche altro della
penisola, e per copia di mezzi, per numero d’insegnanti e di allievi, è
inferiore ai due suddetti, non è certamente da meno di qualunque altro
stabilimento musicale per ciò che riguarda la bontà dell’insegnamento.
— Ne è preside il cav. Casamorta valente compositore. Il venerando
Pietro Romani maestro di canto, vecchio amico di Cimarosa, di
Meyerbeer, di Rossini, e consigliere ai più celebri artisti, è
incaricato del corso di perfezionamento.

S’aprono annuali concorsi a premio, specialmente per composizioni di
canto[39].

Sono unite all’Istituto: una scuola di estetica e di storia musicale,
di cui è titolare il prof. Biagi, ed una scuola elementare che
rimedia al difetto d’istruzione, _solito nei dedicati alla carriera
teatrale_...

Una commissione, sotto il ministero Bargoni, unificò l’Istituto colla
scuola di declamazione. — I frequenti esercizj pratici gioverebbero
agli allievi delle scuole del canto, come le prove di studio
annuali. Chè i cantanti esordienti, appena usciti dal Conservatorio
non sempre sanno accordarsi colle orchestre, di rado si presentano
convenientemente al pubblico, e quasi mai accompagnano il canto
coll’azione[40].

A quest’utile pratica intese venire in ajuto la Società Filarmonica
diretta dall’abile istitutrice di canto Cecilia Varesi in Firenze,
che gareggia cogli insegnamenti d’altra riputata cantatrice Sofia
Vera-LorinL Altri sodalizj, quello del Cherubini, al cui nome rende
onore la fondatrice di tale scuola corale, la tedesca Laussot, quelli
de’ Fidenti e degl’Orfeisti, s’adoprano al culto dell’arte.

Anche un Teodulo Mabellini, conoscitore approfondito d’ogni musicale
disciplina, non lascia dimenticare la scuola dal Marchesi ivi tenuta:
nè la dimenticava quel Cesare Paganini, compositore, cantante,
scrittore ed artista, di cui ora si piange la perdita a Firenze. Avvi
il Gamucci; ed il Palloni, uno degli ottimi compositori di musica
vocale, rinnova la mèsse feconda de’ bei canti popolari toscani.

Nella esecuzione poi di tali canti un altro solerte maestro, Giulio
Roberti, spinse le sue cure fino a cingersi d’un numeroso coro di
_Orecchianti_, i quali colla memoria e il buon volere rendono un soave
profumo alle riunioni del povero e alle case di beneficenza, nè sono
inutili a rendere più solenni le patrie pubbliche feste.

Questa bella attività nella nuova Firenze, che meritò provvisoria sede
capitale dell’Italia riunita, compensi il letargo miseramente succeduto
in altre illustre città che di gloriosi Conservatorj ebbero vanto.

A Venezia, da secoli culla di cantori famosa, non v’ha più scuola
formale.

A Venezia, i cui pii conservatorj, gareggianti con quelli di Napoli,
diedero la prima idea e i primi ordinamenti delle scuole musicali
del mondo. Dove, fino ai primi anni di questo secolo, in quattro
conservatorj femminili fioriva la musica e il sacro canto, in cui
vedemmo ad ogni tratto concorsi, a dare o a ricevere rinomanza,
distinti maestri, come a solenne areopago che dai primordj del XIV
secolo pronunciava.

Vantaggio ora affatto perduto; e non solo per l’artistico decoro, ma,
come espresse Francesco Fapanni, per quel compenso che, la sventura di
nascita illegale e l’orfanezza dei genitori almeno in parte trovavano
da un po’ di educazione e dalla coltura nelle arti musicali.

Al vespro d’ogni domenica, riassunse il cennato scrittore, s’aprivano
le chiese di quattro pii istituti, ed ognuno accorreva a udir con
immenso diletto le melodie di que’ sacri drammi. L’azione, tratta dai
libri biblici, era scritta in cattivi carmi latini, talvolta rimati,
con arie, duetti, a solo, come i vecchi drammi italiani; e c’era
un’ansia, una ressa ad avere il libretto, a fermare lo scanno.

Nel Conservatorio della _Pietà_ era maestro prete Bonaventura
Furlanetto nato in Chioggia, nel 1738. Quivi sonavansi tutti gli
istrumenti, ed erano celebri le organiste Lucietta e Matilde, che
accompagnavano qualsiasi musica all’improvviso, con trasporto di tuoni
e di mezzi tuoni[41].

Molte le sonatrici d’arco, di fiato, di tasto; ed erano le più
acclamate la Marina, la Marcella, la Gregorietta, l’Ignazia dalla voce
maschile: la Benvenuta poi era sublime nel canto, e ben se ne valeva il
Furlanetto, detto pur esso il maestro di raro gorgozzule. Riuscivano
mirabili i suoi cori di cui lasciò gran copia. De’ suoi drammi ed
oratorj emersero _La Caduta di Jerico_, e _La Sposa de’ Cantici_.

Ai _Mendicanti_ una Ventura Teresa, nata in Vicenza nel 1750, levavasi
in grido fra quelle allieve, e giungeva a insolite fortune pel suo bel
canto. Chè di là uscita, maritavasi a Benedetto de’ Pretis, e poi,
sciolto quel nodo, al nob. Alvise Venier, recando nelle stanze del
patriziato di quella sua dote i pregi. Morta nell’anno 1790, 2 gennajo,
meritò che la nob. Accademia de’ Rinnovati di Venezia la onorasse con
pubblico funere in Santo Stefano, e le erigesse iscrizioni lapidarie in
una delle camere dell’Accademia stessa, nelle quali si celebra la di
lei straordinaria abilità e nel canto e nella declamazione teatrale.
Avvi alle stampe una Raccolta di composizioni in sua morte col titolo
«_I Pianti di Elicona sulla tomba di Teresa Ventura Venier_». (Parma,
1790, dalla Stamp. Reale, in 4.º)

Il nome della famiglia Venier va congiunto con altre memorie della
coltura del canto fra la nobiltà veneta del passato secolo, la quale se
non isdegnò talvolta violare perfino l’aristocratico riserbo nei legami
matrimoniali per amore dell’arte, come anche il nob. Benedetto Marcello
avea dato l’esempio, facea poi suo particolar vanto la partecipazione
allo studio e la protezione de’ musicisti.

Vedemmo già fra i mecenati del secolo XVI, (pag. 183, vol. I), quel
Domenico Venier, le cui rime furono musicate dal Baccusi e dallo
Zarlino e cantate dalla Bellamano e dalla Gaspara Stampa.

E prima di Teresa Ventura, la nobil donna Maria Venier avea illustrato
la famiglia di questo nome per le sue cure allo studio del canto,
e meritò che Giuseppe Seratelli, maestro in uno dei conservatorj,
ad esercizio della sua bella voce di soprano componesse appositi
solfeggi[42], ed altri le dedicassero arie e cantate.

Gerolamo Venier, Procuratore di san Marco, nella schiera invece
dei compositori, lasciò prove de’ studj suoi musicali colle _Arie,
Oratorj_, ed altri canti, scritti dal 1732 al 1745.

Fino agli ultimi istanti della Signoria veneta, erano ricetto alle
celebrità de’ canti, le ville di Mira e di Dolo, dove rimase e finì
l’istesso Veluti ultimo de’ nostri _musici_; e sui vicini colli
Euganei, ancora nel 1802, un Santonini cultore e mecenate dell’arte,
era da tanto di dare nella privata sua villa di Arquà, la prima
volta l’opera intera _Teresa e Claudio_, in accoglienza del generale
Bellegarde nuovo proconsolo delle Venezie[43].

Perdurava poi la fama della Villa o Conservatorio Contarini a Piazzola,
dove quell’illustre famiglia, detta degli Ambasciatori, attirando
quanto di più celebre avea girato il mondo nella classe di maestri e
cantori, die’ gli spettacoli superiormente accennati, e lasciò memorie
e collezioni preziose, fra quali, quel museo istrumentale notato a pag.
184, vol. I, e la biblioteca musicale che per generoso legato del co.
Gerolamo, nel 1843, recò tesori alla Marciana.

Continuando poi colle memorie dei Conservatorj di Venezia, fu detta
_ultimo sostegno ed onore_ di quello dei _Mendicanti_, riguardo al
canto, quella Bianca Sacchetti altrove citata. Cantatrice ed arpista
singolarmente culta e amoreggiata dal maestro Francesco Bianchi che per
lei scrisse e per la Catalani, il di cui educatore Alberto Cavos era
stato in Venezia suo allievo insieme a Giambattista Cimador, Giuseppe
Carcano, e Antonio Calegari poi direttore della cappella patavina del
Santo.

Il Bianchi alla caduta della Repubblica s’era rifuggiato in Londra ove
per ultimo suo lavoro diede l’_Ines de Castro_ nel 1795.

Finalmente ai _Mendicanti_, cantava, e toccava squisitamente il violino
una Antonietta Cubli, cui sola potea stare a rincontro la Giacomina
Stromba, degli _Incurabili_.

Ma sovra tutte al Conservatorio di questo nome, dove per vent’anni
(1730-1750) fu maestro fra gli altri il celebre Giovanni Adolfo Hasse
detto il Sassone, indi Giuseppe Carcano, cremonese, applaudivasi
l’Elena Corner, nell’immaginoso dialetto veneto surnomata _Oseletti_,
pel suo canto indorato di gruppetti, trilli, gorgheggi, a mo’ degli
augelli.

Il quarto Conservatorio di musica era l’_Ospedaletto_, anch’esso come i
_Mendicanti_, locato presso a’ SS. Giovanni e Paolo.

Queste cantorie ed orchestre accennate da un Veneziano[44] che ne sentì
la soavità e ne ricorda i trionfi, erano le cantorie e le orchestre
innovate dal Croce, dal Baccusi, dal Vicentino, dal Zacchino, e dai
Gabrieli; a cui s’aggiungeano le glorie della massima cappella dai
Willaert, Zarlino, Monteverde nel secolo XVI; e quindi, dai Lotti, dai
Galuppi, Bertoni, e dal medesimo Furlanetto, l’amico di Rossini, morto
il 6 aprile 1817[45]; per cui la cantoria e l’orchestra che servì a
modello a quelle tutte chiesastiche e teatri di Italia[46].

Perotti Lodovico continuò la serie degli abili maestri alla cappella,
col vice-direttore Don Carlo Faggi, e s’ingegnò di raccogliere gli
elementi delle antiche soppresse scuole di Venezia in una Congregazione
detta di santa Cecilia, che non potè più aver vita col precedere de’
nuovi grandi Istituti d’altre città d’Italia e delle capitali europee.

Quindi un coro di fanciulli della povera classe circondò il Buzzola
nella insigne patriarcale cappella, e pochi privati docenti insegnarono
a pochi scolari. Concluderemo fra poco della Scuola veneziana
coll’attualità di suo stato.

Mentre di quando in quando qualche volonteroso richiama l’idea di
ricostituire a Venezia una scuola, il veneziano Manzato ne conduce
prosperamente una a Vicenza, ove in vero elementi non mancano. Nella
gentile città, anche tuttora di cultori del canto tanto feconda[47],
ad una folta schiera di maestri, musicisti ed artisti, stanno a capo
Francesco Canneti e Giuseppe Apolloni benemeriti al teatro ed al
tempio. Domenico Sbabo e Andrea Donà battono alle cantorie gloriose del
Vicentino e del Grotto.

Nella patavina cappella del Tartini, dello Stradella, e del Calegari,
Chiocchi Gaetano, l’egregio fattore di violini fra i custodi di
quest’arte italiana, diresse fino a questi giorni in cui morì (31
agosto 1872). Melchiorre A. Balbi conta un’antica serie d’allievi
cantori. Girotta regge una nuova scuola corale. Luigi dott. Farina,
l’ab. Canal, e il cav. Balbi predetto (inventore d’una nuova
notazione), scrivono di cose musicali.

Verona, le cui arie danno sovente di belle voci all’italo canto, si
dolse della perdita d’abili insegnanti, per la morte del m.º Foroni
e dell’artista Conti, e per la partenza di Pedrotti, l’autor della
_Fiorina_; ed ha attualmente l’istituto filarmonico degli _Ansioni_,
Paolo Bombardi e Alessandro Sala alla privata scuola, prete Sante
Aldrighetti alla cappella.

A Trento, Antonio Micheletti nei canti corali, pei quali scrisse anche
un _breve metodo_ (Bolzano 1871), educa quegli italiani come conviensi
in sulle porte delle città tedesche della corodia tanto cultrici.

Ad altro confine d’Italia, la arcivescovile cappella Friulana
illustrata recentemente dal Comincini d’Udine, dal Tomadini di
Cividale, e da Leonardo Marzona di San Daniele, è diretta dal non meno
valente prete Giambattista Candiotti. Anche un Vieri Adamo d’Arezzo
insegnò in Udine.

Nella vicina Gorizia, una scuola musicale fondata, nel 1854, avea Carlo
Mailing maestro pel canto.

La scuola Torinese, che dai primordi del secolo ricorda Pugnani,
Radicati e la Bertinotti, col Liceo cui appartiene è decaduta. Ebbe
non pertanto, Alari Adamo, e il Demacchi che ne tentò la ristaurazione
colle scuole serali cantanti. Ebbe le celebri cantatrici A. Zoja
e Teresa Sasso di recente perdute; ha il Bernacovich, il Pedrotti,
Corinno Mariotti, e Stefano Tempia.

A Genova, patria di Paganini e Sivori, v’ha men penuria di maestri
che di cantanti: nominansi, Emilio Bozzano, Sanfiorenzo, Bossola,
Lavagnino, Cordiali, Denina, Grimaldi.

A Cagliari G. B. Dessy, diede molti spartiti, a speciale onore della
Sardegna.

Lucca, che fin dai tempi della sua repubblica illustravasi della
Confraternita di Santa Cecilia, ove i maestri Boccherini, Manfredi,
Romaggi, ebbero seggio, e che tuttora nel settembre d’ogni anno
grandiose musiche appresta, fondò a cura di quel Municipio il
nuovo Istituto _Pacini_, v’ascrisse il maestro Andrea Bernardini,
e s’attendono i frutti. Intanto per l’istituto medesimo e per la
cappella, ammaestrano a’ bei trovati, il suddetto Bernardini da
Buti, Michel Puccini, Carlo Angeloni autor dell’_Asraele_, ed Augusto
Michelangeli della Comunal scuola di canto istruttore.

Trassero tarda età fino a questi giorni e benemerenti della Pistoiese
cappella, Luigi Gherardeschi, e Giuseppe Pillotti, del quale sono
allievi Gelli e Mabellini.

Nella scuola di Parma, fondata già da Agostini illustrata da Paër,
attualmente insegna Lodovico Spina, e fra gli altri un Giov. Bolzoni le
fa onore. Di là un Tommasi passò a istruire i cori teatrali a Vicenza.

A Modena, Alessandro Gandini, che era succeduto al padre suo, Antonio,
nella cappella ducale Estense, lasciò morendo, nel 1871, anche buoni
lavori teatrali nelle opere _Demetrio, Zaira, Isabella di Lara_. Ivi
pure Venceslao Zavertal si fece insegnante.

La scuola di Felice Moretti a Pavia prende anima alla gloria del suo
grande allievo Gaetano Fraschini.

Cremona, che diede tanti maestri ai primi Conservatorj, e quindi quei
rari artefici che agli strumenti d’arco seppero meglio dar quasi voce
che imitare possa l’umano canto, seguì colla scuola illustrata da altro
Ruggero Manna autor di _Jacopo da Valenza_, e _Preziosa_.

Distinguonsi i maestri Abele Barazzoni e Lovati Cazzulani a Como[48].
Raffaele Luccarini e Gaetano Braga, autore di _Reginella_, a Lecco.
Morì da poco a Bergamo Bort. Radici.

Trivalsi insegna a Brescia, dove il celebre violinista e maestro
Antonio Bazzini compone le nuove _Sinfonie cantate_ per la Società dei
Concerti da cinqu’anni fondata nell’eroica sua patria, quasi a mostrare
che anche dove maggiormente rifulge il poter musicale, l’anima sempre è
dovuta all’ispirazione ed al canto.

Perugia attende nuovo lustro al suo Istituto dal nuovo eletto maestro
Agostino Mercuri, or chiamato a comporre la prima opera pell’aperto
teatro della vicina Repubblica di San Marino[49].

Loreto colla sua famosa cappella dai 12 Cantori fornisce pure maestri
ed artisti ad altre regioni, alle scuole e ai teatri. Vivono ancora
in essa i metodi e le composizioni magistrali di Luigi Vecchiotti,
che legava morendo a quella Basilica tutti gli studj suoi (1863), ora
continuati dall’attuale maestro Amadei.

Nell’antico asilo del sacro canto, in Assisi, dove insegnarono
il Francesco, il Rufino, il Boemo (maestro a Tartini), e anche
dopo che Benedetto XIV, nel 1775, levando la scuola all’onore di
Cappella papale, veniva a bandire dal suo sistema musicale ogni altro
istrumento dal violino, violoncello ed organo in fuori, eppur diede il
classico contrappuntista Mattei (maestro a Rossini), ivi tale scuola
è degnamente rappresentata ancora dal minorita Alessandro Borroni
discepolo del Pesarese e di Mercadante.

Da Fossombrone, il bravo Enrico Panicalli intende specialmente a
coltivare e generalizzare il canto tra i fanciulli, ed offre agli Asili
d’infanzia geniali e nobilissime esercitazioni.

Ben conduce una scuola a Cento, Leone Sarti anche distinto violinista.

A Roma, per lungo tempo la scuola rimase stazionaria sui corali ormai
insufficienti, e stanca su quelli purtroppo corrotti.

Non pertanto dalla cappella Vaticana risuonano ancora concerti soavi
d’una ventina di voci espertissime, condotte attualmente dal maestro
Meluzzi.

Quella di santa Cecilia non è più che una accademica mostra in onoranza
de’ socj vaghi del nome dell’illustre donzella romana auspice ai canti.
Ora però che di Real titolo s’appella, diretta dal cav. Alessandro
Orsini, accenna a risveglio, ripigliando intanto i privati settimanali
esercizj, i vocali agli istrumentali alternati.

Possa la trasformata Roma rinnovare le glorie della sua scuola antica e
delle sue provincie, e ristorare anche quell’arte, tanto meno immobile
quanto men positiva, e che mirabilmente si presta alla trasformazione.

Ne siano auspici, la brava Orsola Aspri maestra di canto e compositrice
che sciolse il primo Inno al Re d’Italia (1870); Filippo Marchetti del
_Ruy-Blas_, Libani della _Gulnara_, e Decio Monti della _Graziella_,
inventori; Pietro Terziani di nuovi cantici sacri; Rotoli, Bertini,
Sgambati, Jacovacci, Sangiorgi, D’Este, Teresa Rosati, Erminia
Tecchi, de’ corali concerti benemerenti; Luigi Mililotti che da tempo
apprestava il canto _Te Dio lodiamo_, a quattro voci, col rimbombo
del cannone, pel trionfo nuovissimo in Campidoglio. Ma furono invece a
migliaja e libere le voci che benedissero alla prima comparsa del Re
galantuomo liberatore: l’inno coi feroci accompagnamenti attenda le
nuove vittorie sugli stranieri nemici[50].

La cappella Petroniana, non men di quella di san Pietro, gloriosa del
suo passato, sentì già l’impulso delle istituzioni che si risvegliarono
accanto ai depositi della sua scienza[51].

Al Liceo di Bologna non mancano valenti che speculano sull’orme de’
padri Martini e Mattel; vi operò lodevolmente il direttore Baretta,
che vedemmo ritirato in Milano a scrivere di cose musicali; e Federico
Parisini che in oggi v’insegna il canto corale, si mostra egregiamente
fornito di quella scienza non disgiunta dalle eleganze che i bolognesi
cantori appresero dal Bernacchi[52].

Ma in quella scuola dove in auree cifre sta scritto — qui Rossini entrò
discepolo e sortì principe — si dimentica forse che questi, negl’ultimi
suoi momenti, finì ripetendo: _Melodia Melodia!_...

Non importa sotto qual forma; ma sempre grazia e melodia, che sole
possono piacere in ogni tempo e sott’ogni costume, e senza le quali il
progresso non potrà raggiungere il bello.

Le splendide tradizioni e un’attitudine innata e speciale ne’ bolognesi
mantengono tuttavia vivo il culto della bell’arte, onde al suo decoro
concorrono spontaneamente, anche fuori dalle chiostre particolarmente
alle scienze dicate, e il popolo e il patriziato.

Di questo, mantiene il vanto Antonio Sampieri dei conti di San
Bonifacio, che s’impiega specialmente allo studio di quelle espressioni
che nella serenità religiosa e nella rassegnazione della preghiera
trovano non men facile ajuto di quello che la profana musica non trovi
nel dipingere le varie sensazioni della vita materiale ed il contrasto
di tante passioni.

Chi si dà al sacro canto porge nobile eccitamento a studiarne le arcane
maraviglie, e concorre a tenerlo in onore quanto si deve, e più che dai
superbi od ignari purtroppo non facciasi.

Qui gli altri valenti maestri, Busi, Antonelli, Capanna, Brunetti,
Gattinelli, Adolfo Crescentini, Pietro Romagnoli, Dom. Lucilla.

Giova poi ricordare che il sig. Casarini, già sindaco di Bologna si
fece iniziatore di un _gran centro artistico musicale_ per l’esecuzione
di tutti i grandi capolavori di tutte le scuole, secondo un criterio
storico e cronologico da esaurirsi in un numero determinato d’anni,
nella basilica Petroniana per le sacre composizioni, e per le profane
ne’ teatri, dove ha special sede quel preclaro direttore che è Angelo
Mariani.

Nell’isola estremale d’Italia, dove le traccie dell’arabe canzoni non
sono distrutte interamente, dove il genio di pura itala melodia in
Bellini rinacque, e il sole della ispirazione non manca, il fior del
canto pur tarda a sviluppare.

Non pertanto a Palermo mantengono le illustri tradizioni i De Carlo[53]
e i Platania.

All’altro estremo, dove Dante ponea il confine del nostro mare, là
_presso del Quarnaro — che Italia chiude e i suoi termini bagna_ — a
Trieste, la istituzione di canto ecclesiastico ed accademico, promossa
intorno l’anno 1850 da Luigi Ricci, e bene sperimentata da prima,
pel falso sistema di voler ad ogni tre anni rinnovati gli alunni che
formar dovevano la cantorìa, cagionò ruina a sè stessa e precoce morte
all’affaticato maestro. Il suo allievo Giuseppe Rota imprese a stento
di restaurarla.

Ma accanto a quella di san Giusto prosperava altresì quella Civica,
retta da Francesco Sinico, continuata poi in adozione privata da Sinico
Giuseppe figlio; _Scuola popolare_, che a quest’ora diede già buon
numero d’artisti e ben riputati alle scene[54].

Guido Cimoso vicentino, l’autore del grande studio _Armonico
religioso_, la _Distruzione dell’Universo_, Trieste 1864, ha cooperato
alla coltura e all’amore della buona scuola.

Altri bravi maestri e compositori, quali, Zingarle, Buccelli[55],
Mazza, Lionello Ventura, De Grandi, sorsero in quella città; Luigi
Cortelazzi ed altri negl’Istriani dintorni; Teodoro Smitter già
distinto baritono e compositore, morto ne’ primi del 1871; Domenico
Desirò che passò all’educazione dei Cori in Padova; fanno tutti
testimonianza della bella inclinazione dalla scuola Ricciana ridestata,
e d’ottime sementi in buona terra deposte.

Altre terre italiane videro nascere più o men fortunate o durevoli
simili scuole popolari, unite talvolta alle serali, per estendere
anche agli artigiani il mezzo d’impiegar nobilmente le vigorose voci
e salvarle dai frastuoni e dagli oscuramenti delle taverne: e bene
intendono i Municipj se le sorreggono, come quello di Siracusa fondò
e mantiene la propria _Scuola serotina di canto_, affidata a Bertolini
Ferdinando (1870).

Milano, fin dal 1867, colle sue Scuole comunali ne avea dato l’esempio,
nominandovi ad insegnante Eugenio Torriani, che le fornì tosto d’un
_corso elementare_ pel _canto corale_.

Vedemmo l’estensione e i miglioramenti che tali scuole esigono ancora
per dirle veramente giovevoli, e come il Varisco s’adopra al loro
perfezionamento.

A Venezia tale istituzione si dice esistente. Fu chiesto infatti
un maestro milanese, Manfredini a fondarla; e dà qualche segno di
vita nelle scuole elementari, ma quasi a puro servigio delle mosse
ginnastiche.

Dal 1866 coll’acquisto di libertà, que’ cori d’artigiani che allegrano
le calli e le piazze nelle sere carnovalesche, portando il nome
tradizionale di _cori de’ pittori_; perocchè fin d’antico, nelle
scuole dei veneti famose in quell’arte, allievi e maestri poeticamente
passassero dalla tavolozza alla musica.

Anche durante la schiavitù che vietava ogni società e riunione, pure
una larva di que’ cori erasi mantenuta.

Alcuni artisti e compositori, vaghi delle tradizionali canzoni, quali:
Duval, Tonassi, Bertaggia, Tessarin, Cestari, Galli, Aloysio[56],
Malipiero, informarono a que’ canti le rozze voci, e l’espressivo
dialetto dei gondolieri.

Giacomo Bortolini ora conduce il _coro dei pittori_, ricostituito sotto
il nome di _Compagnia nazionale di canto della Laguna_ per cui compose
e pubblicò una raccolta di nazionali canzoni. — Acerbi istruisce i cori
teatrali. — Nicolò Coccon sostituisce alla direzione dei fanciulli e
cantori di san Marco il perduto Buzzola.

Antonio Buzzola di Adria, era succeduto verso il 1846 al bravo maestro
Perotti, per ultima proposta di questo medesimo che lo avea avuto ad
allievo e compagno nella cattedra del Furlanetto.

Erudito da viaggi, pratico de’ varj stili musicali, già istitutore nel
canto delle reali donne di Prussia, e direttore nel teatro d’Opera
di Berlino (1843), il Buzzola maestro primario alla metropolitana
basilica di san Marco, e duce de’ cori veneziani, compositore di
riputati spartiti teatrali e di ottime salmodie[57], morì nel marzo
1871; lasciando una collezione estesissima di sue canzoni sopra temi in
dialetto veneziano, onde per lungo tempo echeggieranno ancora le lagune
del suo patetico genio, e l’arpe delle straniere cantatrici ripeteranno
altrove le veneziane memorie, come dovea il teatro per di lui opera
rimasta incompiuta, dar musicato il linguaggio gentil del Goldoni.

Quel linguaggio specialmente poetico e musicale, creato prima da
un popolo per istinto cantore. Egli è quello che canta per naturale
vaghezza e non per dettame o imitazione.

«A Venezia, ebbe a dire l’amico Fapanni, canta il gondoliero
all’unisono della remigata; canta il marinajo ammainando le vele; canta
il pescatore nel gettare e raccogliere le reti; canta la donnicciuola
infilando perlette seduta all’uscio della casa; e la giovinetta nello
stendere sull’altana i pannilini risciacquati, modula pur essa le
canzoni cognite al suo cuore.»

Che parlo io dunque di teoriche scuole e di maestri al popolo di
Venezia che canta sempre a sua posta?!...

— Sulle adriatiche lagune, io stesso posi mente talvolta al popolano
che non medita ed opra, a quello spirito semplice e forte che alla
verità prima più ci ravvicina: lo contemplai perfino in quei momenti
ch’egli tormenta nell’ebbrezza del vino lo spirto dell’uomo, per
rinvenire sollazzo alla stanchezza dell’animale; e dal suo delirio
intesi levarsi qualche suono, tenuto in cantilena di flebile
lamentanza, e in compassione della sua donna, gloriandone gli atti e
le parole. Ho sentito l’ebbro svelare i segreti e le tenerezze nella
poesia del suo cielo; e rammentare, come in pianto, gli affetti della
generosa compagna: e nell’intervallo d’una lunga cadenza, i campi di
acque ripetere sotto alla notte le parole della donna del povero, quasi
ne significassero l’amore all’universo. Mentre quella donna nello
stretto di meschine pareti prolungando una sforzata veglia, sopra
a interrotti infantili vagiti, piange, e canta anch’ella, in mesto
amor discolpando il traviato sposo.[58] — Chi potrebbe raccogliere
gli effluvj di que’ lamenti?.. Come le melodiose note dei cantori del
bosco, si perdono nelle armonie del creato.

Abbiamo toccato della passione ingenita dei Veneti, da antico profumata
in loro quasi orientalmente, pel contatto colle poetiche terre lungo
tempo prima che ad altri popoli per le Crociate fossero note. Vedemmo
quasi indipendente e spontanea avanzata la scuola de’ suoi compositori
e cantori, e men degenere ai tempi madrigaleschi. Ed allora che la
semplicità e il piacere riformavano fra i Fiorentini il barocchismo
delle astruserie e delle straniere importazioni, il genio a Venezia
tendeva alla stessa meta.

Lazzaro da Curzola, canzoniere del 1500, opponeva ai madrigali le sue
facili _Frottole_, che un secolo dopo, per le canzoni di Paolo Briti,
non erano ancora dimenticate.

E quando i compositori sospendeano di somministrare nuovi canti
al popolo, questo da per sè esprimeva musicate le espressioni de’
suoi affetti di patria e d’amore, come ai tempi delle guerre contro
l’Ottomano (1571), e del clamoroso interdetto di Paolo V. (1606); o
ricorrea all’antiche rime e tornava a melodiare — _Intanto Erminia fra
le ombrose piante_.

Successivamente al ricomparire di eletti trovatori s’attagliava il
popolo ai canti da essi nuovamente proposti; quindi le canzoni musicate
dal Lamperti, dal Perucchini, dal Veluti sempre nel facile modo, nel
tenero idioma[59].

Anche un Angelo Colonna stimato suonator di violino a Venezia, al
fine del secolo scorso, melodiava deliziose canzoni; ed è sua l’aria
in forma di _barcarola_ — _La biondina in gondoletta_ — che divenne
tanto acclamata, e nell’alta società, e fuor d’Italia fu cantata da
Pacchiarotti, dalla Todi, dalla Sacchetti e dalla Catalani. A quei
dì pure, un giovinotto barbitonsore, Domenico Dragonetti, associatosi
con una donzella popolana, la Brigida Banti, e con qualche altro che
toccasse il violino, avea formato uno di quei musicali drappelli,
che anche oggidì s’odono per Venezia; e moveva, primo forse, per le
contrade, egli col violoncello, e la Banti con voce d’angelo. Vennero
poi in tanta rinomanza, che dalle callajette di Venezia salirono
oltremonti, chiesti a concerti nelle sale e ne’ teatri.

La Banti inaugurò il nuovo teatro la _Fenice_ nel 1792, assieme a
Giacomo David e al Pacchiarotti, coll’opera di Paisiello, _I Giuochi
d’Agrigento_.

Di là tanti girovaghi ch’ebbero la lor fama, e che destarono muse
gentili alle modulazioni volte per istinto a’ soavi concenti, a quelle
canzoni che nel popolo son l’effusione di anime vergini[60].

Finchè il patrio risveglio rifuse coi dolci idilj le forti canzoni; e
cogl’aspiri nazionali, e le elegie del rinnovato servaggio, e gl’inni
della riscossa corroborarono di nuova impronta i popolari rispetti le
spontanee vaghezze de’ moderni cantori che, lungo le sponde di Venezia
e di Napoli, per l’invenzione melodica, non abbisognano di maestro.

«Le melodie caratteristiche di que’ popoli sono in piena armonia
con quel cielo tutto amore che eleva l’anima a sublimi concenti,
che infonde nel cuore dei suoi figli quell’alta poesia, la quale
si apprezza col sentimento e non si giudica colla scienza; poesia
esistente nell’animo di quelle nature la cui vita sembra un canto
immortale, dolce, melanconico come una rimembranza, come un eco che
dorme ne’ boschi e fra monti, e che mormora appena, fino a che non lo
desta il grido delle passioni e del dolore[61].»

Declinarono appunto i Conservatorj, divenuti che furono quasi istituti
meccanici, innanzi a quello sviluppo i cui frutti maturarono presto
sotto il sole delle rivoluzioni.

Per ricondurli a nuovo splendore, e riattendere un utile dalle loro
scuole, gl’intelligenti proposero di provvedere — a un corso di tecnici
studj compiuto in ogni sua parte, che non sia più un vago insegnamento,
frazionato, e senza intento bene determinato — ad una istruzione che
valga a togliere la musica dalle basse regioni della perizia unicamente
meccanica e dagli intenti vani o mercantili, per trasportarla in quelle
_dell’arte vera_ e _della poesia_ — allo sviluppo e perfezionamento
delle attitudini naturali degli allievi — _alla educazione del gusto_
ed al guadagno di tempo, per una _letteraria istruzione_[62]. —


_Seguito della rassegna delle attuali scuole. — Conservatorj
oltramontani. — Influenza italiana all’Estero. — Rivoluzioni straniere.
— Preponderanza._

In onta però alla decadenza de’ più antichi ed illustri Collegi di
cantori, siccome il bel genio non potè nè può dipartirsi dalla terra
di suo speciale retaggio, non poche scuole fuori di Italia ricorsero
ancora a noi per ricercare il retto cammino, animate ancor da una fede,
memore d’un passato incontrastabile e d’un presente non interamente
perduto.

Nelle straniere scuole reso pure insufficiente quell’insegnamento
pratico mantenuto dalle _Maîtrises_ della Francia e del Belgio, quello
della Abbadia di Scheussenzied, quello della scuola detta della Croce
di Dresda, di San Tommaso in Lipsia, benchè tutte lodatissime così
per la copia come per l’eccellenza dei frutti; e sentito il bisogno
ivi pure di emancipare ormai l’istituzione musicale da quelle scuole o
conservatorj de’ passati tempi che dipendevano ovunque, od erano poste
ai servigi di cappelle, di confraternite, congregazioni, o sodalizj
religiosi, e lanciarsi con nuovo progresso nei più liberi campi aperti
col tramonto di que’ collegi dal genio musicale italiano; con risoluto
abbandono più che non avessero usato in cospetto alle rivoluzioni
operate dai nostri sommi maestri delle cappelle e de’ conservatorj,
tutte le scuole si volsero ai potenti che disertavano dalle viete
pratiche, ai nuovi geniali nomadi del bel canto.

A Parigi, ove con Cherubini s’accolse la riforma, e la nuova anima del
movimento musicale francese, sorse quell’Istituto di cui il siculo
maestro fu prima gloria. E come al tempo del Cherubini si regola
ancora; chè poco o nulla fu innovato, nè maggior progresso si nota
sotto l’unico maestro che l’italiano rettore ebbe a sostituire.

Daniele Auber di Caen fu questi, allievo, e successore nel 1824 del
primo maestro, i di cui dettami non fece che seguir fedelmente, e sulle
basi puramente italiane giunse alla bella fama, per cui l’autore della
_Muta di Portici_ fu riverito. E come perdita di nostro compositore,
nell’epoca della fatal rivoluzione di Parigi (11 maggio 1871),
lamentasi la morte di lui che era nato il 29 gennajo 1782.

Il nestore de’ maestri francesi aveva poi subìta più d’ogni altro, e
fino agl’ultimi anni di sua vita, la Rossiniana influenza.

Della quale risentesi il vivente Bonnheur, e Thomas seguace di tale
scuola, e che succede ad Auber nel Conservatorio.

Non ne era stato esente anche Herold, ispiratosi in Napoli al tempo di
Murat, e che toccava l’apice colle due partizioni _Zampa_ e _Pré-aux
Clercs_, ultimo lavoro di lui morto il 19 gennajo 1883, appena
quarantenne.

Se v’hanno scuole in Francia che abbiano men risentita la influenza
italiana, sono quelle del canto leggiero e veramente francese, di cui
Charlot, vissuto fino al 1871, fu all’_Opèra Comique_ primario maestro.

Ma questo non fece che confondere e corrompere la buona tradizione,
trascurata sempre più dalla moda. Ragion per cui in oggi (settembre
1872), nella Francia sconvolta e repubblicana si deplora la perdita di
continuatori della bella scuola, specialmente nei compositori, i quali
coi lor canti e pei canti medesimi sono i primi naturalmente a formare
gli esecutori; e s’invoca la venuta di nuovi creatori di cantanti, con
una tal quale ingenuità di confessione non disgiunta dalla connaturale
jattanza, ch’io non posso fare a meno di riportarne alcune parole
testualmente.

«Le répertoire de l’Opéra, toujours le même depuis bientôt un
demi-siècle, ne se transmet plus de chanteur à chanteur; les grands
maîtres parmi les interprètes se sont tous depuis longtemps, et les
chanteurs nouveaux ne savent plus comment se diriger dans les oeuvres
du passé. Aussi plus nous nous éloignons du temps où les grands
compositeurs défendaient pur eux-mêmes leurs ouvrages, plus l’exécution
faiblit et elle faiblira jusqu’au jour où elle deviendra une question
d’art vocal, d’archéologie musicale.

On se demande souvent comment parer à cette déchéance de l’art
du chant, qui s’accuse de jour en jour. Ne vous en prenez pas au
Conservatoire; le Conservatoire ne fait pas des chanteurs, il les
prépare. (Les traditions sont là). C’est le compositeur qui fait des
chanteurs; c’est lui qui s’impose à eux, qui leur donne la direction,
qui leur indique les effets, qui les oblige à être les interprètes de
son oeuvre: il est leur meilleur maître, leur guide infaillible, et
après ce grand travail des répétitions il ne leur abbandonne son oeuvre
en face de public que quand il est sûr d’eux. Rossini a été à lui seul
un conservatoire; et il a fait deux générations de chanteurs. Auber a
créé des artistes du chant élégant, fin, spirituel comme sa musique. Le
talent tout italien de Levasseur s’est transformé sous la direction de
Meyerbeer.

Les comédiens se forment avec les leçons de l’auteur; les chanteurs
sous la direction du compositeur (l’auteur fera son chanteur);
le savoir, le goût et l’intérêt du compositeur vous répondront de
la valeur de l’exécutant. Mais où est-il cet auteur qui deviendra
souverain maître de chant de l’Opéra?

Si glorieuse qu’elle ait été, cette gran scène de l’Opéra mourra si
l’on n’en renouvelle pas les éléments, c’est-a-dire les oeuvres et les
chanteurs: l’Opéra italien est bien mort, et pourtant quel répertoire
et quels interprêtes n’at-il pas eus!...

Il serait _pourtant temps_, de se mettre en quête et de faire proclamer
aux quatre coins du monde, par la voix des hérauts de l’Opéra, que
notre Académie républicaine de musique demande des compositeurs; qu’ils
viennent, come sont venus par le passé Spontini, Rossini, Meyerbeer,
Donizzetti, Verdi; qu’ils se pressent, sans cela nous allons mourir
d’inanition.»

Così M. Savigny critico teatrale di Parigi, che dal giusto rimpianto
dei sommi italiani ristauratori anche del canto nazionale francese,
precipita alla disperata sentenza che la _italiana opera è morta_!...
Peggio per lui! Se può mai valere quel grido più che non abbia meritato
quello che facea dell’Italia _la terra dei morti_! e più che non sia
stato veridico il famoso _Jamais_! a Roma.

Nelle osservazioni della stampa francese, rispetto al canto attuale
di quella nazione, in cui già si comprende per gran parte anche quello
delle regioni finitime, giova piuttosto por mente alla rassomiglianza
e quasi rinnovazione dei lamenti e della disperazione di Rousseau
intorno ai canti e cantori del suo tempo; osservazioni che sembrano in
oggi venute a riconfermare le schiette confessioni di quel filosofo,
e a suggellare la verità che, pel canto, all’Italia si dovrà sempre
ricorrere.

Non fu poi celebre italiano e maestro che a Parigi non fosse invitato.
Di tale concorso di genj in quel centro, fu fatto merito talora allo
spirito francese, vantandone o la imparzialità da cui fu detto ch’egli
trae la sua forza, o l’elevato ecletismo che accetta e s’appropria
quanto è di buono, dovunque venga senza inquietarsi della sua origine,
o l’ottimo gusto alla cui sanzione il genio si volle ricorso; altre
volte invece s’attribuì quel vanto alla vaghezza di protezione, alla
pretesa d’incivilimento, alla boria di possedere tutte le rinomanze,
alla leggerezza delle novità; più spesso, quel forastiero concorso fu
trovato rispondere all’istinto mutabile della nazione, alla sterilità
natia di veri genj, all’aureola della migrazione, alle lusinghe infine
del lieto vivere e largo.

Fatto stà che Lulli, Fantoni, Duni, i Rossi, Piccini, Sacchini,
Spontini, Cherubini, Donizzetti, Rossini, Carafa, Ricci F., e Verdi,
e gli stessi Mozart, e Meyerbeer fecero arrossire secondo alcuni, e
secondo altri fecero andar fiera la Francia.

Ultimamente ancora, a quella Accademia delle scienze, il gran premio al
Concorso di Francia lo riportava il nostro prete Tomadini, maestro di
Cividale (Friuli), di cantici sacri esimio fattore.

Dell’antica scuola poi di bel canto del Mengozzi, tanti altri italiani
rinnovarono gli allievi a Parigi, che apprezzò fino a questi giorni
un Antonio-Matteo Ottolini Porto, e un Francesco Del Sante, di fresco
perduti[63]; i Ronzi, associati ai nomi di riputatissime allieve[64];
il Tempia di Torino, ed il Viannesi. Michele Carafa illustre soldato e
compositore per oltre 50 anni istruì le armate di Francia reggendo il
Conservatorio musicale militare a Parigi[65]. Muzio milanese e il Dami
dirigono ancora quel teatro italiano.

Per molti anni anche Giuseppe Persiani, marito alla celebre cantatrice
di questo nome, e compositore di varie opere, insegnò in Francia, e
morì a Ternes, in agosto 1869.

Al Conservatorio di Colonia il prefato Marchesi, maestro di canto e
di lingua e letteratura italiana, si adoprò attivamente anche cogli
scritti e con pratiche regole di sua invenzione a restaurare la buona
scuola ai cantanti.

Similmente il dottor Bennati aveva operato a Vienna fin dall’anno 1831,
quando dopo l’undecimo Congresso medico tenuto in quella capitale, per
cui scrisse, come vedemmo, sull’organo vocale, ivi rimase e fondò una
sua speciale scuola di canto.

Ora a Vienna, la Marchesi moglie al succitato professore, maestra a
quell’imperiale Conservatorio, vanta fra le sue allieve le cantatrici
di maggior rinomanza, quali la Sass, la Fritz, la Krauss, la Spitzer,
la Murska, la Dory, la Leontieff, la Schmerhofsky, all’italiano canto
egregiamente riuscite.

Salvi fu l’ultimo della serie de’ nostri italiani a quel teatro e a
quella Corte (1863).

A Dresda, nella scuola del parmigiano Paer, brillò il veneto Casorti
Alessandro, celebre violinista, compositore e maestro, che ancor
giovane, da esaltazione di mente spento, ivi nel 1867 ho compianto.

In Russia, dove i più rinomati cigni della maravigliosa scuola
napolitana del passato secolo fermarono stanza facendo echeggiare
d’insoliti accenti quelle fredde lande, ai tempi appunto che Cimarosa
vangelizzava la melodia, e Galuppi v’aggiungea il calore delle
veneziane canzoni, fu chiamato a Pietroburgo anche il celebre italiano
Sarti, 1784, al governo della imperiale cappella.

E già nel 1788 la sua scuola era tale che fu solennizzata la famosa
festa di Okzakow col suo Te Deum cantato da innumerevoli voci di cori
russi, ai quali formavano base i colpi dei cannoni di differente
calibro tirati a tempo e assegnati ad intervalli dalla corte del
castello, sorpassando ogni effetto fino allora ottenuto nella capitale
del Nord.

Nella scuola della capitale medesima regolò poi per varj anni il bel
canto Federico Ricci; Pietro Repetto fu ultimo maestro di canto a quel
Conservatorio; il torinese Mario, dal 39 al 50, vi sparse largamente le
sue maniere; Cesare Pugni insegnò fino al 1870 in cui morì; il tenor
Calzolari vi diffonde ancora le finitezze della sua arte; il maestro
Fenzi le sue composizioni.

Al nuovo Conservatorio imperiale di Mosca fu chiamato nel 1868 il
valente artista tenore Giacomo Galvani già allievo del Tadolini di
Bologna; il quale se fu stimato in Italia perchè geloso delle dolcezze
del nostro canto, ivi ebbe vanto e libertà di fondare la sua scuola
delle graziose modulazioni.

A Tiflis insegnò l’arte fino a questi giorni Giuseppe Catani fratello
al rinomato buffo cantante. A Karkoff, Gaetano Grazia. A Odessa il
basso comico Lodovico Cammarano, ivi morto nel 1869.

A Tangrog s’avvicendano maestri italiani. Anche in quest’anno, 1872,
Fenzi e Antonietti diedero nuove opere a quelle scene.

A Jassy (Moldavia), Francesco Caudella già da molti anni fondò un
Conservatorio, e lo diresse fino all’età sua d’anni 87, in cui morì
(luglio 1869).

In Dalmazia distinguonsi i maestri Ravasio ed Alberto Visetti.

Svezia e la sua Corte, solo da pochi anni perdettero il bravo veronese
maestro Foroni, autore dei Gladiatori, nelle terre Scandinave tutte
rinomatissimo.

Celebre altrettanto per la scuola di canto in Danimarca è l’italiano
Siboni, vivente a Copenaghem.

Nella nobile terra, sorella di sventure e di glorie all’Ungheria ed
all’Italia, e alla quale Misckieviz lasciava morendo i suoi canti
immortali, a Versavia, insegnò Achille Bassi, e il tuttora vivente
Quattrini.

Il professore dell’Istituto musicale di Cracovia, Stanislao Mirescki,
ricorre a Milano onde perfezionar sè medesimo nell’insegnamento, e
si fa scolare al Lamperti pel canto; esibendo un nobile esempio che
dovrebbero imitare tanti maestri[66].

Pel Conservatorio nazionale di recente fondato nella bella capitale
della risorta Ungheria[67] chieggonsi i nostri maestri. Mentre la nob.
Albina Burky di Pest, maritata in Benedetti a Milano, continua quivi a
studiare e compor canti ad onore del suo paese.

Non cessa nelle Spagne l’eco di Farinelli: un Baldassare Saldoni è al
Conservatorio di Madrid, dove voleasi a direttore il Lauro Rossi; e al
teatro Luigi Cuzzani.

A Valenza, Venceslao Agretti è ora compianto tenore insegnante e
compositore.

Succedonsi gl’italiani maestri al Liceo di Barcellona.

Coppola, l’autor di _Nina pazza per amore_, illustra Lisbona.

Tradizioni d’un bravo maestro Pajago milanese rimangono ancora a Corfù.

Nelle terre dei Turchi, non disgiunte dalle memorie delle terre
spagnole, dove anticamente Arabi, Persi ed Indiani, istrutti nel canto,
veniano condotti schiavi, e mercè la loro scienza trovavano libertà
e ricchezze, cui corrispondevano educando ad un culto quasi ignoto i
feroci loro conquistatori, ogni traccia della diversa propaganda, nel
passato secolo potea dirsi smarrita, o ridotta almeno alla confusa
cacofonia di rumorosi strumenti.

In alcune Moschee soltanto conservansi, come tuttora, quella specie di
declamazione accentuata proposta già da Khaldoun, dappoichè il Corano
vietò l’uso della musica nella sua lettura, ed i puristi a malincuore
tollerarono una larva di canto.

Non trepidavano più sotto alle lor bende le bramose mussulmane ai canti
delle celebri Obeideh e Moleijem, che lasciarono impressioni profonde;
della Oreib, che superava tutte le cantatrici dell’Hedjaz, conosceva
21500 melodie, e la cui vita fu un mar di avventure; della Dokak,
delizia alle corti di Aaron e di Mamoum. Le schiave non possedevano più
quei facili maestri, quale fu Jésid-Haura di Medina, tacciato d’aver
perduta la sua originalità per aver egli comunicato tutto il suo metodo
alle schiave di Madhi (785 era volg.); nè eranvi più gli storici che di
esse cantatrici e de’ loro successi si facessero banditori[68].

Le corti non andavano più superbe nè subivano più le influenze dei
tradizionali cantori Jbraim, Jshak, Mocharik; come alla famiglia dei
Barmecide rimase legata la fama del medinese Mabed-Jakthin; nè andavano
più superbe di famosi musicisti quali Selsel (o Schaefen), ed Omer
Meidani di Bagdad, detto il maestro delle espressioni dei canti (800).

I guerrieri non avevano più chi loro intonasse gl’inni, come
ricordavasi Hind figlia di Otha fra i Coreisciti, e il giovanetto
Olimpio de la Serra fra le Moresche schiere nelle Gallie
irrompenti[69]. I potenti non aveano più da gettare a larghe mani l’oro
per un Sobeir-Jbn-Dahman, od un Kalem[70], nè aveano a fremere, come
Maometto satirizzato dal cantore Fertina figlio dell’arabo Katal, al
quale sentenziò la morte[71]; e come Al-Mamoum califfo, che per levarsi
d’attorno la bella e tremenda voce di Mohammed-Jbonoh-Hares, voleva a
questi mozzare la testa[72].

Ma queste non son più che memorie rimaste ai dotti ricercatori di
quelle terre, e smarrite a quei popoli, come le loro sabbie portate
altrove dai venti.

Non è a dir se poco o nulla rimanga fra le odierne tribù del deserto,
di que’ memorandi improvvisatori arabi liberamente diversi dai mirabili
loro confratelli detti _Mohaddety_, cantori storici, e dai _Mousahher_,
o risvegliatori religiosi, che nelle asiatiche e africane terre
giravano un tempo.

E nelle regioni Asiatiche occupate dai Turchi, ove si tennero
gl’immensi cori di Davide e Salomone, dove Heman figlio di Joal co’
suoi quattordici figli cantava al Signore, dove furon maestri Azaph
figlio di Barachìa, Ethan figlio di Ben, e Chenanìa; dove gli storici
trovarono degni d’essere tramandati i nomi dei cantori: Zacharia,
Oziel, Semiramoth, Jahiel, Unni, Eliab, Benaia, Maaséia, Mathithia,
Eliphleia, Mikneia, Obed-Edom, Jechiele, Jdithum e figli, e tanti
altri; dove anche i Romani scelsero i più periti che cantassero ai loro
trionfi; ora che resta?.... pochi romiti stranieri salmodianti in fioco
metro attorno una pietra di sepolcro.

Nelle Moschee di Costantinopoli, negli Haarem di Tunisi e del Cairo non
rimanevano che pallide tradizioni.

Pei canti religiosi ricorrevasi ancora ai servi persiani, fra quali
Aboul Jaafar ebbe la maggior rinomanza.

Per gli altri canti, che si distinguono in _Turchi_, Scharki, e
Turkmani, corrispondenti a _popolari_, _eroici_, _erotici liberi_,
o _accompagnati_, inventori ed esecutori erano quasi tutti greci di
Smirne e Costantinopoli, i quali poteano darsi vanto che uno della
loro nazione, nomato Chiveli-Oglu-Zorgaki, avesse avuto l’onore
straordinario di cantare innanzi al sultano Mahmoud.

Ma venne la lotta di libertà; seguì la emancipazione della Grecia
dall’impero Ottomano; il progresso occidentale fa sentire la sua forza
oltre i mari; ed ecco anche nuovi modi e nuovi canti s’impossessano
delle regioni abbandonate dall’indigeno genio. Colla civiltà novella,
Europa comunica anche i suoi tesori musicali, che lenti dapprima
colle missioni, colle istituzioni di carità (Vedi retro pag. 87), coi
saltimbanco, si diffondono poi rapidamente e signoreggiano colle scuole
e i teatri.

A Costantinopoli, dove nel nostro secolo l’arte si svolse specialmente
per l’opera di Giuseppe Donizzetti, fratello al fecondo compositore,
innumerevoli italiani maestri di canto fiorirono. Fra questi, Zanardi,
l’arpista veronese, e G. F. Foschini insegnarono lungo tempo e
fruttuosamente in Turchia[73].

Vedremo appresso più recenti maestri e cantori in quella capitale, e i
nostri nuovi trionfi nel Cairo.

Chè, colla propagazione dello incivilimento, perfin nelle terre
più incolte e degenerate, concorrendo anche le scuole e i teatri,
s’aumentano da ogni parte alla scuola madre le richieste degli allievi
che le fanno più onore.

Io non appunto, come piacque a qualche statistico, il danno delle
nuove erezioni di tanti teatri, alla smania eccessiva del divertirsi,
ma piuttosto ne accordo il merito all’agitamento imperioso dell’umano
progresso, e questo pure riguardo siccome dato di civiltà[74].

Nelle Indie, riguardo alle quali abbiamo notato per le origini del
canto, non estraneo all’antica civiltà di que’ popoli il culto della
musica, la quale riduceasi specialmente alla parte vocale, e quindi la
conservazione religiosa dei modi consentiti al proprio linguaggio, il
corso inesorabile de’ secoli ne avea nonpertanto distrutta quasi ogni
traccia[75].

Nemmeno la Persia mandava più êco di quel grido che i suoi cantori
aveano spinto, come vedemmo, in Arabia, in Turchia e in Babilonia,
la cui storia ricorda perfino il medesimo governatore persiano di
quest’ultima, Aunarus, che avvolto in muliebri vestimenta cantava fra i
cori delle sue mense.

Gli scopritori penetrati in quelle regioni non trovarono di canto che
il monotono lamento d’una oscura decadenza.

Seppero di antichi codici musicali, ma resi rari, e abbandonati. Nè
valsero a rianimare quelle spente teorie, le traduzioni e i commenti
d’un Mirza-Khan, sotto il patronato di Aazem-Schah, che voltò in
persiano i libri: Sangita Ratnakara, _Ragarnava, Ragarderpana,
Sabbavinoda_, e _Darpana_, antichi trattati musicali indiani.

Le Sangita _Damodara_ e _Narayana_ trovarono custodia perpetua nelle
biblioteche della Società scientifica di Bengala e Calcutta. Rarissimi
maestri indiani attenevansi ormai a que’ libri divenuti di lingua
morta.

Hussein-Houly-Khan forse fu l’ultimo a decifrarli in parte, nel suo
nuovo trattato del 1830.

Ma le esecuzioni pratiche vocali nell’Indie odierne sono condotte ben
diversamente che dalle antiche teorie.

Il carattere primitivo tutto alterato non sarebbe più riconoscibile.
Perfino i canti delle ardenti _bayadères_ non apparivano ormai che
insipide cascanti salmodie[76].

Furonvi non pertanto alcuni meno infelici cantori i cui nomi dal cadere
dello scorso secolo ci furono tramandati. Dillosock il più celebrato;
la avvenente ed abile Chanam, Chorèe inventore delle arie dette
_Toupphas_; Soudaroung, Nour-Khan, Janie, Gholam, Roussoul, Charket,
nomadi cantanti, regolati anche da accompagnamenti istrumentali.

Era la estesa importazione europea che dava agli antichi sistemi
l’ultimo crollo. Era l’opera dirozzatrice de’ Missionarj nell’Indie
che fondava nuove norme anche pei canti e le corodie. Nè vi mancarono
artisti che della scuola italiana, nomadi o fisse vi piantarono le
tende.

A Calcutta si successero maestri e cantori nostrali, ed un Guglielmo
Mack, che adesso vi compone ed insegna, è un allievo della scuola
napolitana. Anche la Varesi educò al canto gli abitatori di quelle
regioni.

Panizza vi sperimentò una sua nuova Opera (1872).

A Simla, vicereale residenza del vasto impero Indiano, è il fiore degli
allievi e degli amatori delle nuove musiche, diretti ordinariamente da
maestri italiani.

Nell’isola Ceylan, si è stabilita quella Marras, il di cui padre
Giacinto Marras, rinomato tenore e maestro compositore, dal settembre
1870 prese a percorrere le principali città indiane iniziandovi il
gusto de’ classici concerti, già favorito a Madras, a Simla, nel
Punjaub e a Magdala dal Vicerè lord Mayo, protettore della musica
e dell’arte italiana nell’Indie, cui toccò morire assassinato nel
gennajo di quest’anno 1872. Altri governatori accolsero il Marras,
e lo invitarono, novello _awelcome_, a ritornare in quelle città,
quando restituivasi a Londra dove rappresenta la pura scuola di canto
italiano[77].

Un Gasperini insegnò canto a Java, e nelle Filippine.

In China, Ugo Pellico triestino, cantore baritono, fissando or son
tre anni stabile dimora ad Hong-Kong, riusciva, mercè la non comune
intelligenza e attività, a iniziarvi una scuola, e una Società corale
inglese, dando così all’arte del canto, anche in quelle lontane
regioni, lustro maggiore, dopo l’apostolato dei missionarj che a nuovo
civilimento non ultimo il religioso canto vi hanno fatto conoscere. Ma
il povero Pellico ivi morì ventiottenne (1871).

Nelle Americhe, dove i canti selvaggi commisti talvolta a lontane
reminiscenze di modi indo-egizi furono sorpresi primamente dalle
canzoni genovesi-spagnole, e dove non tardò ad insediarsi con natural
supremazia il canto italiano, sia di stile drammatico che religioso,
il nostro secolo diffuse il generale suo progresso e vi compì, dirò
quasi, anche per la musica l’assimilamento europeo. Affrettò l’opera il
facilitamento delle comunicazioni, e più frequenti i vangelizzatori del
canto concorsero. Tanti là trapiantati finirono, ed ivi soltanto rimase
la loro memoria.

Un Besanzoni Ferdinando veneziano fu maestro per venticinque anni in
America, e giunse appena a morire in patria nel 1868.

Manzocchi Mariano napoletano tenne scuola di canto a New-Jork fino al
principio del 1870, in cui morì. Antonio Biagioli bolognese, ivi pure
finì d’insegnare a 76 anni dove altro suo compaesano, Giuseppe Sarti,
già addetto ai teatri di quella Accademia, rinnovava la scuola, e
ritornando in patria per ristorar la salute moriva a 39 anni (ottobre
1871)[78].

A Nuova Orleans fanatizzava col canto Amalia Garcia, quando colta
da infelice amore si propinò un narcotico, si pose al pianoforte, e
cantando finì (1871).

Il concorso degli italiani nel nuovo mondo, non disgiunto, è vero,
dalla vaghezza di cercarvi fortuna, fu anche spinto peraltro da quello
spirito di propaganda e dal bisogno quasi di trasfusione dell’arte
geniale; per amor della quale potrebbonsi annoverare anche non pochi
martiri in quelle ed altre lontane regioni. Basterebbe la sfida alle
terribili morìe cagionate dalla febbre gialla fra i nostri artisti, cui
tratto tratto s’aggiunsero le persecuzioni gelose agli europei.

Per accennare soltanto ad alcune ultime vittime dell’arte, segno la
relazione sola di questi giorni, d’un egregio tenore, Melchiore Vidal,
e della Concetta Rubini, periti pel morbo tiranno in Avana, e del
giovane maestro Giov. Panormo assassinato a New-Jork.

Venceslao Fumi è maestro a Buenos-Aires. Luigi Delurie, marito alla
Borsi, nel Chili. Da ben tredici anni, Lelmi tenore percorre quelle
contrade. Un La Cecilia, già generale, v’impiega la voce baritonale.

Altri italiani in Avana, alla Accademia Ceciliana, ed alla Avanera,
dove Lauro Rossi fu maestro e scrittore di sacre melodie; ed altri al
Conservatorio imperiale di Rio-Janeiro. Anche alla direzione di questo,
veniva chiesto e desiderato il Rossi, che nel Messico, fino al 1843,
tanta fama acquistavasi, e di tanti buoni allievi arricchiva quelle
regioni, che dicevasi dal popolo, a sommo suo elogio, _bastar quel
maestro per cantare anche senza mezzi organici_[79].

Altri italiani in Australia ammaestrarono al bel canto dai teatri e
dalle stanze di Melbourne e di Sydney, quali, il Neri, la Tamburini, ed
or la Bosisio.

In Inghilterra, dove la istruzione elementare e lo studio dell’arte
musicale non furono mai come adesso tanto diffusi, eppur sembra che
non possano mai sorgere indigeni compositori forti da togliersi alle
viete, continue, avvicendate cantilene, le sole ispirate da quel cielo
nebuloso, e quindi avidamente gl’inglesi si volgono agl’italiani canti
della vita[80].

A Londra, fra tanti italiani cantori e maestri, Tito Pagliardini
riprese la scuola celebrata del Veluti e del Garcia; e fino al 1870
diresse ivi l’insegnamento vocale della r. Accademia il prof. Adolfo
Ferrari. Michele Costa è l’anima d’ogni vocale e istrumentale concerto;
lo si può dire il padrone del teatro italiano Drury-Lane, dei concerti
dell’Albert-Hall, del Palazzo di Cristallo, e di S. James-Hall e lo
chiamano a Londra _Conductor maximus_.

Un altro campo di direzione e d’insegnamento rimase pure in Londra
assegnato a Giulio Benedict alemanno, ma tale che sacrato tutto alla
musica italiana, influenzò ivi a diffonderla e si può ascriverlo tra i
maestri eccellenti di bel canto. Per tali meriti, a questo ed al Costa
gl’inglesi non furono schivi d’accordare un onore raramente concesso,
quello della nobiltà col titolo _Sir_.

Antonio Bottesini veronese, il prodigio dei contrabassi, e compositore
di facile vena melodica, sostenne vario tempo in Londra il prestigio
del canto buffo italiano coll’opera _Alì-Baba_, altrimenti musicata
un giorno da Cherubini; e passò quindi con riconfermate scritture al
teatro nuovo vicereale del Cairo, ove altro italiano Devasini è stabile
istruttore dei cori (1872), ed anche un Taddeucci è maestro.

Il maestro Campana ed il Foli diffondono in Londra buona musica
italiana da camera; così Tito Mattei, che fa ripetere in ogni stanza il
suo romantico canto _Non è ver_ — e Pietro Arditi i ballabili a canto,
come il suo _Bacio_.

In pari tempo un allievo del m.º L. Ricci, Alberto Randegger, propagò
colle composizioni e gl’insegnamenti le apprese maniere; ed il principe
Paniatowski, già seguace onorario della scuola italiana, testè balzato
dal seggio senatoriale di Francia, s’è reso effettivo maestro di canto
fra la inglese aristocrazia.

Nè gl’inglesi, pur tanto gelosi delle cose loro, disdegnano
d’accogliere con più o men favore tanti altri italiani maestri, quali,
il Piatti di Como; lo Schira[81]; Pinzutti; Benvignani; Gaetano Masini;
Luigi Golfieri, che diffondono il nostro canto popolarmente.

Chè, gl’inglesi non si lasciarono sfuggire mai le occasioni che l’arte
o la politica loro offerse, e per la loro ospitalità liberale, non fu
maestro o cantore italiano da cui non accettassero insegnamento.

Altre scuole straniere invece pretesero desse venirci in ajuto.
Queste, e forse le più impotenti al nostro canto, ci proposero il loro,
progredito se vuolsi, ma sempre strano, rubello, e alla nostr’anima
incomprensibile, ingrato.

Esse vorrebbero dimenticare che un’Affabili ha preceduto Weber a Praga
(1810)[82], ed un Gabrieli a Berlino (1790): che in quella capitale
boema Luigi Ricci (di cui diremo altrove) fondò scuola e fece allievi
ammirati. Giovanni Gordigiani di Modena[83], antico maestro durato
fino all’ottobre 1871, mantenne splendidamente l’insegnamento di canto
a quel Conservatorio; mentre nella capitale prussiana la influenza
operata da Clementi e Spontini non è ancora spenta, e le saporite
canzoni del veneziano Buzzola si modulano tuttora a quella Corte[84].
Incancellabili poi le tradizioni lasciate a Vienna d’Austria, tra gli
altri italiani, dal Mazzola, dal Sarti, dal Mancini, dal Salieri[85],
dal Donizzetti.

Rinnoverebbero il ritornello iniziato dai musurgisti tedeschi al
principio del secolo, contro il melodico compositore Felice Maurizio
Radicati, torinese, violino alle corti di Torino e di Vienna; cioè: «Le
menti italiane atte non essere a composizioni d’altissimo stile»; sfida
peraltro che, rivolta al _Ristauratore del Quartetto italiano_, non
osava ancora colpire i nostri grandi inventori di canti, contro i quali
si mosse dopo il silenzio di Rossini soltanto.

Fu allora infatti che coll’altera pretesa di avere scosso il
convenzionalismo della composizione con Meyerbeer, e d’averlo
rotto con Gounod, insinuarono la modesta proposta di sciogliere dal
convenzionalismo della esecuzione anche la scuola del nostro canto.
Finzione, che vela un’audace arroganza, che cospira a traviarci
maggiormente, che tenta a diseredarci perfino delle nostre tradizioni
gloriose sempre.

Di queste! che, «sono la base delle arti belle. Se Dio ha posta nel
cuore d’alcuno la fiamma del genio artistico, le sole tradizioni
possono tirarla fuori all’aperto e mantenerla viva. Se manca la
sacra fiamma, dalle opere del passato s’imparerà almeno a fuggire
le stranezze, e a cantare se non con _nuove_ invenzioni, almeno con
_buone_.» (Dall’Ongaro).

_Cercar si deve il buon gusto artistico nel passato, non nelle nebbie
dell’avvenire._

Che potevano imparar mai da quel maestro che confessa nella prefazione
d’uno de’ suoi libri nebulosi:

«Non ebbi mai la fortuna d’esser compreso; nè i critici nè il pubblico
ebbero l’intelligenza delle mie opere, nè del mio scopo. Eccettuati
pochi amici, nessuno ha simpatizzato col mio sentimento, e ho dovuto
riconoscere, dopo molte esperienze, che niente ho da aspettarmi
dall’attuale generazione; è solamente per _l’avvenire_ che io lavoro.»

La Cappella di Weimar, accreditata scuola della Germania, volle farsi
prima erede di questo misterioso avvenire; fece l’incompreso Riccardo
Wagner suo oracolo; fissò in lei il centro di attività alle mistiche
consultazioni; il punto di partenza de’ suoi proseliti.

Ecco gli _Avveniristi_ — che non hanno stima, nè cura dell’arte del
canto, delle tessiture e delle possibilità di esecuzione vocale,
che scusano il canto con un abuso di declamazione, e che questa
accompagnano da una serie d’accordi dissonanti e discordanti,
dissonanze non preparate e risolte, sovrapposizioni di tonalità e di
segni ritmici...

Ecco il mago, riformatore de’ cantanti; che li vuole — appassionati
nelle parti drammatiche, indifferenti al trattamento delle arie, aridi
nelle cadenze.

Che vuole il pubblico, accorso bramosamente per sentir cantare,
meditante sui varj caratteri, e non inteso al bel linguaggio, alla
grata voce dell’esecutore? —

Fremiti, monologhi, astrazioni incomprensibili; se spunta qualche cosa
di bello, lo si dice _melodico all’italiana_, e presto sia spento. Gli
effetti volgari si fuggano studiatamente.

Bando ai molli riposi che seguono alla voluttà della allegria; bando
alle cadenze, alle _toniche_ finali; che gl’italiani imparino a
tenere il filo drammatico e musicale, lungo, continuo nel labirinto
indefinito.

Per la comprensione, concorrino la volontà, la pazienza, le tradizioni,
l’imaginazione, la lunga pratica, gli studj indefessi; chè l’arte è
_res profunda_!...

Ecco i seguaci: «i Wagneriani hanno lunghi i capegli, scarmigliati
molto, la barba lunga, prolissa, incolta, le unghie lunghe ed anche
incolte» come i cadaveri viventi del _Vascello Fantasma_ uscito dalla
strana imaginazione del loro maestro.

Che questa roba produca soavità, e formi la bellezza di canto per
gl’italiani?!

Edoardo Scurè, profondo analizzatore di un tal sistema, lo vede come
una fantasmagoria, e fa di Wagner, in fin de’ conti, un visionario.

Eberle, direttore dei _Maestri cantori_ di Wagner, vi s’immedesima ed
impazzisce[86]!

Il pubblico italiano non senta più, e finalmente rifletta! Da
quell’abbujato trarrà la luce dell’avvenire; da quelle visioni la
riforma; in quelle frementi a melanconiche declamazioni troverà la
bellezza del suo canto!

Oh! venga a togliermi il genio di Rossini dall’incubo tremendo.

Venga pur egli, che, a detta de’ pedanti non ne sapea di contrappunto:
ei che non ebbe il genio di Janacconi, nè i miracoli di pazienza
di Ballabene, Giansetti, Soriano, del contemporaneo Raimondi, pur
abili imitatori degli alemanni. Venga egli che era soltanto il _gran
colorista degli strumenti umani_. Venga colla sua prima _Grande
Cantata_ del 1808, _Il Pianto dell’Armonia_, poi tramutata in scena
delle tenebre nel _Nuovo Mosè_, tipo di grande concerto; venga colla
ultima sua _Petit Messe_ — dove al sentimento religioso di Pergolese,
alla castità di Palestrina, egli anima d’un soffio ispiratore potente
le vecchie e gelate convenzioni scolastiche del secolo XVI, apparecchia
sorgente feconda di nuovo e di bello, raggiungendo effetti insoliti
e prepotenti, che commuovono, esaltano, e fanno sclamare: _Ecce
Deus_! —

Altro che avvenire! Il passato ha un valor vero e reale; ivi la vera
scuola e la delizia del cantante! «È nel passato che lo spirito trova
l’introduzione ai forti studj, la materia prima d’ogni scienza e d’ogni
bellezza[87].»

S’accordi pure di ammirar nella musica le astruserie, le complicazioni,
le stravaganze; ma queste non saranno mai mirabili e possibili al
canto. In questo si potrà riconoscere e rispettare l’indole del genio
nazionale, se ne soffrirà le durezze, se ne onorerà le scuole; ma non
si potrà lodarne le bellezze e permettersene il confronto col canto ad
altri donato.

Una brutta fisonomia, se pur caratteristica, sarà sempre brutta, nè
regge alla bella.

Lo conobbe Beethoven, e non fece che un solo tentativo; si tenne alle
armonie, e restò magnifica la sua musica perchè non ardì corrompere il
canto.

Mozart volle essere italiano, n’ebbe la forza, e vi rimase.

Errico Mehul avea mostrato di attingere alle pure fonti italiane la sua
eleganza (1790). E Lesner, non meno che Weber, in quelle modificaronsi.

Hérold, solo imitando Rossini avea trovata la sua fama[88].

Meyerbeer, sebbene innovatore e abbastanza sviato dal vero cammino, ha
saputo essere grande e ammirabile. Egli non ha voluto slegarsi dalle
leggi della melodia; e non l’hanno compreso, o mentono, coloro che
vorrebbero riporlo fra i fondatori della pretesa scuola avvenire, da
cui lo istesso Wagner lo esclude e seco lui non vuol dividere il regno.
Nè fu fondatore, perch’egli Meyerbeer stesso, dopo aver imitato per
lungo tempo Rossini, non cessò di chiamare l’amico pesarese, _divino
maestro_.

E sebbene, quando a lui venia meno la ispirazione di puro melodista,
sapea ricorrere con tanta sublimità ai tesori della sua artistica
erudizione, e ne usava in maniera tanto meno nociva quanto meno
imitabile, ei non per questo pretese di farsi profeta e di far schiavo
ai suoi modi l’_avvenire_[89].

Se Verdi ultimamente imitò la scuola straniera, lo fece per dimostrare
non essere a lui negata la vantata potenza; e fece quanto altri, ma
_rimanendo sempre italianissimo_.

E in ciò s’accorda anche il dott. Filippi caldo di Wagner ammiratore.

Finisco infatti con questo anche al mio storico periodo intorno alle
scuole depositarie del vero canto sebben decadute, e di quelle per
storti fini di ridestata superbia vantatrici di riforma. E come ho
fatto nel ricordare il contestato argomento della relazione del canto
alla parola, finisco colla risposta di chiaro maestro, a non meno
illustre critico e giornalista, zelante difensore delle straniere
teorie.

In seguito allo _Strambottolo per la posterità_ pubblicato dal maestro
Lauro Rossi, essendo direttore del Conservatorio milanese, _della cui
pochezza_, diceva il compositore, _se ne può trarre tuttavia utili
conseguenze_[90], l’illustre autore del _Domino nero_ e dei _Monetarj
falsi_ veniva tratto a rispondere, anche per le stampe, al consigliere
di quel medesimo Istituto ed allora direttore del giornale il _Mondo
Artistico_, in questi termini «..... Filippi vede in questo povero
_Strambottolo_ una parodia ed un’offesa a Wagner ed ai suoi seguaci,
mentr’io non m’intesi che mettere le basi d’una conciliazione fra il
passato, il presente, e l’avvenire. Filippi va in furia perchè ho detto
che la musica dell’avvenire _si fabbrica_.

Sissignore, e lo ripeto, la musica scritta malamente per le voci
umane, e su di una traccia sinfonica preventivamente ideata, _si
fabbrica_ e non si crea dal compositore... Mi si punzecchia anche sta
volta chiamando le povere mie cose composizioni _di ritornelli_. Io
non intendo menomamente di mettermi in polemica con Filippi, ch’io
non sono meno progressista di lui. La differenza sta, secondo me, che
Filippi accetta ciecamente ogni innovazione, io invece vorrei che le
innovazioni non distruggessero il pregio per cui la musica esiste, cioè
_la melodia_[91].»

Quella _melodia_ che Rossini difese, per difendere la _scuola
italiana_, la _scuola madre_; per difendere la vera fede dai
traviamenti del razionalismo; per salvare il vero canto dalla
distruzione vandalica dei _riformisti_.

Questi, infatti, colla scomposizione del ritmo, colla violazione
delle tonalità e delle naturali progressioni armoniche, col predominio
degli strumenti sulle voci, coll’impiego delle voci al legamento delle
combinazioni e a servizio della materia, col loro genere _declamato_,
ad altro non tendono che alla soppressione della melodia, alla
distruzione del canto.

Lamentevole profeta, questo prevedeva Rossini, quando scriveva; «la
testa la vincerà sopra il cuore; la scienza prenderà l’arte a rovescio,
sotto un diluvio di note, quello che si dice istrumentale sarà la
sepoltura delle voci e del sentimento![92].


_Provvedimenti e inviti alle Scuole — alle Composizioni — ai Maestri._

Ancora un cenno sui provvedimenti che col risorgimento della italiana
Nazione furono proposti, e in parte già sperimentati, al ristauramento
anche del bel canto italiano.

Quello studio che gli antichi faceano procedere di pari passo colla
letteratura e le altre scienze, che nella primitiva chiesa rimase a
lato delle sue dottrine e progredì colla sua acquistata grandezza,
quello studio che non solo nelle accademie e ne’ templi, ma in ogni
umile villaggio accanto ai principj religiosi ed ai primi rudimenti
letterarj spontaneamente venia coltivato; onde non v’era ministro
che nella sua cura non ne dispensasse come poteva l’insegnamento, e
non v’era paese che a decoro almeno della sua chiesetta non avesse
teneri cultori, a poco a poco tutelato da leggi, regolato da metodi,
compensato da stipendj; divenne parte del primario educamento in
Germania, Svizzera, Inghilterra, Svezia, America; ed anche in Italia
nel riorganizzamento scolastico non venne dimenticato.

Manifestossi allora purtroppo la maggior difficoltà per la introduzione
e sviluppo di tale insegnamento, nel difetto de’ maestri, o nelle loro
tendenze più inclinate alla scienza della musica, alle lusinghe delle
composizioni, di quello che all’arte del canto.

Non mancarono generosi che pensarono subito al raddrizzamento d’una
piega dannosa che rende sensuale o interessato un elemento alla libertà
ed elevazione dello spirito.

Zelanti maestri, come vedemmo, porsero pratiche norme alla esecuzione
de’ bei canti di camera e di chiesa.

Valenti scrittori vennero confortando i primi sforzi col valor delle
osservazioni e degli esempj, suggerirono mezzi ritenuti più acconci.

La Storia che, come disse Sismondi, «è il deposito della esperienza
sociale», emancipata dalle censure, aperse liberamente i suoi tesori.

La Scienza porse i suoi lumi alle ricerche dei Governi e degli
educatori. Formaronsi speciali Congressi per discuterne gli argomenti,
come in quello di Napoli, che fu il _primo musicale italiano_ nel 1864.

I Pedagogici non ommisero proposte di pubblici elaborati e temi da
svolgere su questo ramo educativo. Municipj elessero Commissioni per
istudiare sulle volute riforme[93].

Nobili autorità tutelarono pratiche fondazioni, e ne seguono premurosi
il loro incremento.

Parecchie Associazioni all’uopo fondaronsi in Italia, e rivolte ad uno
scopo meglio indirizzato delle antiche Scuole, Confraternite, Casini,
od Accademie, costituironsi a educazione dello spirito, e a salvamento
dello studio che è uno de’ più bei nostri vanti.

Non v’ha città ormai che sia priva di qualche bella colleganza di
cantori e di filarmonici.

Quella medesima, che dalle private conversazioni delle sue nobili
famiglie, nel 1590, diè tanto impulso alla rigenerazione del canto,
la bella Firenze nel breve tempo che tenne la sede capitale d’Italia,
attese in vero anche a’ pregi suoi musicali; quivi fra le altre, la
moderna _Società Cherubini_, fondata e diretta dalla zelantissima
e valente signora Laussot, che alemanna rese onore al nome del gran
fiorentino e al canto italiano, offrì interessantissime udizioni di
classico canto corale.

Il canto dell’alta società trova risposta nelle camerate dell’ingenua
scolaresca; e già le scuole elementari risuonano delle bianche voci
guidate al nuovo insegnamento.

Ed in proposito oggi vien scritto:

Lo sviluppo di tali Scuole da qualche tempo manifestato, spinse altresì
alla ricerca del metodo didattico elementare più semplice ed alle menti
infantili più acconcio. A ciò provvide con felice invenzione il solerte
prof. Varisco, fondatore in Milano d’una scuola di perfezionamento
al canto corale, e d’una Orfeonica femminile, per la quale scrisse
analoghi esercizj e cantate; e non risparmiando sacrifizi e studj, potè
inoltre dopo lunga esperienza, presentare un nuovo istrumento musicale
e un metodo didattico di canto in coro, che raggiunge precisamente
lo scopo accennato. Il _Guida-voci_ è un’elegante cassetta con una
tastiera a due ottave. Il suono è più forte di quello dell’armonium;
l’aria vien data da un piccolo mantice messo in movimento da un
robinetto laterale, che il maestro fa scorrere colla mano sinistra,
mentre colla destra tocca i tasti. Per comodità del docente, avvi
un peso a piombo, il quale permette di battere il tempo, mentre
l’istrumento somministra la nota di cui abbisogna. Per facilitare
all’allievo la conoscenza delle note e degli accidenti musicali;
il sullodato maestro ideò dei cartelli scritti in modo da riescire
intelligibili anche ad una scolaresca numerosa, la quale senza alcuna
difficoltà e fatica, potrà eseguire dopo poco tempo i piccoli solfeggi.

Un’autorità competente in materia, il cav. Lauro Rossi, al cui giudizio
imparziale il maestro Varisco sottopose il _guida-voci_ e il nuovo
metodo, encomiò l’inventore, affermando che per la semplicità e pel
poco costo il nuovo istrumento merita d’essere preso in considerazione,
e di suggerirne l’uso alle Commissioni degli Asili e ai Presidenti
scolastici; il che porterebbe non poco incremento allo sviluppo
del canto corale, parte non ultima della moderna educazione, di cui
si sentì il bisogno d’arricchire la crescente generazione. (_Mondo
Artistico_, Milano, febbr. 1871.)

Nè solo all’educamento del popolo e de’ fanciulli per via del canto,
si limitò il Varisco colle sue zelanti proposte e co’ suoi felici
esperimenti, ma estese il suo disegno alla _Istruzione delle scuole
militari di canto_, ritenute anche in questo campo, fonte di vantaggi
morali, materiali ed artistici; e fin dal principio dell’anno 1870, ne
ponea ad effetto una prova in Milano, col 30.º battaglione bersaglieri.

Se infatti, come scrisse il ministro generale Ricotti, «allorchè
l’amministrazione, la giustizia, la guerra, la religione in una sol
mano sono strette, la storia della milizia è la storia della nazione»,
quando nella milizia ai precetti dell’arte s’accoppia la civile
istituzione, quella per sua parte è atta a concorrere al nesso felice,
perocchè li suoi adetti saranno e soldati e concittadini.

La istituzione della nuova scuola dunque divien compimento del sistema
educativo del soldato, destinato a tornare più regolato e più culto
in seno alla famiglia; egli che in guerra anche a mezzo del canto avrà
trovata la scintilla che accende ed infiamma il cuore dei generosi.

Il prof. B. E. Maineri encomiava gli sforzi efficaci del Varisco,
ragionando pubblicamente sulla utilità del canto fra l’armi, e sui
pratici esempj dei più strenui guerrieri.

Ed il tenente colonnello d’artiglieria Carlo Mariani, celebre autore di
scritti militari, attestò il voto suo perchè la bella prova addivenga
generale osservanza nella milizia, la cui missione assume un carattere
eminentemente civile, in ragione non solo delle armi, ma degl’obblighi
spettanti ai figli di libera terra. Ricordò come di tale istituzione
tanto s’onori la Elvezia, che per opera di Haupert la possiede sino dal
1833. Convenne che, per la importanza appunto della ragione numerica,
trar si potrebbero grandi masse corali, desiderate sempre nè avute sin
oggi in Italia.

Confermò, che se Platone, sommo ammiratore delle militari virtù,
consigliava si educasse il soldato alla musica — la quale il rende
umano, ne esalta il cuore a sentimenti magnanimi, e lo infiamma alla
pugna — giova che i nostri soldati imparino a cantare le forti imprese
degli eroi e le generose azioni dei benefattori della umanità; e
tornati alle loro famiglie, al villaggio nativo, facciansi propagatori
di quelle canzoni, con molto profitto del sentimento nazionale, della
sua morale, e dell’educazione del popolo[94].

Gli storici e i filosofi della musica constatarono che da quando le
forme sensuali della musica teatrale sostituirono quelle della musica
popolare, da camera e da chiesa, la bellissima fra l’arti belle cessò
istantaneamente e completamente di concorrere colla sua potente
efficacia alla parte educativa dell’uomo. — Perciò, quanto grande
fu il bisogno di ristabilire il canto corale sull’antico e glorioso
suo seggio, non v’ha chi nol veda; presso i popoli specialmente
oltramontani è tenuto in altissimo onore.

Il prof. Giovanni Varisco accarezzò l’idea di fondare nelle principali
città d’Italia Scuole normali musicali, le quali fornirebbero alle
città minori abili docenti, e così fra non lungo tempo, sulle labbra
del nostro popolo risuonerebbero non più canti sibaritici, bensì i
solenni accenti ispirati da Dio, dalla Patria, e dalla Famiglia. — A
facilitare l’istituzione di tali scuole, si dovrebbero annettere alle
normali, letterarie, ecc. sì maschili che femminili. Il corso normale
musicale potrebbe durare due anni, per un insegnamento inferiore, e per
uno superiore. Di qui si avrebbero abili insegnanti di canto corale. E
tale sarebbe il programma dell’egregio Varisco.

«Perfezionamento nello studio del canto corale. — Studj speciali
di accompagnamento. — Conferenze allo scopo di mostrare praticamente
il metodo più facile, più breve e in pari tempo più proficuo da
tenersi nell’istruzione della musica popolare. — Nozioni di storia e
di biografie musicali a partire dall’XI secolo, cioè da Guido monaco
di Arezzo, inventore dei monosillabi musicali, giungendo sino ai più
celebri musicisti dei nostri tempi. — Nozioni elementari di estetica
musicale, che serve d’ampio corredo tanto agli studj musicali che
ai letterarj. — Esecuzione di componimenti a diverse parti vocali.»
Il nuovo edificio apporterebbe sensibili vantaggi all’arte ed alla
civiltà. Gioverebbe a quella, iniziando ad una buona educazione gli
eletti, e discoprendo più facilmente i tesori vocali che rimangono
ignorati, se non si perdono nelle pratiche oscene de’ trivj e delle
taverne, mentre alle scene sembrano divenire sempre più rari e più
impreziosiscono quelli già manifesti. Concorrerebbe poi a ricondurre il
popolo alla semplicità ed alla letizia degli abbandonati costumi, che
invidiando guardiamo adesso fra le genti in apparenza più rozze ed in
realtà più vergini e più felici.

I rapporti consolari delle regioni più remote dal superbo centro
d’Europa ci ridestano all’ammirazione, ed invogliano noi sazj di
magnifici canti a sentire l’umile solfeggio delle Scuole scandinave
e de’ Seminari d’uomini e donne (o scuole normali), che in fra i
precetti d’insegnamento hanno il _Cantare Salmi in chiesa ove le
facoltà naturali il permettano_[95], e l’inneggiare all’accompagnamento
de’ funeri, o al ritorno dalle pratiche religiose o dagli esercizj
guerreschi per la fede di patria.

Il prof. E. Boucheron, che tiene la sede dei Gabuzj e dei Pellegrini
alla metropolitana cappella lombarda, autore dell’accennato _Corso
completo_ di canto, e che non ha guari dettava un libro intitolato
la _Filosofia della Musica_, solerte anch’egli alla civilizzatrice
bisogna, lodò per le stampe[96] la proposta del Varisco d’un corso
di perfezionamento nel canto per gli allievi ed allieve delle scuole
normali; «persuaso che non si ritrarrà alcun pratico vantaggio
dall’insegnamento del canto introdotto nelle scuole elementari finchè
non venga affidato a persone di provata capacità.»

Egli pensa però che tale progetto non si possa attuare per le scuole
suddette, se non a condizione d’un personale speciale, come è stabilito
per la calligrafia, il disegno, e lavori d’ago. Mostra infatti la
circostanza delle numerose materie da insegnare in dette scuole;
e l’inconveniente per cui gli allievi e le allieve aspiranti al
magistero, compiuti gli studj delle principali materie e ottenuta la
patente d’idoneità, costretti sarebbero a impiegare altri due anni per
abilitarsi nel ramo aggiunto.

«Ammesso invece il sistema dei docenti speciali, cessa il bisogno di
prolungare il corso normale: il professore di canto sceglie nel primo
anno gli allievi o allieve dotati di migliore disposizione, e su questi
rivolge principalmente le sue cure, bastando che gli altri possano
coadjuvare i primi; questi docenti speciali poi avranno un particolare
interesse a ben istruire le loro classi, per poco si sappia eccitarne
l’emulazione nell’atto stesso di sorvegliarne l’operato.»

Ottimo consiglio la cura de’ maestri e delle elementari scuole, più
urgente dei trattamenti ai signori de’ conservatorj.

Che vale lo specioso titolo di _professore_ ch’oggi ciascun s’arroga?...

Non perdano almeno questo di buono i cultori della musica, che più
sensibili alle belle tradizioni dell’arte loro, conservarono l’onorato
nome di _Maestri_, e non si umiliarono ancora a confessarsi miseri
_professionisti_.

Sì; maestri di camera, maestri di cappella, maestri de’ cori, maestri
al cembalo, maestri sulla scena, maestri compositori, maestri di canto.
Umili pure, come quelli che insegnano gli elementi della parola, ma
che possono forse vantare maggiori glorie de’ professionisti primarj
e titolati perfezionisti. Chè, dagli elementi procede la sapienza
gli elementi innalzarono tanti uomini grandi, e talvolta essi soli
bastarono al genio.

Non si pensi subito alle splendide scene, ai famigerati artisti, ai
sommi trionfi. Si pensi alla camera dei Caccini, ai fanciulli del
Palestrina, alla popolana di Marcello.

Le stanze ed i chiostri, dove germogliò la scienza, dove le produzioni
e gli esercizj del genio ricoverarono in altre persecuzioni di Vandali,
e presso ad umili cultori anche in tempi barbari poterono prosperare.

Per la civilizzazione delle masse, ricercansi i maestri elementari
delle lettere, più che i filosofi universitarj. Ed elemento precipuo
d’incivilimento è la conoscenza e la pratica del linguaggio del canto;
il canto di camera, di chiesa, di coro nelle oneste brigate; il maestro
avveduto, paziente, modesto.

I Madrigali, le Ballate, i Mottetti, salvarono la dolcezza de’ canti
in tempi di ferro; adentellarono i greci rigori ai costumi gentili;
fondarono la nuov’arte sublime che dalla camera, dai chiostri e dai
prati, passò alle scene liriche ed alle drammatiche.

Quelle cantate per le quali non richiedeansi i maestri di declamazione
nè i profondi speculatori, essendo tutto l’anima e la voce di chi
le modulava; e tenendosi per cosa secondaria o indifferente l’uno
o l’altro accompagnamento, la poesia più o meno forbita, e perfino
i medesimi compositori, dei quali, quasi a’ nostri ricordi, poco
importava anche il nome, in confronto a quello degli esecutori.

Quindi, varietà immensa nei cantori, che tutti colorivano secondo il
loro sentire; per modo che in ciascuno il canto era nuovo, originale;
e quest’era la libertà feconda e famosa de’ grandi artisti dell’andato
secolo; mentre adesso tutti s’imitano, ed in onta al genio ed alle
disposizioni individuali il più vago linguaggio qual è il canto,
resta prescritto dal primo o dal migliore interprete, e diventa quasi
uniforme.

Che importa che l’ampiezza de’ teatri e la folla delle orchestre non
ammettano che gli organi portentosi? V’hanno stanze da rallietare, ed
amatori che non si possono escludere.

Nè mancano adesso quegl’aurei anelli di congiunzione, quelle sementi
prolifiche d’ottimi frutti. Tengono il posto degli antichi madrigali
e delle cantate, tante graziose e semplici composizioni moderne
non ingombre di combinazioni fonetiche, nè bisognose di difficili
accompagnamenti che sotto i nuovi nomi di _Romanza, Preghiera,
Versetto, Mattinata, Serenata, Notturno, Brindisi, Pensiero, Capriccio,
Melodia, Stornello_, appassionano soavemente; non sono inutili
all’arte, nè dalla scienza e dal diletto devono andar trascurate.

Con esse vediam musicate tutte le forme di verso, e le più care e
famigliari parole.

Anche il ritmo appunto dello _stornello_, ritenuto ripugnante
alla regolare melodia, i nostri trovatori seppero impiegare; ed è
ventura che anche a quello siansi famigliarizzati, poichè conferisce
agevolmente la vaghezza e la novità che si vuole ai nostri canti
abbisognare.

Queste belle lezioni dei migliori nostri maestri, saranno gli elementi
che apparecchieranno alle grandi arie, alle caballette, ai _rondeau_,
gli eletti alle espressioni solenni melodrammatiche.

Le nostre belle dame, prima d’affaticarsi colle scene dello _Stiffelio_
e del _Don Carlos_, non modularono la geniale romanza _Il Poveretto_,
musicata dall’ancora ignoto compositor di Busseto?

Avrebbe bastato Donizzetti ad arricchire di tali canti le nostre
camere. Ma chi possede non cura: e nelle vaste aspirazioni, nel culto
esagerato allo spettacolo, tiensi a vile il cantore di camera; e pochi
compositori s’erano occupati a questo genere utile e vivo.

Fra i primi e più fedeli che inoltratisi come tutti i maestri nelle vie
della creazione musicale con qualche semplice melodia, non disdegnarono
poi la vena famigliare di Cimarosa, furono il Vaccaj, il Buzzola, Luigi
Sangermano arpinate, ch’è pur l’autore di _Goretta_.

Tenne assai Napoli alle sue facili e ardenti _Canzoni_. (Vedi il
_Canzoniere_ del Florimo.)

La bella fonte delle romantiche _Barcarole_ non è ancora scemata a
Venezia. Dopo la ricchezza sparsa dal Buzzola pel mondo, Campana,
Tonassi, Tessarin, Malipiero, danno felicissimi saggi.

Non mancano gl’_Idilj_ alpigiani e campestri; i _Ricordi_ orientali di
Nicola de Giosa; gl’_Inni_ di patria dell’Olivieri; i _Cantici_ sacri
degl’ultimi celebri maestri delle cappelle di Venezia e di Napoli,
Buzzola, e Sarmiento[97], e dei viventi De Giosa, Tomadini, Tempia[98],
Canneti, Terziani, F. M. Albini, Gerol. Barbieri, Pillotti, Sampieri,
Cortellazzi, Bernardini da Buti, Giani da Viadana, de’ fratelli
Cagnoni[99], imitatori degl’ultimi estri lasciati nella _Pétit Messe_
da Rossini.

Alle dilavate _Raccolte_ dei Marenzio, dei Guasco, dei Capuci, dei
Squarcialupi, e d’altri antichi madrigalisti, subentrarono le _Corone_,
i _Serti di fiori_, gli _Albo_ de’ trovatori moderni[100].

Il _Canzoniere_ testè pubblicato da Fr. G. Zingarle di Trieste, ad uso
de’ fanciulli che frequentano le scuole minori, porge a questi modo
opportuno e comoda ginnastica agl’organi vocali, educamento di buon
gusto e d’affetti, interesse morale e umanitario[101]. Così le Cantate
per gli Asili di infanzia d’Enrico Panicali di Fossombrone[102].

Altri canti facili e puri nell’_Albo_ De Giosa[103]; altri in quello
_popolare_ di Giov. Frippo; in quelli _melodici_ di L. Gordigiani, e di
Filippo Coletti.

A Firenze, il maestro G. Palloni ci diè un nuovo _Album vocale_ —
_Pensieri ed Anima_ — gentili melodie fra cui il pezzo stupendo: —
_Lamento d’una madre: piccolo riccio di capelli biondi_ — vero strazio
dell’anima. Il Palloni, fido seguace della buona scuola di canto, è
per la musica popolare un conservatore di quelle eccellenti tradizioni
toscane, delle quali fu legittimo padre il Gordigiani; e successori
suoi, il Luzzi e il Mariani.

Ivi pure, Favi pubblicò l’_Iris Florentina_; Vincenzo Capocelatro, _Le
Veglie_[104]; Hackensöllner, _Le Memorie d’una cantatrice_ (Marianna
Barbieri-Nini).

A Roma, appena libera, lo Sgambati donò un _Albo vocale_, pel cui
accompagnamento, peraltro, trovato oscuro e difficile, s’ebbe da’
critici il ricordo che gli stessi Schumann e Schubert scrivendo
per camera rendevano semplici e piane le lor cantilene violentando
l’istinto. Quivi nella capitale, con egual titolo, L. Militotti diede
più schiette paesane reminiscenze.

Abbiamo quindi le _Romanze_ del Fabiani e del Sangermano, dello
Stanzieri che si fan largo a Parigi e a Londra come ogni cosa italiana
che piace. Abbiamo le _Napoletane_ di Luigi Mazzone, di Sessa, di
Graziani, di Montenegro da Barletta, di Antonio Coppola da Catania.

In tanta fioritura di giardino melodico, perchè adunque fantasticare
colla pretesa di genj, e sudare colle imprese de’ sapienti attorno le
_meditazioni_ e i _labirinti_ stranieri, nelle chiese, ne’ teatri,
e perfin nei nostri privati e geniali ritrovi? — Prendiamo intanto
a scuola nostra e a diletto quello che subito e facile piace e
s’apprende, come il puro concetto d’un libro educativo, il cui pregio è
la chiarezza.

Che se il sapiente Schumann, il David alemanno, ne’ suoi precetti
musicali, parlò talvolta a dispregio di cotesta musica facile d’indole
veramente italiana, ebbe a smentirsi quasi nel periodo istesso
dell’argomento suo, aggiungendo:

«Ascolta attentamente tutti i canti popolari, son dessi una miniera
delle più belle melodie che ti aprono gli occhi intorno al carattere
delle diverse nazioni.» Onde la _Liedertafel_ famosa (tavola delle
canzoni), in cui Zeller dipinse il suo popolo. Nè diversamente si
informa il bellissimo libro _A travers Chants_, d’Ettore Berlioz: ed
accenno soltanto il _Canzoniere_ Lisinski a fedele fotografia della sua
Polonia.

Badiamo che non s’avveri il dubbio di Delécluz, critico di molti studj
e di squisito gusto, amantissimo della musica italiana e che la difese
più volte dagli assalti del Conservatorio parigino, il quale in uno
dei suoi ultimi articoli lamentò il decadimento nostro, vaticinandone
quasi la diseredazione, colle dure e pur vere parole: «Gl’italiani de’
giorni nostri fanno dell’arte musicale quel medesimo governo che de’
poderi gli affittajuoli di mala fede, quando è per scadere il termine
di locazione: diboscano, recidono, portano via il meglio e il più che
possono, sfruttano e smungono il terreno, cessano dai buoni modi di
coltura e mandano ogni cosa in rovina.»

Abbiamo il bene che ci ha dato Iddio, nostro, libero, _campato nello
spazio interamente_; come Gioberti seguendo quanti furono scrittori
d’estetica, considerò la prima e regina delle arti belle, che non
si lascia stringere da regole e formule nella sua essenza, che non
ha nella natura fisica nè tipi, nè forme, nè misure a cui tenersi e
riferirsi; che fugge dalla imitazione e da servitù, destando in altri
vaghezza ed eccitamento; e cercheremo nuovi miti, deità inanimate,
ordini barbari, novità straniere?..

«Con consiglio che mai si giungerebbe dire compiutamente quanto e
come improvvido, noi abbiamo ristretta l’esistenza della musica al
melodramma — ebbe a dire non ha guari il Biaggi; — ed ora postergate
le secolari e gloriose nostre tradizioni, posti in canzone i nostri
grandi capolavori, compatiti i nostri grandi compositori, andiam
cercando le teoriche del melodramma in Germania, e a quelle ci
attacchiamo di preferenza che più sono avverse all’indole dell’arte
nostra, al nostro gusto, alle nostre naturali attitudini. E intanto
ecco che in Italia, nel paese cioè della melodia e del canto, ha vita
lunga e fortunatissima, la _Marta_, opera certo pregevole, ma la cui
esistenza appena si sarebbe avvertita fra noi quando scrivevano il
Donizzetti, il Mercadante, il Pacini. Ed ecco che si mette sugli altari
il _Faust_, opera pregievolissima anch’essa e degna di studio per più
di un rispetto, ma che tolta a modello, non potrà riuscire ad altro
che a impicciolire e ingrettire l’arte nostra, portandola dal discorso
magniloquente alle piccole frasi e ai giuochi di parole, dalle linee
grandi ed ardite de’ frescanti, alla minuta e paziente punteggiatura
de’ miniatori[105].»

Conchiudo in proposito con la felice espressione del celebre
costruttore d’organi vicentino G. B. De Lorenzi: «Studiamo i classici
d’ogni nazione e poi scriviamo italiano[106].»

E col nostro istinto italiano diamoci pure al facile nostro canto. —
È il _cantar gentil d’Ausonia onore e vanto_ —; non l’arruffato, il
tetro, nè il cantar spietato.

Cantiamo adunque nelle nostre stanze, e sentiremo meno apatìa nei
teatri.

Cantiamo nelle scuole popolari, e avremo dalla natura quello che l’arte
ci lascia desiderare.

Fu detto che in Italia siam tutti artisti; e siamo dunque tutti anche
cantori. E come artisti e cantori non deve muoverci a sprezzo l’umile
scuola, nè il rozzo porgere di qualche insegnante, o il distratto vezzo
di imperiti scolari. Chi non sa quai tesori possano ivi scoprirsi! Chi
non sa, che alcune note al di sopra di que’ cori non ci rivelino una
Catalani o un Duprez!

«_Ecco le speranze della Francia_,» ripetea sovente il bravo Alessandro
Choron, presentando i poveri allievi della sua scuola elementare che
andava raccogliendo nei villaggi, e lungo le strade più miserabili di
Parigi.

E la scuola di Choron e di Ramier, che fu una delle più rimarcabili
istituzioni secondarie che fossero state introdotte nel 1816 dalla
munificenza della Ristorazione, nel breve periodo di sua esistenza,
perocchè disparve nel 1830 col governo che l’avea creata, era giunta
ad incendiare d’invidia il superbo Conservatorio che rimaneva lì, come
sterile monolite accanto il campicello ubertoso, umiliato dai frutti
straordinarj generati sì presto a gloria della Francia nell’arte del
canto che nel primario istituto parea quasi spenta.

Eppur notavasi Hèrold come una celebrità, _premier chef du chant_ alla
Reale Accademia.

La umile scuola elementare, malgrado la sua breve esperienza ebbe gran
parte col movimento musicale di quell’epoca, ed influì sommamente alla
propagazione dei veri principj dell’arte.

E quivi pure non era estraneo l’elemento italiano; chè il metodo che
si professava alla scuola di Choron era poi quello del Mengozzi, dal
quale maestro era sorto il più ammirabile cantante francese che sia mai
stato il Garat. Fu detto dallo Scudo che, il gusto squisito e lo stile
pieno di passione drammatica e di grazia di questo celebre allievo
del Mengozzi, era un composto della bella dicitura francese e della
vocalizzazione italiana. L’arte e il colorito del suo canto non avean
nulla a che fare col cosiddetto _urlo francese_ del Nourrit padre, del
Dèrivis, e di Madama Branchu, già colossi dell’Opèra. Non da questi, ma
dall’umile focolare de’ buoni studj, vennero Levasseur, Adolfo Nourrit
figlio, e la Damoreau, della nuova scuola francese.

Ma il direttore Choron e il docente Ramier erano veri maestri di canto.

Il primo, senza tanto apparecchio di diplomi, ma tratto da una potente
inclinazione, s’era dato benchè tardi allo studio della musica sotto
i consigli dell’ab. Roze, quando avea potuto superare l’opposizione
dei parenti, a venticinque anni; nè giunse a farsi compositore. Ma era
dotato d’una squisita sensibilità, d’un profondo sentimento del vero;
s’era ornato di buona erudizione, e d’una seria conoscenza della storia
dell’arte; e s’avea fatto un colpo d’occhio di penetrazione veramente
profetica. A Duprez fanciullo, dalla voce debole e incerta, Choron
diceva: _Tu sarai il primo cantor del tuo tempo_.

Per la sua delicata e sensibile organizzazione e pegli studj in cui
s’era specialmente intrattenuto, egli avea una predilezione quasi
esclusiva all’antica scuola italiana. Iniziava a que’ principj i suoi
allievi, alla pratica de’ grandi maestri, segnatamente Scarlatti,
Pergolese, Porpora, de’ quali facea a loro cantare le limpide melodie,
sprovviste d’ogni futile ornamento, ma ricche d’incomparabile
semplicità e bellezza. Là il cantore riconosce le proprie forze,
e lotta colle difficoltà tanto più ardue quanto elleno sono tutte
del sentimento. E Choron vi ponea l’anima nella sua istruzione;
s’abbandonava alle emozioni, e gestiva, cantava, rideva, piangeva,
fosse nella solitaria sua stanza o in isplendida adunanza. Amava molto
i suoi allievi, dai quali egli era adorato; li sapea entusiasmare, e li
dirigeva nella via che conveniva alle loro speciali disposizioni.

Erano i suoi tesori, che nei giorni di riposo e cogli scarsi risparmj,
andava cercando nei borghi e nelle ville, penetrando nei collegi e
nelle scuole, e coll’arte di padre sapea affezionarseli. Vivea per
loro: e quel giorno che gli furono tolti, quando il governo abbandonò
la sua scuola, se ne morì di dolore.

Nel numero degli allievi che fecero epoca alla scuola di Choron,
quattro specialmente erano i favoriti, messi sempre dinnanzi quando
il maestro volea dare un buon saggio di suo insegnamento. Erano:
Duprez, che fu il celebre tenore dell’Opèra; Boulanger-Küntze, poi buon
professore di canto a Parigi; Vachon, che fuori d’Europa portò i suoi
talenti; e il veneziano Scudo, narratore di questa pagina, bozzetto
interessante, ch’io reputo il miglior ritratto d’un bravo e modesto
maestro, e il pegno d’affetto più nobile e più espressivo del cantore
discepolo riconoscente.

«Ciascuno di questi giovani allievi con più o meno disposizione
aveva un genere suo particolare, che il maestro sapea discernere e
indirizzare.»

A sedici anni, Duprez già possedeva quello stile largo, quel canto
spianato che gli valse la sua bella riputazione.

In ragione del talento che questi allievi promettevano, e dell’alto
favore di cui essi godevano presso il capo dello stabilimento, li si
onorava della qualifica d’_Artisti_.

V’era una festa, un pranzo, una serata; Choron vi si recava
accompagnato dai suoi quattro evangelisti.

I giorni di vacanza, quand’egli avea danaro, ciò che non era sempre,
veniva a passo di lupo al refettorio, e diceva all’orecchio d’uno di
noi: — non v’impinzate tanto... avremo oggi la merendata. — Allora le
forchette s’arrestavano, anche innanzi ai bocconi più ghiotti... Madama
Choron lo rimproverava... egli partiasi ridendo.

Un giorno giunse alla scuola anelante. Ci fe’ chiamare tutti quattro.
— V’hanno delle novità, ci disse; il ministro del re è cangiato, v’ha
adesso M. de Lauriston, sì mal disposto per noi che, vuol sopprimere la
scuola. Ottenni, con fatica, che prima di prendere una tal decisione,
egli volesse almeno sentirci. Vi andremo questa sera: coraggio! Ne va
dell’avvenir di noi tutti; bisogna cantare ciò che meglio sapete: prima
un’aria ciascuno, poscia due _duo_.

Duprez, vien qua figlio mio, tu canterai: _O des amants déité
tutélaire!_ Tu Boulanger: _Oh que je fus bien inspirée!_ Tu, mio
gran matto di Vachon: _Di piacer mi balza il cor_. E tu mio bel
veneziano: _Non più andrai farfallone amoroso_.... Ah, signor
Lauriston, voi volete congedarci, lo vedremo. — E ripetendo le arie,
seguiva: — non resisterà, no, no; e i signori del conservatorio ne
saran disperati — e rideva, saltava, cantava. — Tutto andrà bene,
tutto andrà bene...! Andate a spazzolare i vostri abiti, gli stivali,
pulite i vostri bottoni; siate lucenti, raggianti; e sopratutto
mangiate poco, mi capite? vi si darà un dito di Medoc per eccitarvi la
imaginazione. —

La sera, al palazzo del Ministro, fummo introdotti in un vasto
salone... e presentati ad una dozzina di giudici...

M. Panseron si pose al piano per accompagnarci, e con qualche accordo
ci diè tempo a respirare fra il terribile battito del nostro cuore.

Un silenzio profondo si fece, e tutti gli sguardi si fissarono su di
noi. Dopo alquante battute un mormorio d’approvazione venne a dilatare
i nostri petti. La nostra voce vibra e si espande, il nostro stile
s’eleva; ci si copre d’applausi. Bene, bravo, ci si dicea d’ogni
parte. — Sì, sì, bravo, sublime! ripetea il maestro pieno di lagrime;
ricominciate, figli miei, tutto va bene; e sotto voce: _La Francia è
salvata!_... —

Quella sera memorabile finì felicemente come avea cominciata... e la
scuola fu mantenuta.

Da quella scuola medesima venne Rosa Niva, raccolta d’in sulla strada
da Ramier, altro maestro dal carattere e dal fare del tenero Choron
di cui era dipendente, imitatore, ed amico. Un _la_ magnifico di
soprano sortito a caso dalla bocca della fanciulla le avea guadagnato
la protezione dell’uomo generoso, dell’appassionato cantore, che prima
di coltivar quella voce, prese a dispor l’animo quasi selvaggio della
povera abbandonata, e comporne l’esterna figura che lasciava appena
un’ombra di qualche interesse, cominciando a prescriverle otto giorni
alla purificazion delle mani.

Coll’amore, col rigore, colla costanza della Provvidenza, ridusse
quella personcina pulita e graziosa, piegò il suo animo all’ordine
e alla obbedienza, la lingua alle facili espressioni, il fare alle
maniere gentili, sviluppò poi quella voce ai modi più soavi. Giunse a
non poterla riguardare senza sentirsi fiero d’averla così rigenerata;
nè potè udire gli altri a lodarla senza scorgere in loro un’invidia che
gli aumentava la gloria.

Perfezionò l’opera del suo cuore; e quando se la vide staccare dal
nuovo destino che aspettava la giovane cantatrice, Ramier soffrì
lo strazio colla rassegnazione paterna. Dagli splendidi palchi de’
suoi trionfi, ella divenuta celebre, riconobbe talvolta nel fondo
dell’orchestra l’amoroso maestro che piangeva di tenerezza, e la
commozione le toglieva la voce, e gli rispondeva col pianto.

L’allieva di quell’umile scuola era Rosina Stolz; del cui nome
altre non meno celebri udimmo ai nostri giorni, e che avremo qui ad
accennare.

Sotto le toccanti figure di questi maestri, non vi par di vedere i
modesti ritratti degli antichi _Maestri de’ fanciulli_, e di tanti
maestri dei villaggi, che dalle piccole scuole e dalle devote cappelle
diedero alle storie ed al mondo i più illustri musicisti e cantori?

E queste scuole, non potrebbero giovare ancora, meglio forse che i
superbi istituti, secondo le antiche tradizioni d’Italia e coi frutti
copiosi dei classici tempi?

Nell’umiltà e nell’amore fecondano i genj.

Dalle minute sementi crescono i più nobili arbusti; colle pianticelle
s’infoltano i boschi; la educazione di quelle dev’essere la cura
che precede la vaghezza degli artificj e l’opportunità di loro
trapiantamento.

Ma alle scuole primarie anche del canto, ai piedestalli di tant’arte,
si accorderanno le riforme volute dal progresso medesimo che non
permette il loro abbandono, o la lor trascuranza.

Ed anzi tutto, sarà d’uopo ridestare il valor nei maestri, la volontà
negli scolari; e negli uni e negl’altri l’amore.

Inutili sarebbero tutte le scuole se disgraziatamente dovesse ripetersi
a lungo: _Dove trovare un buon maestro di canto?_... Fatal ricerca, che
rese facile un’altra: _Chi vuol sommettersi a un bravo istitutore?_..

«Sì, a che giova tacerlo? _La vera scuola dei canto è in abbandono._»
Mi valgo di alcune belle parole del cantante e maestro Luigi
Celentano[107] perchè il loro lamento sembrami contenere un utile
programma alle buone scuole desiderate.

«E moralmente abbandonata; perchè non pochi sono i discenti, nè
mancano, per ora, institutori; ma non più, in generale, si apprende e
s’insegna _seriamente_ l’arte del cantare.

È vana cosa propugnare _a voce_ i precetti contenuti nelle prefazioni
dei classici metodi, se poi non si ha il coraggio di seguirli nella
applicazione, e manca la forza autorevole di farli apprezzare, o se
questa forza e quel coraggio s’infrangono in faccia alla corrente che
tutti involge e trascina.

Dove sono gli studj _lunghi e severi_, coi quali già ben riconosciuta
l’indole della voce, la gola dell’allievo giungeva ad acquistare
_sicurezza d’istrumento_?

Dov’è la paziente ricerca della più vera emissione del suono, in cui la
_nota tenuta_ o _messa di voce_, nell’atto che sceverava e _piantava_
il più bel suono, insegnava la tranquilla e profonda _respirazione_,
il _sostegno_ ed _equilibrio del fiato_, e la _parabola sonora_,
base della _mezza voce_ e di tutte le innumerabili _gradazioni_ del
_chiaroscuro_?

Dove sono le progressive esercitazioni d’ogni maniera di _vocalizzi_,
onde, insieme all’_impasto di tutti i registri e alla facilità
dell’estensione_, si otteneva la morbida _concatenazione_ de’ suoni
e lo _stacco_, la varietà del colorito nell’_unità di metallo_, e il
mezzo artistico di tenere sempre esercitata la voce nel suo vero bello,
o di svegliarla se per lungo silenzio pareva fioca?

Dov’è quel _complesso di tanti accertamenti_ che menano a quella
suprema _sicurezza d’intonazione_, che si ride d’ogni tempesta, e
che vuol dirsi infallibile, non già quando giunge a sfuggire alla
riprensione, ma se _dà pace alle orecchie_?

Dov’è più la fermezza del _metodo_, che nel maestro è certezza di
giungere, senza fallo, allo scopo studiando e soccorrendo la _tempra
speciale_ di ciascuna voce; e in chi apprende è abito costante e
radicato di rispettare, nella pratica i _confini dei proprii mezzi_, sì
che riescano esercitati, non _consunti_ dall’uso?

Dov’è l’antico rigore, l’antica docilità, l’antico coraggio di
spendere degli anni per avvicinarsi alla meta, che una più alta e non
iscoraggiante coscienza dell’arte diceva sì lontana, da non potersi
toccare?

Il più largo uso del canto _declamato_, nelle sue _forme sillabiche_
(trascorso tant’oltre, che oggi l’_interpretazione esecutiva_ soverchia
la misura dell’arte e l’intenzione degli autori), ha turbato e
sconvolto il metodo didascalico.

La vera scuola si travagliava prima a formare l’istrumento per facilità
e modulazione, e poi, come a corona dell’insegnamento, perveniva,
segnatamente con lo studio del _recitativo_, a forbire la sentita
pronunzia cantabile della parola, in che rifulge la _sovraeccellenza_
dell’organo canoro. Tutti i _pregi_ e i _modi_ tutti dell’arte, non
erano altrimenti studiati, che nel _suono puro e schietto_ della
voce, al quale solamente appartengono; e la parola era tenuta, qual è
veramente, l’ultima modificazione di esso. Percorrendo ogni maniera
di combinazioni di note nei rispettivi registri, perveniva la gola
a _maneggiare_ tutte le trasformazioni del primitivo suono vocale,
serbandone sempre la maggiore bellezza, il più libero corso, e la più
variata unità, ch’è ciò che dicesi _modular la voce_. Lo studio, le
cure, le ricerche, gli accorgimenti, la pazienza, il disinganno o la
gioja, non eran riferibili che al suono e all’istrumento. Quando poi
questo suono _timbrato e modulato_, padrone di sè e ricco di belle
forme, muoveva finalmente ad abbracciar la _parola_, lo scopo poteva
già dirsi ottenuto, poichè degno di accoglierla, era pur così vigoroso,
che non vacillava a sostenerla.

La scuola dei _moderni_, all’opposto, ben poco si profonda nel
meccanismo dell’istrumento, e nell’organizzazione dei suoni in rispetto
ai pregi ed alle difficoltà generali dell’arte. Nè gradazione, nè
certezza di metodo, nè flemma di preparare e attendere lontani
risultati. Sempre in cerca di nuove e non sicure _scorciatoje_,
s’industria piuttosto d’ajutare la buona disposizione dei frettolosi
scolari. Con viva e non intermessa preoccupazione d’ingrossare il
_corpo_ delle voci, dopo un discreto numero di solfeggi, passa
rapidamente al sospirato canto con la parola nei _pezzi_ delle
opere, e, in men che si creda agli _spartiti_. Chi più promette meno
s’indugia, e vola a sua fortuna; e più spesso rimane a struggersi
al bello dell’arte sol chi per difetto di voce, s’è visto impotente
a sposarla. Su gli spartiti si fa una certa _pratica_ di musica (se
pur non ajuta l’_orecchio_) e si cerca d’acquistare quel che dicono
_spolvero_, chè è la maschera dell’arte. Si chiariscono difficoltà
elementari a misura che si presentano, _puntando_ o troncando a
dirittura, le altre a cui si mostra ribelle l’infantile inesperienza
dei candidati della scena.

Accelerati in tal modo i passi, e confusi i criterii, non si coglie
nel segno, e torna più facile scambiare i soli _pregi_ dell’arte con
le immediate rispettive esagerazioni, che sono altrettanti _difetti_.
Per avere la _forza_ si fa allo _sforzo_; per la _sonorità_ al _grido_;
per l’_impeto_ al _conato_; si vuole il _piano_, e s’ha lo _sfiatato_;
bisogna l’_oscillazione_, e si è contenti dello _stridore_, s’evita
la _grazia_ per non dare nello sguajato. La _respirazione_, in tanto
sciupo, divenendo affannosa non abbraccia la _frase_ musicale, tradisce
il _ritmo_, spezza la _parola_: e le voci, faticando a _disagio_, si
spossano nell’atto appunto che si vorrebbe avvezzarle alla teatrale
fatica!

Gli scolari impazienti sogliono passare da un maestro all’altro per
l’unica ragione di fare più presto. I più brevi son tenuti più bravi.

Di costoro, in sul declivio dell’arte s’è ingrossata la schiera,
giacchè non pochi son venuti a prender posto nel campo inseminato e
infecondo. Ignari del _meccanismo vocale_ (_cioè di quel complesso di
norme di esperienza e tradizione imitativa, con le quali, studiando
il fatto estrinseco dei suoni, si determina, si regola, e si assicura
il maneggio dell’invisibile strumento_), trovano proseliti a cieche
e lusinghevoli massime: «che al canto basta la buona voce; che la
natura fa da sè; che la bella disposizione fa miracoli, che con gusto
e intelligenza si arriva a tutto; che in ogni caso il teatro fa il
resto.»

Nè questi inganni parvero nel fatto smentiti quando i nuovi cantanti
improvvisati, salite le scene, vi trovarono un repertorio che poteva,
fin a un certo segno, mascherare la loro imperizia, e gli applausi
del pubblico, che generoso con gli esordienti, si malavezzava alla
depravazione dell’arte.

I migliori maestri in ogni centro musicale d’Italia, stimati per
pruove d’incontestabile valore, han dovuto accorgersi che, dicendo il
vero, si predicava al deserto. Taluni si son tratti fuori del terreno
nel fervore della lotta! Han quasi abbandonata l’ambizione di formare
allievi al teatro, ch’è sì cara, come sapevano gli antichi, che per lei
lasciavano la scena: e si tengono modestamente paghi a far delibare
l’arte a chi la coltiva per _diletto_, o forse anche per _affetto_.
Ma lo scopo non si raggiunge; perocchè costoro, sebbene non incalzati
dallo spettro dell’odierna carriera, restano sempre lontanissimi dalla
vera _responsabilità_ dell’arte, e da quell’altezza invidiata, cui
solo l’artista, nella febbre continua delle emozioni, pel coraggio
instancabile di mille prove rischiose, e per l’alterna vicenda di
trionfi e cadute, ha diritto di aspirare. Altri per non restare
isolati, e mantenendosi severi a parole, si lasciano rapire nel fatto,
più o meno a malincuore dalla bieca corrente; pur non disperando che
questa trovi un argine più forte del loro volere.

E intanto quest’arte divenuta, come per incantesimo, la cosa meno
disagevole di questo mondo, falsata nella maggioranza delle scuole
è parimente tradita pressochè su tutte le scene. Avidi speculatori,
per guadagno giornaliero vi adescano giovani poco esperti, i quali
perdono voce e speranza, e tosto disillusi, cedono ad altri più illusi
il posto di cui niuno s’è reso meritevole. Fatta quasi impossibile
una vera _carriera_ (che vuol dire progresso di fama e di fortuna),
i nostri giovani contemporanei, tranne poche o meritate o fortunate
eccezioni, salgono e scendono in balìa del caso e degli intrighi
dei mezzani. Acquistando un falso _coraggio_, che non è quello del
_sapere_ e dell’_esperienza_, allora s’avveggono della distanza
che li separa dall’arte, quando a fronte di artisti di più antica e
severa disciplina, messi a cantare un _genere_, a cui non è del tutto
applicabile la _panacéa_ del declamato, affogano nei cantabili, non
sorretti da fragoroso strumentale.

Anzi mancando la _sicurezza_, che vien dallo studio, le più belle
intenzioni dell’arte sembrano, in faccia al pubblico, piene di
pericoli. Si rifugge per ciò dalla _mezza voce_, e da ogni altra
finezza e delicatura di modi eleganti (che sono, a un tempo,
_squisitezze d’arte e riposi_), e si è costretti ad abbracciare, come
più sopportabile e sicura, la fatica _suprema_ ed _ignobile_ di cacciar
fuori a tutta possa la voce. E felice chi arriva alla fine!

Oggi, segnatamente per gli uomini, danno a pensare poche note,
scorrenti di seguito su d’una stessa vocale. Dove si può s’infarciscono
sillabe a ricovrir note. Nelle stesse chiuse degli _adagi_, ove si
soleva aspettare, e gustare qualche acconcio abbellimento vocale,
che tuttavia i compositori sogliono lasciare _a piacere_, si ricorre
all’arido ripiego di rimartellare le parole, già ripetute abbastanza
nella melodia. Chi concerta la musica propria o l’altrui, si fa più
ardito ogni dì a _sfollare_ gli agglomeramenti di note, come più e più
van divenendo ineseguibili. E si avverte la caratteristica differenza
tra i più antichi e più recenti cantanti, che quelli sorvolavano
il passaggio astruso sdrucciolando su la parola e abbandonandosi al
vocalizzo; e questi, sol calcando la sillaba, giungono a schermirsi
dalle scabrose intonazioni.

I più accorti badano anche a cangiar la parola, per incontrar su la
nota di _pericolo_, o _d’effetto_, la _vocale_ meno sfavorevole alla
propria voce. Accorgimento _naturale_ nei cantanti moderni conforme
alle ultime delicate esperienze dell’Aesticau sul _fenomeno del suono_,
le quali dimostrano come — per ciascuna vocale vi ha sulla scala
musicale delle note privilegiate che danno al suono il suo colore
specifico e il suo pieno valore; e per trarre il miglior partito
dall’istrumento della voce non si dovrebbe cantare su d’una data vocale
che certe note soltanto. — Ma così le _recenti_ indagini scientifiche e
l’istinto pratico _odierno_ mettono sempre più in luce la superiorità
e la grandezza dell’_antica_ scuola italiana, che invece di temprare
i suoni nelle _vocali_, sapeva trovare nella voce, e _vi piantava e
radicava_ quella conciliante e studiata _unità di suono_, che tutte le
abbraccia e fa intendere, senza cangiar l’_appoggio_ per ciascheduna.»

Ecco riassunte da questo egregio conoscitore alcune osservazioni da
noi in precedenza annotate, altre da migliori pratici e studiosi
desunte[108]; ecco le prove, come diè a divedere il Mazzucato, di
mancanza di scienza nei pretesi maestri, e di voglia negli scolari di
tutt’altro che scienza.

Ecco le cause, per le quali, anche a mio vedere, mentre i Conservatorj
fioriscono per la composizione, in cui indispensabilmente si studia,
si spopolano nelle scuole di canto, a segno di tenerle e fuggirle come
nocive.

Ammessa qualche modificazione nei severi quanto schietti giudizj del
Celentano, e inteso per bene il lungo e accurato studio, non in base al
sistema, ma alla conoscenza del macchinismo e alla azione dell’organo
vocale, ed alle variabili condizioni da educare, sembrami che da quel
riassunto potrebbonsi ricavare i precetti migliori alla interpretazione
de’ metodi, alla savia loro applicazione, e per conseguenza alla
formazione delle voci da teatro o da camera atte al mantenimento ed al
progresso dell’arte, al diletto perenne in un colla istruzione degli
uditori, precetti valevoli al cantante ed alla sua fama.



CONTINUAZIONE DELLA PARTE NUOVA



IV.


_Secolo XIX. — Ritorno ai Compositori. — Sublimità dello sviluppo
melodico italiano. — Genio. — Imitatori. — Progressi delle altre
Nazioni. — Maestri contemporanei. — Rinnovazione degli attentati
ultramontani. — Falsi e veri profeti._

Raccogliamoci un istante prima d’accedere al massimo monumento:
gettiamo ancora uno sguardo sul cumulo e sulla varietà di memorie che
si offersero lungo il cammino di secoli.

A tutto il 18.º, una sola influenza vedemmo prevalere su tutte le
influenze di stili, di scuole, e di paesi. Dalle monodie di Tepandro,
ai corodiaci madrigali; dalle cantate di Carissimi, al _Don Giovanni_,
la melodia ha dominata la musica; la iniziativa fu sempre del
sentimento; prevalse lo _spiritualismo_ del bel genio italiano: l’arte,
tutta emanazione del cuore, non divideva ancora l’impero colla forza
del lavoro.

I prodigi di questo mirabile ausiliare vidersi nel nostro secolo;
dall’epoca appunto in cui segnando una linea demarcativa in queste
memorie, abbiamo sospeso il procedimento storico della serie
interminabile dei trovatori ed esecutori del canto: quando, cioè, parea
che Mozart avesse rapita la scintilla famosa dal fedele antico tempio,
il canto e la passione degli italiani, per conciliarla, veramente con
alto pensiero, agli artificj fantastici oltramontani.

Ma la nuova Triade della nostra fede manifestossi colla sua onnipotenza
e col suo splendore: venne a redimere e ad assicurare il suo regno.

In questa manifestazione sta la _nuova legge_ dell’arte del canto
inventivo, che si collega mirabilmente alla antica tradizione, al
_testamento_ che nel secolo 18.º avea compimento, ed in cui una plejade
di profeti e di precursori avea vaticinata e bandita la prossima êra
della rigenerazione.

Per quella guisa che Dante pria d’innoltrarsi negli eterni regni, si
soffermava a riguardare le magnanime ombre de’ veggenti raccolte nella
tranquilla valle, quasi a ridestarvi la ispirazione, volgiamo pure uno
sguardo ancora al nostro limbo glorioso, per procedere più riverenti
e commossi e nella fede ravvalorati, fra i contrasti de’ reprobi, e i
cori eletti dell’altissima gloria.

Concludiamo quanto fu esposto, restringendosi all’ultimo periodo, lo
scorso secolo, che fu detto l’età d’oro della musica.

— Aperto da Carissimi e chiuso da Mozart, vide nascere un numero
considerevole di grandi compositori che svilupparono e fecondarono
tutte le forme dell’arte.

La scuola napolitana, illustrata dallo Scarlatti suo fondatore e da
suoi allievi, Feo, Durante, Porpora, e successori Pergolese, Jomelli,
Piccini, Sacchini, Trajetta, Majo, Clementi, Guglielmi, Cimarosa,
Paisiello, coro di cantori immortali, creò l’opera seria.

Venezia, che fu detta il sorriso del mondo, e la cui scuola fondata
dai Gabrieli conta ne’ suoi fasti, Monteverde, Croce, Legrenzi, Lotti,
Marcello, Zarlino, Carissimi e Galuppi, diè alla luce l’opera buffa.

Pittoni, Pisari, Casali, Allegri, conservarono a Roma le tradizioni del
divino Palestrina, e difesero il grande e vero stile della musica sacra
contro la rivoluzione de’ tempi.

Cantanti incomparabili sono formati per le cure di Gizzi, Feo e Porpora
a Napoli; di Amadori a Roma; di Redi a Firenze; di Peli a Modena; di
Bernacchi a Bologna; di Brivio a Milano; di Vallotti, Salieri, nelle
Venezie.

I tenori e soprani, Orsini, Senesino, Gizzielo, Manzuoli, Caffarelli,
Farinelli, Babbini, Babbi; la Tesi, la Mingotti, la Faustina,
l’Agujari, la Cuzzoni, fanno risuonare l’Europa de’ loro sublimi
accenti; sono rimpiazzati dai Guadagni, Guarducci, Pacchiarotti,
Rauzzini, Raff, Rubinelli, Marchesi, Crescentini, castrati famosi, da
Ansani, da David padre; dalle Banti, Mara, Gabrielli, celebri virtuose
che furono seguite alla lor volta dall’emula schiera delle Pisaroni,
Sontag, Persiani, Colbran, Belloc, Mombelli, Mingotti, Demerich,
la Pasta e la Malibran; da Lablach, Garcia, Tamburini, Tacchinardi,
Veluti, Duprez e Rubini.

L’istrumento che più d’ogn’altro avvicina la voce umana, e che ne imita
meglio la vibrazione toccante, le cambianze infinite, il violino, fu
culto da Corelli, dal grande Tartini, da Nardini, Pugnani, Viotti,
Radicati, Aliani, che aprirono il campo alle alte scuole ispirate e
novatrici, italiana e belga, coi Paganini e Beiriot.

Finalmente da tutti i punti d’Italia levansi maestri e cantori ne’
quali la scienza eguaglia la ispirazione; la di cui abilità pratica non
soffoca il sentimento, e che projettano un mare di luce inconsumabile
sulla nostra nuov’epoca maravigliosa.

Al principio di questo secolo, i grandi maestri italiani, ripetuti in
questo riassunto, non erano più, od aveano chiusa la loro carriera.
Fra i numerosi e pallidi imitatori che s’erano divise le loro spoglie e
riproduceano le loro forme illanguidite, tre compositori più originali
si disputavano l’impero: Mayr (o Mayer), Paër, e Generali.

Con questa triade ci siam soffermati nella rivista de’ compositori
celebri di nuovi canti nella prima parte di queste memorie.

In essa vediamo quasi gli albòri o i prenunzi della triade sublime
rigeneratrice che con Rossini, Bellini, e Donizzetti comparve.

Dai canti della _Ginevra di Scozia_, della _Medea_, e della _Rosa
bianca e la rosa rossa_, l’italianizzato maestro del bergamasco
istituto fece trasparire quell’ingegno facile ed elevato, sensibile e
ardente che dovea spiegare l’allievo concittadino.

Il parmigiano Paër, più abile e più variato, annunziava nella _Camilla_
un carattere originale, un colorito marcato; parea che sentisse
l’echeggio lontano della _Norma_, ma non potesse coglierne le vaghezze.

Il brio e la vivacità del Generali fecero presentire la possibilità di
slanci più vasti e più splendidi d’un fortissimo genio.

In mezzo a tali idee, a tanta aspettazione, e ad una certa ricchezza
di forme melodiche ed armoniose, comparve Gioacchino Rossini,
nel 1812[109], pieno di gioventù e d’audacia, cogliendo tutto che
l’opportunità gli offeriva e per tutto ove gli parea conveniente,
sapendo ben egli appropriarsene, trasformare, e creare rigenerando.

«Rimarcabile per gli slanci della imaginazione, per l’abbondanza e la
freschezza de’ motivi cantabili, per la potenza degli accompagnamenti
e la novità delle armonie, per la veemenza e limpidità che dà al
linguaggio della passione. Genio eminentemente italiano, tutto
improntato dello spirito ardente e sensuale della sua epoca, Rossini la
rompe violentemente con tutti che l’han preceduto.

Egli sorte dal dieciottesimo secolo come da una valle ombrosa e
pacifica, e s’avvanza per l’avvenire colla impazienza d’un dominatore.
Lo si direbbe Bonaparte valicante la cima dell’Alpi per conquistare i
luminosi piani di Lombardia.»

Quando infatti diede il _Mosè_, egli avea tutto conquistato. Ciò
fu confermato dal Fétis medesimo, non troppo tenero certamente pei
compositori italiani, allorchè dopo il successo di quello spartito
all’Opèra di Parigi, il 26 marzo 1827, scrisse; «Godo del tuo trionfo,
o Rossini; egli è ben meritato! I tuoi detrattori e i tuoi invidiosi
devono rinunciare ad una lotta ineguale, nella quale non resta nemmeno
la speranza d’una ragionevole resistenza.»

Eppur Rossini non era pago di sè interamente; e rifiutò la onorificenza
per cui Carlo X allora lo aveva ascritto alla Legion d’Onore,
riserbandosi di chiedere questo premio quando se ne sentisse degno;
come fece dopo il _Guglielmo Tell_.

Di questo gran Trovatore inutile dire di più.

Come regolatore di voci, nella cui arte fu pure maestro abilissimo,
dirò soltanto che, i primi interpreti delle musiche del suo tempo,
pel drammatico eccesso, volendo eccitare coll’azione più che colla
maestria vocale, simili alle cantatrici di Damasco imprigionate da
Dario, incorsi nella condanna del pubblico, egli medesimo informandoli
nuovamente a quei canti, li salvò, ed i fischiati della _Semiramide_,
si riprodussero non più spregiati, come le cortigiane che cantavano
nella reggia babilonese di cui essi rappresentavano gli antichi
avvenimenti, ma come esecutori prototipi di bel canto.

Fu ben delineata la situazione stravagante del primo periodo del nostro
secolo colla seguente pagina di _Letteratura musicale_.

— Il movimento filosofico e letterario che scoppiò alla caduta del
primo impero, come un grido di libertà, ha cominciato a penetrare
anche in Italia verso il 1820. Questo movimento nato dallo spirito
d’indipendenza e dal bisogno di rilevare l’ideale della natura umana
avvilita dal dispotismo; quest’insieme di strane dottrine, miscuglio
di aspirazioni religiose, reminiscenze del passato, tenere e ingenue
fantasie che venivano di là de’ monti, come un soffio di nordico
spiritualismo, ad invadere la rilassata civiltà de’ popoli meridionali,
suscitarono una scuola di novatori ardenti, fra quali figurano
Manzoni e Pellico. Appoggiati al principio che le arti devono essere
l’espressione delle varie emozioni e più intime dell’animo, eccitati
dalle traduzioni recenti dei capi d’opera di Goethe, di Schiller, dei
poemi di Byron, e dei romanzi di Walter Scott, questi uomini distinti
si sforzarono d’imprimere alla letteratura del loro paese un carattere
più serio, più casto e più logico, di ringiovanire tutte le forme della
poesia e della imaginazione.

La musica non tardò punto a seguire l’impulso generale degli
spiriti, e fu Bellini che tentò di farle subire questa novella
trasformazione. —

Nato a Catania, il 3 novembre 1802, Vincenzo Bellini fece i primi suoi
studj musicali al conservatorio di Napoli sotto la direzione di Tritta
e poi di Zingarelli. Dopo aver ottenuto un successo d’incoraggiamento
al San Carlo per la sua _Bianca e Fernando_ (1826), chiamato a Milano,
l’anno seguente, compose il _Pirata_ per la Pasta e Rubini. Coi canti
di quest’opera i nomi dei tre grandi artisti furono assicurati.

Il siculo compositore, felice di tanto successo, si sforzò d’aggrandire
il suo stile nella _Norma_, che fu l’ultima creazione della Pasta.

Compose i _Puritani_, facendone eseguire le parti dai quattro celebri
virtuosi che facevano nel 1834 la fortuna del teatro Italiano in
Parigi, la Grisi, Tamburini, Lablache, e Rubini suo favorito cantante.

Mostrò che il suo genio elegiaco sapea trovare, al bisogno, accenti
più profondi e variati. Sei mesi dopo la prima rappresentazione
di quest’opera sublime, morì Bellini, giovane tanto, «come uccello
celeste, esalato appena l’ultimo suo lamento.»

— Natura fina e delicata, genio melodico più tenero che forte,
più commosso che vario, fugge l’influenza di Rossini, e s’ispira
direttamente ai maestri del 18.º secolo. Procede specialmente da
Paisiello, di cui ha la soavità, e ne riproduce la melopea piena di
languore.

Questa affinità è rimarchevole sopra tutto nella _Sonnambula_, spartito
che meglio d’ogni altro esprime la personalità del giovane compositore,
e che si direbbe la figlia della _Nina_ tutta commossa ancora dal
dolore materno.

Musicista di felice istinto, che una affrettata educazione non avea
interamente sviluppato, Bellini non trovava soltanto nella emozione
del suo cuore le melodie squisite e originali, ma sovente altresì le
piccanti armonie, come nel bel quartetto dei _Puritani_.

La sua istrumentazione, debole in generale, non manca talvolta d’una
certa energia. Ma il suo carattere è più elegiaco che veramente
drammatico. Si distingue per una declamazione sobria, contenuta, in
cui circola un’emozione sincera; canti meno splendidi e sviluppati di
quei Rossiniani, perchè sono pura emanazione dell’anima, e non sentono
d’altro artificio.

Nato in una beata contrada, assuefatto l’orecchio dall’infanzia
alle flebili melodie ripetute da secoli fra i pastori della Sicilia;
pieno il cuore di quella serena melanconia che, nel paese amato dal
sole, ispirano le grandi ombre della sera e l’orizzonte infinito del
mare; melanconia di cui si trova qualche espressione in Teocrito,
in qualche madrigale di Gesualdo, ma specialmente nei canti di
Pergolese e Paisiello, Bellini mesce l’accento nativo del suo genio
meridionale alle aspirazioni cupe e fantastiche della letteratura
alemanna ed inglese, e ne forma un tutto squisito pieno di grazia e di
mistero[110]. —

Il terzo astro che compone il mondo di luce musicale del nostro secolo,
spuntò nel 1798, a Bergamo, terra fertile di cantori, dove nasceano
David e Rubini del canto impareggiabili sacerdoti.

Era Gaetano Donizzetti, che da umili genitori trasse una
grande ricchezza di genio per le arti belle di cui fu cultore
appassionatissimo. Cominciò con quella della sesta, e architetto
abilissimo, finì sublime compositore.

Parlando di Simone Mayr che gli fu maestro, abbiamo parlato
implicitamente della buona scuola che nella stessa sua patria s’ebbe il
Donizzetti, perfezionato poscia a Bologna dall’ab. Mattei.

Benchè ancora giovane egli abbia dato saggi ammirati d’ingegno, come
fu nel 1818 a Venezia, per la sua prima opera _Enrico di Borgogna_,
e successiva di Roma, _Zoraide di Granata_, 1822, si può dire
che anch’egli è della generazione dei compositori drammatici che
s’impossessarono della scena italiana poi che Rossini avea imposto
silenzio al suo genio e gettava sdegnosamente la penna dopo aver
scritto _Guglielmo Tell_!

Donizzetti e Bellini allora si disputarono primi la corona cui Rossini
abdicava, e gettava lungi da lui come peso importuno: e l’anno 1831
segna un’epoca speciale ne’ fasti del Donizzetti, che pose in scena a
Milano, colla Pasta, Rubini e Galli, la sua _Anna Bolena_, ottenendo
straordinario successo, malgrado la presenza di Bellini e l’entusiasmo
ch’egli vi eccitava colla _Sonnambula_ interpretata pure da que’
celebri artisti.

La falange di sommi cantori vissuti in quel tempo prestossi
mirabilmente ad esprimere i concetti d’una mente tanto feconda. La
Ungher fu una _Parisina_ impareggiabile; la Persiani, Duprez e Coselli
ministrarono la prima volta i tesori della _Lucia_.

Fu presunto che lo stile largo e severo del gran tenore Duprez abbia
esercitato un’influenza favorevole sulla ispirazione del compositore.

Il capo d’opera di Donizzetti passò subito da Napoli a Parigi, divorato
dall’entusiasmo; e lo spirito dell’autore trovò lena di volare da
trionfo in trionfo colla _Figlia del Reggimento_, _I Martiri_, _La
Favorita_, _La Linda_.

Eppur la fortuna non gli fu tanto amica. Oltre alle ansie in lui
sollevate dalle altissime rivalità, il Donizzetti trovò spesso
incerti o prevenuti gli uditorj; inesorabili le censure; carnefici
gli appaltatori; instabili i cantanti; brevissimo il tempo. Gli mancò
Nourrit nei _Martiri_ composti per quel tenore, che se ne avea tratte
egli medesimo le parole dal _Poliuto_ di Corneille.

E Donizzetti, cantante egli pure, e come altrove abbiam veduto,
studioso speculatore della voce umana, tenea in sommo grado
l’importanza e l’influenza del geniale sacerdozio.

Per non perdere Lablache, improvvisò il _Don Pasquale_ in otto giorni;
onde si narra che, quando gli si dicea che Rossini ne avea impiegati
quindici pel suo _Barbiere_, Donizzetti replicava: «Non mi sorprende,
egli è così pigro!» — Durante le prime rappresentazioni delle sue
opere, lo si vedeva sovente errare solingo tutta la notte nei luoghi
più remoti delle capitali, fuggendo lo spettacolo pieno d’angosce in
cui le ispirazioni più intime dell’anima venivano giudicate da esseri
ignoti; e si disse che egli fu il primo compositore italiano ch’abbia
rifiutato di comparire alle prime rappresentazioni, come si usa da
tempo immemorabile.

Fu costretto a precipitare il lavoro d’un colossale spartito, pel
quale ei gridava: «il _Don Sebastiano mi uccide_.» Fu sventurato
negli affetti di padre e d’amante; egli tanto amabile ed affettuoso.
E finalmente fu scosso nella viva e delicata sua organizzazione, che
aggiungeva tanta grazia alle singolari qualità dell’artista, e in
quella divina facoltà d’immaginazioni tanto feconda.

Essendo a Vienna, maestro della cappella di Corte, diede segni non
equivoci d’alienazione mentale. Declinò precipitosamente, e venne a
morire nella sua città natale, il 1.º aprile 1848; quando la patria
progredita anche pel suo genio nell’arti e nella civiltà, iniziava
politicamente la sua riscossa.

Donizzetti lasciava intorno a cento spartiti d’Opera, una farragine di
canti separati, cantate, romanze, messe, capricci.

Nell’entrare di sua carriera avea seguite l’orme di Rossini, ma
nel procedere avea sviluppate le qualità speciali del suo genio,
aggiungendole per così dire all’eredità paterna.

Nè egli avrebbe potuto sfuggire all’influenza che i canti del cigno
pesarese doveano esercitare anche sul suo ingegno. In fatti nella
storia delle arti belle è facile riscontrare come i genj più vigorosi
cominciano ordinariamente imitando i maestri, che già possedono il
favore del pubblico o che s’attirano per secreta affinità di natura
l’amor degl’allievi.

«La giovinezza è di rado originale — ed ognuno che ha fatto epoca nella
storia dello spirito umano, ha dovuto balbettare la lingua della sua
nutrice prima di trovar quella della propria anima.»

Abbiamo notato che Mozart ha formato il suo incantevole stile imitando
i genj italiani, come Giorgio Benda e i medesimi Bach[111], Haendel,
Gluck, ed Haydn; Beethoven s’è ispirato di Mozart; e Rossini ha
depredate per metà le ricchezze di Cimarosa, di Mayr, di Paër e
di Generali, confessando egli stesso gli esemplari usati ne’ suoi
primordj, e rammentando specialmente «quel _Matrimonio secreto_ in
cui non v’ha pezzo il quale non basti a fare la riputazione d’un
compositore.» Coi raggi melodici della scuola italiana, e colle ombre
armoniose di quella alemanna, creò il proprio sole, brillando sopra
tutti.

Bellini seguì Paisiello. Donizzetti, meno originale, più abile e
vigoroso, viene immediatamente dopo a Rossini di cui è il più brillante
discepolo; e dappresso alle variate ed eleganti melodie dell’_Otello_
e della _Semiramide_, vivranno nella posterità i canti della _Lucìa_,
per cui maggior valore acquistarono le belle voci di Duprez, Rubini e
Moriani, onde l’êco non è ancora spento, nè cessano i lor successori di
rinnovare al mondo la tenerezza di sentimento e le dolci espressioni di
lui che ritrasse sè stesso, cantando — _O bell’alma innamorata_! —

Da questa triade sublime rigeneratrice di canti, benchè meno vasti
e fecondi generarono nuovi astri pur luminosi: Mercadante, Pacini,
Verdi[112].

Ma prima di scendere a questi, mi convien soffermarmi a un’altra scuola
che del genio italiano lasciata da tanto tempo in disparte, ai nuovi
progressi Rossiniani, generosamente scossi, impresero arditi slanci; e
senz’attendere ai mezzi vollero fama ad ogni costo.

La Scuola _germano-gallica_, cui la natura nelle belle espressioni del
canto fu tanto matrigna, ma forte della virtù della scienza, tentò con
nobile sforzo la propria riabilitazione.

Di tanta impresa un forte nobile carattere si fè iniziatore. Giacomo
Meyerbeer, nato a Berlino nel 1794, sortì un ingegno straordinariamente
inclinato alla bell’arte di Euterpe, e n’ebbe gli elementi dalla
italiana fonte del Clementi, quindi da un allievo del celebre padre
Vallotti, già maestro alla cappella di Sant’Antonio di Padova, quale fu
l’ab. Vogler di Darmstadt, e quindi dei Weber: e reso profondo nelle
leggi positive e nelle grandi teorie del suo paese, venne a sollevare
il suo genio fra gli incanti della scuola italiana, presso a un Salieri
che l’incuorò alla composizione della sua _Romilda e Costanza_ per
le scene di Padova, con una Pisaroni che gli rivelò gli effetti d’una
interpretazione perfetta, e coll’ajuto del gran cantor Pacchiarotti,
che, vivente ancora, e più che ottuagenario, volle donargli efficaci
consigli sulla maniera di scrivere per la voce umana.

Quei conforti che erano stati negati in patria alle sue prime
composizioni, Meyerbeer li trovò assieme alla esperienza, nella colta
città di Padova, che accolse il giovane tedesco come a lei appartenente
pei legami d’una parentela intellettuale.

Nè bastò questo; chè Venezia gli offrì il grande esempio e l’amicizia
del Rossini, che allora vi rappresentava il primo suo capo d’opera,
_Tancredi_; ed aprì a lui pure i suoi teatri per l’_Emma di Resburgo_,
_Margherita d’Anjou_, ed il _Crociato_, elevando il nome dello
straniero accanto a quello del pesarese; onorando indistintamente i
genj cui è patria il mondo. Da Venezia, nel 1825, si sparse il nome
di Meyerbeer in tutta Italia, e d’allora si fissarono in lui tutti gli
sguardi d’Europa.

Di qui, la coscienza della sua grande personalità; lo sviluppo dello
spirito penetrante, la manifestazione delle idee complicate e profonde,
l’anima del filosofo esilarata dalla poesia, l’orecchia intruonata
dalle selvaggie e complesse sonorità istrumentali, raffinata alle
eleganze della melodia, di qui l’autore del _Roberto_, del _Profeta_, e
degli _Ugonotti_.

Ma quest’autore era alemanno d’origine, e dovea dimorare e ricevere
affascinanti ovazioni in Parigi, dove Gluck poch’anni prima avea
promossa la rivoluzione memorabile nella musica e nel drammatico canto.

Al facile melodico genio d’Italia gravò il positivo e complesso spirito
oltramontano; e ne rinnovaron la prova Wagner, Flotow, Gounod, Thomas,
Halevy.

Quest’ultimo peraltro, temperò meglio alle fonti italiane lo stile
de’ suoi canti. Da padre tedesco israelita, nato a Parigi (1799), a
diec’anni già allievo di Cherubini creator di maestri e di cantanti
in quel Conservatorio, dimorato a lungo fra le ispirazioni di Roma,
dove acquistò il gran premio nel 1819, quivi esercitossi alle gravi
espressioni delle salmodie; passato quindi a Napoli, provò l’ingegno
in quelle vaghe canzoni di cui il bel clima è fecondo; scrisse
italianamente per Vienna il _Marco Curzio_, ed altre opere anche nel
genere buffo, secondo lo stile degli studiati italiani maestri; e finì
sotto al cielo prediletto a Nizza, 1862. Dunque esso pur, nuovo Mayr,
può ben dirsi frutto alla terra di sua coltura e di suo trapiantamento;
e come abbiam veduto di altri celebri stranieri; anche l’autor della
_Ebrea_ è grande massimamente quando più si discosta dalla oscurità che
nemica alla scuola italiana vuol rapirle il suo vanto.

Per la sorte del canto e della bella sua patria, sorsero Mercadante e
Pacini dalla classica scuola napoletana, e dalle spontanee fantasie
dell’organista di Busseto venne un Verdi. Così dalla Lombardia
all’estrema penisola riconfermò il canto nuovamente il suo regno.

La critica straniera, fatta più ardita, trovò allora a dire non essere
Giovanni Pacini che un facile imitatore di Rossini, un ingegno non
pronunziato.

Saverio Mercadante, nel corso d’una vita rallietata dai canti di _Elisa
e Claudio_, della _Vestale_, degli _Orazj e Curiazj_, del _Bravo_,
d’_Emma_, _Gabriella_, _Giuramento_, _Normanni_, di cantici sacri
resi ormai familiari, e di mille frutti di cui non fu spoglia la sua
veneranda vecchiaja, fu vezzo giudicarlo siccome «musicista istruito
ed abilissimo, cui peraltro il cielo negò il dono del canto e della
originalità.»

A Giuseppe Verdi s’attribuì un’immaginazione più elevata che feconda,
ravvisando assai ristretto il cerchio in cui svolge le sue idee, non
peraltro sprovviste di certa potenza e splendore, ma non variate e
sviluppate dall’arte.

Lo si disse l’uom della formula, la quale confina colla indigenza.
Spirito preoccupato dei drammatici effetti, alla realizzazione de’
quali spinge al grido le voci, la musica alle sonorità.

Gli si fece l’onor d’assimigliare i suoi canti a rustiche vivande,
che abile culinario può talvolta far comparire in mezzo a splendido
banchetto per rinfrescare il palato ardente de’ convitati[113].

Di queste vivande peraltro son molto avide le genti, e sembrano ben
bruciati davvero i palati per tutto il mondo!

Che il carattere della scuola italiana in generale abbia sensibilmente
modificato dopo Rossini, e l’influenza della letteratura straniera
e delle nuove teorie su l’arte drammatica musicale abbia eccitati i
compositori del paese di Cimarosa alla ricerca di violente espressioni
nella passione, trascurando forse le soavi tinte de’ sentimenti
amabili e delicati, per quelle oscure de’ più fieri trasporti, io ne
convengo: mi unirò altresì a lamentare l’abuso di far procedere quasi
a pari passo il canto della voce umana coll’echeggio de’ più volgari
strumenti, a scapito della bella scuola, e una certa facilità che sa di
negligenza, a danno della elegante varianza.

Ma se il misticismo trovò accesso nella immaginazione serena
degl’italiani, lo si deve purtroppo all’andazzo venutoci d’oltremonte,
ed alle rivalità suscitate dai pretesi cantori della riforma.

Come i naviganti modificano talvolta a seconda del vento il loro
corso, per non restare arrenati, o per trarne partito migliore, così
gl’inventori si lasciarono trasportare peccando d’imitazione e di
servilismo. Se v’ha censura, questa si dovrebbe rivolgere ai nuovi
esempj della vantata riforma, pei quali il carattere melodico si
lasciò fuorviare dal naturale suo corso; se v’ha debolezza o decadenza,
quest’è soltanto nell’aver ceduto all’altrui imitazione.

Così l’autor della _Niobe_, della _Saffo_, e del _Buondelmonte_, volle
esagerarsi per non parere da meno dei declamatori e istrumentalisti
complicati che per questi meriti soli pretendevano la palma: mostrò
il suo valore, massimamente nell’ultimo suo lavoro, _Don Diego di
Mendoza_; ma peccò necessariamente egli pure d’offesa al bel canto,
quando confuse le melodie cogl’artificj[114].

L’autor del _Nabuco_, variando di stile in stile, venne al _Don
Carlos_, e diede un saggio di saper vincere anche la propria natura
per stare a paro dei riformisti; e Verdi, ben più che de’ suoi facili
canti, pentirsi dovrebbe d’essersi atteggiato all’altrui foggia.

Bene a ragione Verdi potrebbe ripetersi quello che il vecchio
Gluck solea dire di sè a coonestazione delle sue secche e sterili
composizioni, meglio che a puro omaggio del vero; cioè: «aversi egli
sforzato nel comporre ad obliare che era musicista, interdicendosi
tutte le bellezze dell’arte sua che non gli sembrassero necessarie
alla traduzione fedele della parola, soffocando i belli slanci della
imaginazione per soddisfare alle leggi d’una logica da pedanti!»

Ma d’altra parte, il medesimo Verdi ben può vantarsi d’un altro
prodigio.

Chiamato ultimamente (1871) dal munificentissimo Ismail Kedivè d’Egitto
a comporre una grand’opera per quelle scene nuovamente a imitazione
italiana fabbricate, là, su quelle rive, dove in altri tempi i Tolomei
raccoglievano a migliaja gl’indigeni musicisti per celebrare le feste
del Nilo[115], e d’onde poscia traevansi a Roma i cantori che meglio
corrispondevano allo splendore degli Imperatori e all’allegria de’
Circensi, Verdi scrisse l’_Aida_.

L’italiano maestro in tale lavoro, continuando pure lo svincolo dalle
convenzioni e dalle formule, e le concessioni alle esigenze dell’arte
nuova, tornò agli sfoghi d’una individualità che non può dimenticare.
Combinò quindi in maniera stupenda la larghezza della frase che
affascina coll’efficacia calorosa del dramma. Aggiunse alle tradizioni
del gran canto italiano, la invenzione di quello jeratico-egizio, dalle
forme piane e cadenzate, non dissimili dal canto fermo. Mosse un’onda
sonora continua or voluttuosa or selvaggia, ora tenera e appassionata,
ora scherzosa, ma sempre melodica che s’alterna per tutto il corso
dell’opera a seconda delle situazioni del dramma. Fè risorgere il bello
fra le macerie dell’antichissima civiltà; onde fu detto che, se Verdi
fu il primo onorato di scrivere per l’Egitto, gli Egiziani stessi
deggiono essere lusingati che sia stata scritta per loro l’_Aida_,
bella ed artistica glorificazione della loro passata grandezza; sublime
ricambio d’omaggio fra quella terra da cinquanta secoli sacra, e
l’Italia regina in eterno delle muse e del canto[116].

Le ricerche degli effetti e del plauso moderno fuori dalle melodiche
tradizioni del canto italiano, vinte anche dai compositori e dai
cantori cui pareano impossibili, se turbarono forse il vergine
primitivo splendore della melodia e la bella grazia del canto, non
poterono fortunatamente rapire quell’intimo accento, quell’innata
tenerezza, quella sobrietà più cara delle ricchezze e degli sviluppi,
che faranno sempre, come ciò che appartiene alle verità dell’animo, la
sola espressione immortale.

Contro il misticismo d’un avvenire oscuro e indefinito, quasi a
naturale protesta, dalla terra melodica sursero adunque a moltitudini
nuovi banditori di canti, che rinnovano le vibrazioni soavi dell’anima
senza opprimerla, o esagitarla.

Il melanconico genio trovò nuovo interprete nel cantor veneziano
Giambattista Ferrari, che tratto alla gloria e nei conforti de’ valenti
maestri, diede alle scene della Fenice, essendo egli trentenne,
l’applauditissima _Maria Tudor o d’Inghilterra_; e tradusse poi in
meste note le tragiche avventure di _Candiano IV_, e i lamenti degli
_Ultimi giorni di Suli_, ispirazioni profonde che rapirono tutto il
giovane autore e non gli lasciarono forze da soppravvivere ad una
sconoscente fortuna. Morì a 36 anni, nel 1845.

Amor di patria, quando la credeva redenta, per l’avvenimento di un
_papa miracolo_, quale Pietro Giordani avea detto volersi onde fondare
in lui le speranze d’Italia, disfogò, nel 1847 dal dolcissimo canto
— _Del nuovo anno già l’alba primiera_, — che precorse ed accompagnò
i moti delle famose rivoluzioni di quell’epoca per l’estro di Gaetano
Mergazzari di Roma, esule illustre che pur giunse a morire nella sua
terra rivendicata (1872).

Cantò e scrisse un Michele Carafa di Colobrano, nato a Napoli nel 1787,
contemporaneo a Rossini, e interruppe lo studio geniale per pigliare
le armi allorchè re Murat promise una patria agl’Italiani; e rimasto
da questi abbandonato, ritornò al conforto della musica e nel 1818
scrisse la _Gabriella di Vergy_, e l’ufficiale delle guardie assunse la
cattedra e la direzione del Conservatorio musicale militare di Parigi,
ove morì nel 27 luglio 1872.

Musica e amore, come a sè diceva, ispirarono il giocoso amatore della
bella cantatrice Angiolina Gandolf, che da Napoli a Trieste, da Stambul
alla Opèra, fece gioire di ridevole canto; Luigi Ricci, che senza tanti
artificj, calcoli, servilità convenzionali, nè forme stentate fu gajo
e festevole, fedele sempre alla parola e al soggetto; conoscitore delle
voci del canto, preciso nella _sillabazione_, naturale nei _parlanti_,
mormoreggiante nel conversare dei _cori_. — Fu chi asserì recisamente
essere il Ricci nel terzetto superiore a qual sia compositore, e porse
a modello le riunioni vocali di tal fatta quali s’ammirano nelle sue
opere buffe: _Scaramuccia_, _Chiara_, _Nuovo Figaro_, _Esposti_, _Chi
dura vince_.

E tanto brio del canzoniere teatrale seppe pur temperare sì
eccellentemente ne’ biblici concetti e colle solenni modulazioni delle
religiose salmodie, dove l’immaginosa poesia orientale non trasmoda
in moderne lascivie, nè i chiassi profani corrompono l’unzione della
preghiera; per cui la _Settimana santa_ del Ricci si ritiene classica,
ed egli, che seppe torcere il piede dai ginepraj musicati fantasticati
oltre monti, fu detto un conservatore all’Italia del nazionale suo
canto[117].

Vedemmo in altri genj le espressioni più gravi non disdegnanti
l’associamento delle melodiche allegrezze; chè il riso e il pianto si
toccano quaggiù, ed anche il sepolcro non è sprovvisto di fiori.

Vedemmo da un albero egregio rinverdire nuovi germogli: e l’invenzione
del Ricci si propagò nel fratello, chiamato più volte a compagno nel
lavoro di musicali composizioni (come nel _Crispino_); Federico, ora
stanziato a Parigi, e nel terzo, Vincenzo, che portò i dolci canti
romanticamente oltre l’oceano[118].

I modi di canto di Luigi eran ritratti dalla infelice Lella Ricci,
morta nel 1871.

Vedemmo profeti cantori lasciar memorabili giudizj; e dal Ricci
ereditammo colla melodia deliziosa, il bel detto: «Amar la gloria
come la patria — nè serva, nè compra — la lode dal popolo, egli n’è il
padrone ed il giudice.»

L’amico a Generali, rivale a Zingarelli maestro, collega a Bellini,
critico a Verdi, presagì bene di Sinico e d’Apolloni. Questi cantò
soavemente l’_Ebreo_, quello i _Moschettieri_.

F. Ricci, A. Cagnoni[119], L. Rossi, De Giosa, De Ferrari[120],
Pedrotti, Marchetti, Petrella, brillano innanzi alla schiera eletta
alla custodia ed al progresso delle itale tradizioni.

Custodia e progresso che per noi non possono andare disgiunti. Nè v’ha
pericolo che questi ed altri compositori lascino negligentato il vasto
campo delle nuovissime ricerche, che di ricercatezza e di speculazione
sovverchia sono fra noi talvolta appuntati.

Così vediamo anche nella maggior parte d’essi rinnovarsi quello strano
e curioso contrasto che i meglio riusciti alle espressioni dei giocosi
canti teatrali, parimenti emergono in quelle degli elegiaci e severi
de’ templi, dov’è più frequente la separazione del melodico canto
dalla lirica poesia: argomento in oggi con calore richiamato, ricerca
elevata adesso a questione e spinta così da sembrar confinata colla
soluzione d’assurdo; mentre, senza tanto clamore, i nostri compositori
chiesastici, da gran tempo vi si aggirarono dappresso nel cantar di
musica i salmi, dalle liriche ben diversi, e musicando all’uopo con
altrettanta spontaneità, e con altri vantaggi chiesti dalla scienza
(come retro accennammo a pag. 115), persino il più lirico verso dello
_Stornello_.

Nè ci mancarono studiosi che ai conati di rendere appunto più
indipendenti fra loro poesia e musica, e di togliere affatto l’antico
vezzo delle parole ripetute, si sperimentarono specialmente; tali
fra gli altri V. Pontano m.º d’Orvieto, testè mancato, ed il bar. G.
Crescimanno che diè saggi a Torino di musicare alcune scene tragiche
dell’Alfieri[121].

Le grandi insegne del dramma serio sono ancora fra noi sostenute
gloriosamente da Giuseppe Verdi, proteiforme campione rimasto al primo
posto; e lo seguono più prossimi alla elevata meta, l’ispirato cantor
della _Jone_, e quello meditato del _Ruy Blas_[122].

Temperati a questo vario sentire, a tanta copia d’esempj, e imitatori
del genio italiano, come vedemmo i più grandi compositori stranieri che
furono, ora nuovi seguaci s’appresentano.

Tali: Asger Hamerik, danese, che per sole tre voci scrive i canti della
_Vendetta_[123]. Melesio Morales dal Messico, cantor d’_Ildegonda_.

D. Emilio Arrieta, felice compositore dell’opera spagnuola _Marina_,
a Madrid, dove non scarseggiano tuttora maestri distinti, quali:
l’Oudrid, Iose de Goizueta, Eslava ed il suo allievo Zabiaurre.

Oscar-Camps[124] e Agostino Perez, maestri a Saragozza, vi fondarono
anche un’Accademia musicale.

Gaula e Obiols a Barcellona.

Guglielmo Mack dal Conservatorio di Napoli, torna a Calcutta per
scrivere la nuova _Giovanna Grey_.

Marras nell’Indie, Hopskins, Gottschalk e Balatka, negli Stati Uniti,
scrivono a imitazione dei classici.

Albert Giraud porge la prima opera in Algeria.

Carlo Gomez, che in Rio Janeiro sua patria coi successi dell’opera
_Guarany_, mosse quell’Imperatore ad onorare solennemente colui che
iniziato avea nell’arte musicale il giovane autore brasiliano, Lauro
Rossi, allora direttore del milanese Conservatorio[125].

Lajtz, altro allievo di Milano scrive per Zagabria.

Flotow imitatore pur esso di dolci melodie nella _Marta_ e nell’_Ombra_.

Thomas Gregorio, erudito maestro del parigino conservatorio nella
sua _Mignon_ (ridotta com’è da _Opera-comica_ sotto la cui forma era
scritta), elegantemente riesce a cantilene soporifere, a complicati
ballabili[126].

Ebbero vena alle nazionali canzoni in Parigi, fra gli altri, C. G.
Roussel, che fu maestro fino al 1870 all’Istituto de’ Ciechi; Amato
Maillart di Moulis, autor della _Sara_; Hervè di facili cantilene
fecondo, tutti e tre, che, come Auber loro principe, non sopravissero
ai danni estremi della patria nell’ultima guerra fatale.

Altri non oscuri compositori diconsi, Giulio Cohen e Pantaleo Battù.
Egualmente nel Belgio, Alessandro De Vigne già maestro a Gand.

Tali, Guglielmo Berlijn in Amsterdam, e Bernardo Molique di Nuremberg,
antico direttore alla Corte di Stuttgard.

Raff, svizzero (nato a Lachen 1822), maestro a Wiesbaden, men felice
nei canti del _Re Alfredo_, che nelle critiche della _Wagnerfrage_.

Beer, all’idioma francese addatta i canti della sua _Elisabetta
d’Ungheria_; come Carlo Loevve ebbe grido di ben comporre per
l’Alemagna e la Francia[127].

Hüller tedesco, e Sullivan inglese, scarsi d’idee, s’ingegnano del
loro meglio per emergere in Londra. Quivi ricordansi i maestri: Smart
e Balfe, di fresco perduto; Ugo Pieson che or diede la _Contarini_; E.
Bunnef, ed il sunnominato J. Benedict, ricercatori di canti all’inglese
teatro.

Bruk ed Hopffer viventi a Berlino. Frank, del _Musikverein_ di Vienna.
Wasielewski violinista e maestro alla cappella di Bonn in Prussia.
Scholz Bernardo, ed Haus bar. di Bülow, già alla cappella di Monaco,
pur distinti alemanni.

Lachner Francesco di Rain, che fu maestro a Vienna, a Manheim, a
Monaco, lasciò musicato anch’egli l’_Edipo_ di Sofocle, e divise la
fama coi fratelli Ignazio e Vincenzo.

Glink fu il principe de’ russi maestri; fra quali era specialmente
cultore delle melodiche tradizioni il Weyrauck che fu anche rinomato
cantore, e quel compositore principe Galitzin che fu assassinato in
novembre 1869.

Niels. Wiehelm Gade è il maggiore dei compositori di Danimarca, dove
S. A. Paulli, d’origine italiana, levò in rinomanza la r. cappella di
Copenaga; e F. P. E. Hartmann, il suddetto Asger Hamerick, ed E. V.
Ramsoë, classicisti, son pur riverenti all’italica scuola.

Tale Brams Giovanni, che in quella dei grandi elegiaci musicali
alemanni incrementa vieppiù le ricchezze degli _Oratorj_.

Vatroslay Lisinski, morto nel 1854, faceasi custode del _Canzoniere
polacco_: e Moniuszko, morto a Varsavia, 1872, delle _Operette_
popolari.

Vedemmo retro, a pag. 85, d’alcuni distinti compositori Ungheresi.

Prock Enrico, viennese, successore al Salvi a quel teatro e alla
cappella imperiale, aumentò di duecento _Lieder_ il canzoniere
alemanno.

Fètis padre fu tale nel Belgio, non parimenti felice nelle _Operette_
di cui volea mostrarsi fecondo.

Offemback più grazioso e leggiero nelle cantilene delle _Operette_, che
in oggi la politica, sotto color di tutela al classicismo della grande
composizione ora in andazzo, proscrisse dai grandi centri, i quali poi
fuori dal naturale vanno cercando armonia.

Hervè suo imitatore, non incorse nello strano ostracismo, forse perchè
nell’epoca appunto di queste aberazioni governative veniva a morire in
Londra (1871).

Più fervido ancora dell’Offemback, il Suppè, nato però in riva
all’Adriatico; ma tale che anche allorquando affetta i ritmi tedeschi,
ha uno spiccato sapore di melodia italiana.

E parecchi principi delle medesime studiose terre franco-alemanne,
quali, il Paniatowski e Giorgio d’Annover, stanno fra i più felici
imitatori.

Ma se per assaporare le vere dolcezze, e per diffonderle anche
frammiste ad estranei sapori, concorrono tutti, come insegnò
Carlo Magno, alla prima fonte; come mai, quella schiera graziosa
providenzialmente preposta alla estasi del bello, alla delicatezza del
senso, alla ebbrezza del piacere, nell’arte più soave, tiensi quasi
esclusivamente nel coro delle servili esecutrici?...

Al linguaggio degli angeli e delle vestali, alla mistica eloquenza
dell’anima, alle forme specialmente sacrate alla preghiera, e preferite
dall’amore e dal mistero, attendano anche le donne italiane; memori che
le antiche, al dir dell’Ariosto, _hanno fatto mirabil cose nelle sacre
muse, e son venute in eccellenza di ciascun’arte ove hanno posto cura_.

Le donne, che dall’amore ricevono la loro coltura, e sen fanno
agl’uomini distributrici[128], immagini della natura, madri del dolore
da cui le grandi anime e gli alti portenti, e della letizia d’onde
il profumo della vita e la ispirazione; rammentino la Femonea, la
Saffo, la Debora, antichi genj del classico canto; e le Caccini e le
Guidiccioni concorse alla riforma melodica ed alla creazione dell’italo
melodramma.

Non lascino il fertile campo a sola cura del loro superbo compagno,
contente di sfruttare dalle sue fatiche; come ogni altra scienza in
cui vanno rivendicando l’onor della gara, anche nella composizion
musicale arrechino la loro geniale ispirazione: e sia salutata con
gioja Carolina Ferrari, da Lodi, che nella terra di Cagliari interpreta
colle nuove note di suo trovato, le virtù d’_Eleonora d’Alborea_
(1871) poeticamente e musicalmente illustrando il più bel tipo di
donna italiana del medio evo; ed Orsola Aspri, che nella gran Capitale
inneggia ai nuovi destini d’Italia.

Innanzi a tanti apostoli viventi nell’esercizio della bella missione, e
più o men fortunati nell’acquisto di chiara fama, m’arresto.

Il giudizio sulla nobile gara è ancora in mano del tempo.

Anche gli acoliti d’un’altra scuola attendono l’avvenire... Scuola e
rivalità che non sono nuove; e abbiam veduta predicata quella, e questa
ritentata fino dai tempi dei _Ricercari_ di Frescobaldi e delle _Fughe_
di Bach; di Piccini e Gluck; di Rossini e di Wagner.

Dall’epoca delle semplici composizioni e dei melodrammi cantabili, in
cui il teatro lasciava ancora i Cori alle chiese, e le Orchestre alle
bande militari, a quella dei colossali spartiti che impiegano truppe
di virtuosi e di professori, dal 1600 ai giorni nostri, la composizione
progredì tanto da dare al teatro una media di cinquanta opere all’anno.

L’arte continua il suo cammino, or latente, ora palese — scriveva
non ha guari il maestro Sessa — la musica è la compagna, il prodotto
necessario dello spirito umano solo ed unico fattore d’essa: finchè vi
sarà al mondo uno spirito che viva, una mente che si agiti, un cuore
che batta e senta vi sarà musica, e data questa, vi sarà pure l’arte
musicale, che è la musica fatta degna del suo facitore, lo spirito
umano; arte velata, mezzo incomprensibile (nel che sta appunto la sua
attrattiva maggiore e peculiare) vera iride delle arti, ma arte sempre.

«... Questa cammina, buon grado o malgrado i critici; e nel suo cammino
ne incontra di tutte sorte: or tira dritto ed eguale, or trasvia, or
va troppo in giù, or troppo in su, ora inciampa e cade, ora risorge,
ma cammina pur sempre, e nel suo cammino sviluppa necessariamente gli
elementi suoi indefiniti, indefinibili, inesauribili.

Oh! io mi rallegro meco stesso, che in Italia, in questa nostra amata
Italia, sorgano i giovani compositori dovunque, forniti d’intelligenza
e di cuore, di sapere e di sentire, e ci facciano assistere alle prove
luminose della loro abilità.

Vi saranno inaccortezze, esuberanze, difetti: ciò è inevitabile; ma
che monta? Le disaccortezze giovano a far accorti per un’altra volta,
le esuberanze si frenano, i difetti si tolgono. Se è dell’uomo il
peccare, meglio il peccare per eccesso che per mancanza, meglio peccar
d’ambizione che d’accidia.

Avanti! avanti! Non ci arrestiamo dopo una o due pruove felici o
infelici. Avanti! cauti sì, non alla cieca, ma avanti pur sempre.
Non dimentichiamo mai canto, melodia, anima, ideale; il canto domini;
l’armonia, lo strumentale non servano, ma accompagnino, non superino
soffocandolo, il canto.

Facciamo che la musica esprima il _sentimento_ del cuore, non il
_concetto_ della mente; facciamo che dessa resti vaga, indefinita,
ch’essa sia spiegata, cementata dalla parola, e non che la parola
sia commentata e spiegata dalla musica; non la immiseriamo, non la
materializziamo!

Avanti signori Marchetti, Ventura, Miceli, Perelli, Gomez, avanti
tutti ch’io non nomino. Siate o non siate genj (il genio è pazienza,
assiduità, costanza) avanti! fate, producete, fateci sentire i vostri
bei canti a dispetto degli invidiosi e de’ mille ostacoli materiali e
morali che s’oppongono all’uscita e riuscita dell’opera d’un giovane
maestro sul palcoscenico.

Il pubblico è avido di sentir vibrare corde nuove e non consunte.
Il vecchio repertorio facciamo che riposi alquanto: così ci apparirà
rinfrescato e più bello a riudirlo dopo un certo tempo, dopo aver udito
le cose giovani, fresche, ridenti di quella bellezza che la gioventù
sola può dare. — L’arte, l’Italia, _si aspettano_ molto da voi![129]»

Quest’è l’avvenire: _le Speranze_.

Altri aspettano, e sperano dall’_avvenire_: e fanno bene. Essi
camminano per altra via, e fuori dalle tradizioni e dalla scuola
italiana di tutti i tempi. Essi _redivivono_ e _si riformano_: e non
v’ha, nè può farsi questione.

La strada è diversa, diverso l’intendimento.

La parola _riforma_ pronunciata dai nordici, non può suscitare i
meridionali se questi erroneamente non se la appropriano.

Lasciata a loro esclusiva con tutta l’idea che rappresenta, quella
parola anzichè sollevare lotta comune, apporta un utile all’arte, un
fecondo conciliamento.

Chè definite omai son le due scuole, e vive ciascuna di sua esistenza:
nell’antitesi spiegata non rimane altro dubbio; e le demarcate nature
non lasciano luogo a processo.

Sarà permesso un confronto od un parallelo: e con quello che ci dà il
maestro Oscar Gamps y Soler, chiudo sulle composizioni.

        _Scuola italiana._                 _Scuola gallo-germanica._

  Ispirazione                        Calcolo
  Genio                              Ingegno
  Melodia                            Armonia
  Idealismo                          Realismo
  Spontaneità                        Studio
  Improvvisazione
  Espressione                        Effetto
  Tradizione                         Invocazione
  Semplicità                         Complicazione
  Chiarezza e rotondità di           Astrusità e rumore
    forma
  Ritmo preciso                      Ritmo incerto, vacillante,
                                       alterato e controvertito.
  Modulazione corretta e naturale.   Snaturalizzazione delle leggi
                                       naturali della tonalità e della
                                       modulazione.
  Imitazione soggettiva, vale a      Imitazione oggettiva: vale a
    dire: ancorchè non tratti di       dire, ancorchè non tratti
    esprimere un determinato           d’imitare un oggetto materiale
    sentimento, impiega per            determinato, impiega per
    l’imitazione oggettiva un          l’imitazione soggettiva con
    idealismo che ingigantisce         servilismo, un razionalismo
    il ricordo dell’oggetto            che ricorda assai troppo la
    imitato e lo eleva alla stessa     nuda realtà dei sentimenti,
    altezza che sa elevare             materializzandolo,
    i sentimenti ideali                umanizzandolo tutto.
    spiritualizzandolo tutto.
  Dolce fusione di voci e stromenti  Labirintico imbroglio della parte
    con predominio assoluto della      strumentale cui soggiacia
    parte vocale.                      costantemente la parte vocale.
  Bel canto                          Melopea
  Creazione che estasia l’anima.     Artifizio che ci fa sorprendere e
                                       ci fa ammirare.
  Calore che si sente e non si può   Grandiosità che si spiega e non
    spiegare.                          si sente.
  Situazioni sceniche ingrandite     Musica ingrandita dalle
    dalla musica.                      situazioni sceniche.

Ma da questa antitesi perfetta potrebbe avvenire un accordo?....

Ecco come conchiude il medesimo esponente:

«Vorrete pure citarmi come trofei della scuola innovatrice gli spartiti
di _Marta, Faust_ e _Hamlet_?

Ebbene, io saluterò con voi e Flotow, e Gounod, e Thomas, e dirò loro:
Siate i benvenuti; salve a chi porta nell’arte tanto splendore. — Son
questi i riformisti? che leggi trasgredirono dell’antico codice? Non
armarono forse le loro lire e non le temprarono ai toni del sentimento,
dell’affetto, e non intuonarono forse un’egloga alle passioni del
cuore? non sono essi melodisti?.... i pezzi culminanti e più applauditi
non potrebbero ostentare sul loro frontispizio un nome italiano?....

Che se pure i lor canti hanno una strana accentuazione e gli
accompagnamenti della lor melodia è originale, sovvenir deve che
l’euritmia e la prosodia musicale variano naturalmente a norma delle
diverse lingue, dei diversi costumi, climi, epoche....

E in quanto agli accompagnamenti, mentre non si potrebbe incolpare alla
scuola italiana la trascuranza dopo il _Guglielmo Tell, Rigoletto,
Aroldo, Trovatore, Orazj e Curiazi, Fidanzata Corsa, Don Carlo_; non
s’avrebbe ragione di classificare fuori della scuola italiana un’opera
che si distingua per la istrumentazione.

Se la natura è incatenata a una legge invariabile, se il nostro cuore
non può elevarsi dal limite segnato, se l’anima nostra è immagine di
Dio, se il bello deve relazionarsi eternamente col buono, e il male
col deforme, se infine lo stolto orgoglio umano deve sempre cadere
nella polvere e nell’abbiezione.... l’avvenire che volesse prefissare
il calcolo all’ispirazione de’ canti — l’effetto al sentimento — il
realismo all’idealismo — Wagner a Rossini — dovrebbe davvero rimanere
eterno sotto la lapide dell’obblio![130]»

Ma, nessuno, può vantare di dettar leggi sull’avvenire; — soggiunse
quasi contemporaneamente il maestro Melchiorre Balbi. —

In ogni secolo la musica ebbe un sovrano potere sul cuore umano; in
ogni nazione vanta la sua eterea influenza. L’Itala terra, auspicata da
un purissimo cielo, ispira ai suoi prediletti figli, il genio creatore.

Qualunque altra nazione, la quale non possa vantare questo precipuo
bene di natura, suggerisce ai figli suoi dedicarsi alla scienza e
all’arte, che mercè una ben regolata scuola, vale a ricompensare
largamente i prodotti dell’ingegnoso cultore. Se la natura dà il genio,
la sapienza dà l’ingegno: ed ogni possibile perfettibilità musicale sta
nel loro connubio.

Non dica l’italiano — la _Melodia_ è tutto — nè l’oltramontano —
il tutto sta nell’_Armonia_: che non vi sarà mai musica senza un
equiparato melo-armonico concetto. Così alla rivalità fra melodisti ed
armonicisti, subentri una fratellevole mutuità, e questa sola potrà
dare, ora e per l’avvenire, l’adempimento di ogni Oraziano precetto,
secondo il celebratissimo codice _De arte poetica_[131].

Ed in vero, importa tanto che gli eletti nostri ingegni s’affatichino
a difendere l’istinto nostro e la sua espressione che è il canto;
importa, che tanti giudici si sollevino a pronunziare sulle lotte
ridestate in oggi dagli appassionati per l’introduzione in Italia
dei capi d’opera Wagneriani, provocando nuova decisione sull’altrui
classicismo e sulla nostra naturalezza?! Merita che in tanto progresso,
il giornalismo in lunghe pagine agiti ancora la ingrata questione?
Che il Biaggi colla finezza di retoriche concessioni, e con ironica
eloquenza, accordi agli avversarj — che il largo svolgimento della
melodia, e il _canto_ che _canta_, e il _personaggio cantante_,
offendano la verità drammatica, ed invece la servano meglio il
_canto-recitativo_, il _canto-salmodia_, il _personaggio-orchestra_,
per tirarli a convenire e conchiudere che, l’egemonìa del dramma non
ebbe mai il sopravvento che nei momenti di carestia melodica, e ricadde
sempre a un tratto e lasciò campo libero alla musica, non appena
uscì fuori una fantasia della tempra di quelle che s’ebbero i nostri
grandi maestri, i quali in una di quelle melodiose cabalette, delizia
dei nostri primi anni, e disperazione dei compositori stranieri,
stringevano come in una rapida sintesi il carattere e gli affetti
dominanti nei pezzi d’opera, pensieri così belli, così seducenti, che
mandavano raggi da tutte le parti con ben faccetati diamanti....![132].

Merita che il D’Arcais a lieta transazione c’inviti, mostrando
possibile che — il canto medesimo possa operare la fusione perfetta
tra il dramma e la musica, non con l’opera _suonata_, sperimentata
la prima volta in Italia con _Lohengrin_ dato a Bologna 1871, ove
bastava l’orchestra e sostituiva al canto _l’ode-sinfonica_, ma l’opera
_cantata_ che pur descrive la drammatica verità colla buona e regolare
disposizione della forma e la bellezza del linguaggio che abbisogna di
conciliarsi l’orecchio per scendere a padroneggiare il cuore...?[133].

Merita che il medesimo Filippi nella difesa delle straniere teorie ci
confessi che — non si tratta d’imporle esclusivamente al nostro paese,
di proporle come modello di carattere e di stile ai nostri compositori,
nè di farle accettare al pubblico come la sola forma ed espressione
possibile dell’arte, ma come lezione al suo progresso e alla fede nel
dramma musicale... senza pericolo poi di corromperci, di contaminarci,
perchè l’indole, il carattere nostrano, grazie al cielo, non si
smarrisce per tali importazioni; perchè in musica l’imitare e copiare
sono infruttiferi, e gl’imitatori passano come meteore fugaci, sia che
imitino Wagner, sia che plagino Verdi e Rossini...?[134].

Val la pena che da noi tanto si dica?

È il capo della pretesa scuola riformatrice, il tipo di quel
_recitativo sinfonico_ che è lo straniero canto, il profeta
involontario, trascinato da altri a mostrarsi anche confuso scrittore,
ma quello solo a cui spettarebbe veramente di portare e difendere le
attitudini naturali sue e de’ suoi, risparmiandosi però anch’egli i
confronti, è Wagner medesimo, men presuntuoso forse che non lo facciano
i suoi partitanti, che ci avverte di tanto.

Dopo aver dichiarato che una egra _tetraggine_ esagerava le sue
sensazioni, anche quando ricorreva in Italia, dove Goethe s’era
lamentato di dover torturare la sua musa poetica coll’idioma tedesco,
in paese ove gli pareva che la favella italiana gli avrebbe sollevato
il lavoro, si valse della osservazione fatta — che la facoltà
caratteristica produttiva di un popolo, è di rintracciarsi più là dove
la natura si mostra avara, che là dove si mostra feconda de’ suoi
doni; — dice: Che se i tedeschi da cent’anni a questa parte, hanno
acquistata un’importante influenza sul perfezionamento della musica _a
loro trasmessa dagl’italiani_, ciò è spiegabile (a voler considerare da
fisiologo tale fatto) principalmente dal fatto ch’_essi mancanti del
dono essenzialmente melodico della voce_, hanno dovuto applicarsi con
profonda serietà alla parte tonale dell’arte; paragonabili in ciò ai
loro riformatori religiosi, i quali appurarono la religione del santo
Vangelo abbandonando l’abbagliante splendore delle pompe ecclesiastiche
per darsi allo spiritualismo puro dell’anima... Eppure, soggiunge, un
anelito secreto ci avverte, che noi tedeschi non possediamo l’intero
essere dell’arte; una voce intima ci dice che l’opera d’arte vuole
finalmente diventare un fatto completo che appaghi anche il senso,
che scuota tutte le fibre dell’uomo, che lo invada come un torrente
di gioja... è necessario il connubio del genio d’Italia e quello
Germanico[135].

In tal confessione dell’alemanno maestro c’è di più che non occorra
per troncar la questione; nè confondere più gli altrui conati, colla
potenza riconosciuta del canto.

Potrà essere che un momentaneo torpore del genio melodico, o come disse
il Biaggi, un momento di _carestia melodica_, possa permettere effimeri
trionfi alle straniere forme, solite, e che non sono innovazioni; ma
non sarà tardo il risveglio del genio italico «alla cui incomparabile
feracità, dal rinascimento in poi (escluso se vuolsi il secolo barocco
delle _pirouette_ e dei _musici_) l’epoca moderna deve tutte le sue
arti.»

Ben piuttosto il difetto di bravi e veri cantanti è la breccia fatale,
la porta spalancata, alle nuove teorie. «La scuola del Wagner, disse il
D’Arcais, farà proseliti anche in Italia, perchè risponde alle tristi
condizioni dell’arte nostra. Il Wagner non ha bisogno di cantanti
di vaglia. Nelle opere di quella scuola, sono i cantanti, come suol
dirsi, _la quinta ruota del carro_. I maestri italiani seguono quella
via perchè, presentemente, è la più comoda. Ai nostri tempi la maggior
parte dei cantanti non escono dal mediocre, compromettono invece di
assicurare il successo d’uno spartito; ne viene necessariamente di
conseguenza che i maestri procurano di diminuire la loro importanza;
e così poco per volta l’opera in musica cede il campo alla sinfonia
descrittiva con accompagnamento di canto.» Regresso fatale dove
possedonsi le memorie e le voci più belle del mondo. E fossero poi
drammatici questi pseudo-cantanti!

La nullità enciclopedica del maggior numero di questi vieppiù risalta,
dove nemmeno il diletto melodico non vale più a trattenere gli
spettatori. Allora cercasi di tornare all’antico canto, ma allora
manca l’arte di questo, sono impossibili le note dopo l’abbandono
delle volate, delle scale, de’ vocalizzi, non son più atte le voci
paralizzate dal brontolìo e dall’abbajare così detto drammatico.

Il geniale pensatore ed artista, che in tutte le belle discipline
perito, prima di dipartirsi da noi, ci die’ i sapienti suoi _Ricordi_,
Massimo D’Azeglio, in brevi parole, confermando l’asserto degli antichi
scrutatori dei misteri musicali, ci lasciò detto: Di tutte le opere
dell’uomo, la più maravigliosa ed insieme la sola inesplicabile essere
la musica; ma la rivelazione consistere nelle melodie, certune delle
quali, sono come una voce, una dolce memoria che si ridesta...[136], di
cui l’anima è l’êco (avea detto Victor Cousin) dove il suono acquista
nuova possanza, per que’ rapporti maravigliosi che fisicamente e
moralmente fra l’una e l’altro vi hanno.

Ma come un sistema esclusivo melodico renderebbe monotono il senso,
e concorrerebbe ad affievolir l’animo snervandolo delle sue forze,
l’armonia esclusiva, eccitando soverchiamente l’animo e i sensi,
finirebbe per l’estremo opposto a renderli spossati, ottusi, macchine
_cui l’oracolo più non risponde!_


_Scuole corali. — Società. — Cori-masse moderni._

Abbiamo cominciato in queste memorie osservando, fin dagli indizj che
i più remoti tempi serbano alla storia, spossato il canto melodico alle
armonie dell’arpe e dei cori.

Poeti e divinatori Egizj, Greci, ed Ebrei intuonarono invenzioni e
reminiscenze cui risposero popoli, guerrieri e leviti con immenso
concerto; come alla prima stella innumerevoli astri fanno corteggio.

Ben lo intesero i genj superiori; e Salomone invaghito del proprio
patetico canto, non escluse le migliaja di bianche stole che gli
tenessero bordone.

Sia pace adunque anche alla moderna gran patria dei perfetti _Corali_,
solenni d’innumerevoli esattissime voci, purchè quella non voglia
escludere superbamente la davidica ispirazione.

La tendenza alle armoniche speculazioni è sublime allora che segue la
voce superna cagione di quelle e regolatrice.

In questo grande concetto Händel armonizzò melodiando, siccome Sphor
melodiò nell’armonia.

Si ripetano adunque i sublimi canti degli antichi popoli: _Noi siam
del Signore_, cantano a mille voci i vangelici della Germania, sopra la
patetica lamentanza di chi ricorda il piagato di Nazaret[137].

_Ecco il Messia_, ripete un infinito coro ad una rivelazione
dell’epopeja cristiana nella sacra Armonica Società di Londra[138], e
in quella biblica, _L’Israele in Egitto_ è redivivo nei grandi oratorj
Händeliani.

Fino dal 1785 tali enormi concerti iniziavansi nella mondiale metropoli
col concorso di 600 cantori; ma nel 1868, nell’_Händel Festival_
del Palazzo di cristallo per l’esecuzione dell’oratorio il _Messia_,
s’unirono in coro fin 3067 cantanti, accompagnati da 500 suonatori.

I cantori dell’universo ivi s’erano dati la posta; e 781 venuti dalle
provincie d’Inghilterra, e dalla Scozia — sottoposta al Polo; altri ne
manda — la divisa dal mondo ultima Irlanda. —

Di tale memorabile coro, diretto dall’italiano Costa, fu detto che
«nell’assieme, l’articolazione delle parole era distinta come se
uscissero da una sola capacissima bocca.» Ed aggiungo, che, tanto
risuono non impedì la melodia scendesse a ricercar talvolta le arcane
fibre del cuore.

Tale avvenimento nella storia del canto è degno di tutto il suo
progresso, e ci ricongiunge, per così dire, col circolo indefinito di
Vico, all’incompresa grandezza degli Omerici canti.

Nel giugno 1871, ricorrendo il grande triennale, rinnovossi il Festival
con un coro di 4000 voci e proporzionata orchestra avanti un pubblico
di 30,000 persone nel medesimo _Cristal Palace_ raccolto. Nel tempo
stesso all’_Albert Hall_ altri 2000 cantori accompagnano le signore
Titiens, Sinico e Trebelli nelle sublimi frasi Rossiniane dello _Stabat
Mater_.

Pel _Temperance Festival_ del 27 luglio 1872 a Londra s’unirono 5000
voci.

Questo gran coro viene ripetuto alla corte vicereale di Simla
nell’Indie, assieme alla _Gallia_, Salma o cantata di Gounod, e
a quella _Edenland_, di Marras in Ceylan ed altre lontane regioni
Indiane e nelle Americhe, dove gl’inglesi specialmente diffusero la
passione dei cori, che trovano egregi direttori quali, Gerome Hopkins,
Gottschalk, Hous-Balatka anche fra gli americani.

Nell’esercizio di sì grandiosi moderni concerti, bisogna pure accordare
buon merito alle nuove Società tedesche, che vanno a gara per ridestare
le solenni memorie di quelle masse che accompagnar doveano i canti di
Fingallo e d’Erminio.

Ogni ceto di persone vi prende parte, perocchè intendano essere il
canto e la musica, linguaggio e insegnamento comune.

Non disdegnano il connubio d’altre voci per ambire lo sterile
privilegio di cantar solitarj; come quegl’immondi che pretendono di
soddisfar meglio ai precetti della religione d’amore, avvinti alla
legge di tenersene schivi, e rinunziano ai cari legami pei quali il
Creatore chiamò tutti gli uomini nel coro comune della società e della
famiglia.

Quindi bene comprendono i docili alemani l’insegnamento degli antichi,
richiamato da Schumann, che, chi vuol essere buon musicista deve
esercitarsi assiduamente nei cori[139], come dagli esercitati nelle
file sorge il miglior generale, e colla pratica di sì buon precetto,
porgono un bell’esempio, che in questa parte anche gl’italiani
dovrebbero veramente imitare.

Nè soltanto ai riguardi dell’arte, ma, come chiaro apparisce, anche a
vantaggio della nazionale educazione. Chè i canti del popolo, disse
Herder, sono i suoi archivi, il tesoro della sua scienza, della sua
religione, della sua teogonia e cosmogonia, della vita de’ suoi padri,
de’ fasti della sua storia.

L’associamento al canto cominciato anche in Isvizzera per opera
d’Haupert nel 1833, segnò quasi un nuovo periodo di moralità in quelle
contrade.

In Prussia, auspice Lutero, compì la riforma del movimento
intellettivo, che per la Sassonia, Baden e Württemberg, si diffuse
anche nella Baviera e nell’Austria.

Anche le città più ristrette possedono un corpo di bene addestrati
cantori, che presso ad altre nazioni non si potrebbe forse raccogliere
se non da più luoghi. E ricordo, in Innsbruck, nel 1868, aver veduto
radunarsi in brev’ora un magnifico coro di duecento voci maschie e
muliebri, per cantare a quel teatro imperiale l’_Oratorio_ di Sphor.

A Baden-Baden, la _Messa_ di Rossini, con straordinarj rinforzi di
masse corali. Parimenti a Göteborg, ove dirigeva un Patti; a Kannstadt
per opera del Molique maestro alla vicina Stuttgard; ed a Mehadia,
luogo di bagni nell’Ungheria, dove si danno grandi concerti.

Alla Cappella già ducale di Dessau, dove Federico Schneider, dapprima
organista di Lipsia, fu rinomato maestro, questi potè trovare elementi
per le sue grandiose composizioni rituali, come il ben riuscito
_Giudizio universale_ che si ricanta nelle città tedesche; per le
quali il medesimo autore fino dal 1853 in cui morì, lasciava un
solenne _Tedeum Cesareo_, profetando non lontano un nuovo Germanico
Imperatore[140].

A Bayreuth s’inaugura il teatro Wagner (1872) con oltre trecento
cantori.

La Società Filarmonica Viennese (Gesellschaft der Musikfreunde) è una
delle istituzioni musicali, più grandiose, complete e perfette che
esistano; non solamente è un eccellente Conservatorio per l’educazione
musicale in ogni ramo dell’arte; è anche il tempio consacrato alla
esecuzione delle musiche più belle e difficili, all’udizione degli
artisti e virtuosi più eminenti. È fondata da un pezzo, ma si è
rinnovata su basi più vaste, pochi anni fa, collo scopo anche di
erigere un apposito edifizio per le Scuole e pei concerti.

La sola proficua ingerenza dello Stato fu il lauto dono fatto
dall’Imperatore alla _Società_ dell’area per la costruzione del
sontuoso edifizio.

Ora dirige il Dessoff, e insegna il nostro Marchesi.

Vienna poi ha più di sessanta _Società corali_, bene organizzate e
fiorenti. Fra queste: la _Società del canto corale_ — _dell’Accademia
corale_ — _del canto corale maschile_ — _del canto accademico corale_
— _del canto Francesco Schubert_ — cui si eresse splendido monumento
(maggio 1872).

Queste concorrono fraternamente a formare le grandi masse ne’ solenni
concerti, come fu nel 1870, per le feste di Beethoven, in cui s’ammirò
un corpo corale di ben 300 voci, di soprano e di basso specialmente
bellissime, ed educatissime tutte, che richiamarono a viva memoria la
_Messa solenne_ di quel compositore.

E in tal circostanza meritarono distintamente i solisti di canto per
la _Nona Sinfonia_, a quattro voci, la Wilt, soprano; la Bettelheim,
contralto; il Labatt, tenore; e lo Schmid basso, che condussero
a meraviglia quel quartetto vocale, con quelle note che pajono
sbagliate, talmente sono ardite, da rendere scabrosa oltre ogni dire la
intonazione.

Il tenore Walter, di buona scuola, in oggi il miglior cantante
del teatro imperiale, non potè nascondere che la sua voce è
disgraziatamente spirante: come la Dustmann, alla magnifica voce ed
al gran sentimento, ma senza scuola, rivelò passato omai colla sua
freschezza anche l’interesse ad occuparsi de’ suoi difetti.

Beck non avea che un buon resto di mezzi vocali e l’aspetto, come
Draxler dalla voce di legno.

La Tellheim, nell’ardua prova vide essa pure smarrir la stella — che
per istanti la fortuna accorda. —

Se la marmorea effigie di Beethoven avesse potuto pronunziare
sentenza, non s’avrebbe mostrata tristissima della sordità per tanti
anni funesta, e sarebbe ricorsa alle memorie del 1814, quando essendo
maestro della cappella viennese Umlauff, cantava il suo _Fidelio_ colla
Milder-Hauptmann l’italiano Radichi.

Anche la Francia coltiva passionatamente le sue truppe d’artisti che
conservano le corali cantilene sue tradizionali e che alle comiche
scene con garbo intrecciano il canto. La parigina Schneider è alla
testa delle attrici-cantanti d’_operette_; e specialmente nella
Francia meridionale formansi compagnie di cantori, che varcano i loro
confini e viaggiano per far sentire cori e le canzoni di Provenza e di
Linguadoca.

Le pastorali canzoni, i melanconici idilj! Ma, e gli entusiastici cori
delle sue masse marziali?.... ahi, che almen per ora, spirano sulle
labbra ai franchi le note di Rouget-de-l’Ile potenti per tutto un
secolo a suscitare, come i morti d’Ezechiello, i figli di quella terra
a migliaia, per combattere gloriosamente.

Ripigliano invece la forza di milioni di voci, e si diffondono con
êco imponente per le campagne dell’Alemagna, le cantate di Körner che
parevano spente coll’eroico suo inventore sul campo di Schwerin dal
Genio di Corsica.

E per tutta Europa, baldi d’inaudite vittorie, i Germani cantori non si
peritano più di far sentire l’_Inno della spada_, di Weber; la _Guardia
del Reno_, di Wilhelm, _Dio lo vuole_, di Mendelssohn; i _Brindisi_
(Trinklied), di Marschner; le _Marcie_, di Stiehl.

Anche i soldati d’Iberia nella riconquista delle loro libertà
riprendono lena a intuonare la lor _Madrilena_. I Magiari rinnovano
liberamente i loro cori inaugurati nel 1848 dall’artigliero immortale
di Segeswar, Sandor; dall’ultimo cigno che accompagnò le titanniche
prove, Alessandro Petöfi.

Perfino le brevi legioni dei nipoti di Temistocle e di Epaminonda
ripetono i canti che le riscosse al sacro entusiasmo di Riga.

E l’Italia?!... Oh può anch’ella finalmente rinnovare i suoi cori nella
vasta famiglia del suo esercito, nella fratellanza de’ suoi cittadini,
che da barbare separazioni il numero non le vien più conteso.

Prodromo fatidico di questi canti cumulativi che ormai la Nazione
intera può sciogliere liberamente, intesi pure l’anno 1858, nella
terra dell’ospitalità che fu santa Vestale all’Italia, e lo ricordo con
commozione.

Solennizzavasi a Torino il decimo anniversario dello Statuto, quando
tutte le altre città sorelle gemevano oppresse e divise: ma oltre
trentamila de’ migliori patrioti erano concorsi da ogni parte alla
festa; ed ivi confondeansi i piemontesi dialetti, col bisbiglio de’
liguri; coll’idioma festivo veneziano, il burlevole lombardo, il canoro
toscano, il napoletano infocato. La sera del 10 maggio, sulla piazza
san Carlo, uniti 500 italiani cantori, professori e artisti d’ogni
paese, dilettanti, allievi della _Scuola accademica filarmonica_, delle
_tecniche_ e della _Scuola teatrale Vittorio Emanuele_, diretti dal
maestro Luigi Fabbrica, echeggiò un gran coro, il primo di tal fatta
che sparse fremito insolito nella penisola.

    «Và pensiero sull’ali dorate»
                  (_Nabuco_).

    «E la morte sul campo di gloria
    Le nostr’alme avvilir non potrà.»
            (_Assedio di Corinto_).

    «Sul fior degli anni — chi muore e che non dà
    Di gloria un segno — alla futura età
                  Di fama è indegno.»
                   (_Donna Caritea_).

Insolito fremito io dissi: chè, soltanto pel difetto di libertà non
era usa Italia a tai concerti, e suo malgrado in queste prove ad altri
popoli rimase addietro.

Mutarono le sorti. Dove anch’essa, nel tempo delle rivoluzioni famose,
coll’ultimo de’ suoi soldati-cantori, Goffredo Mameli caduto a Roma,
parea che avesse perduto il genio delle belliche muse per sempre, può
da quelle sacre mura riaprire adesso gl’inni del trionfo a una massa di
coro che risponde dalle Alpi ai Mari.

Dalle scuole degli Asili d’infanzia a quelle dei Reggimenti militari,
l’Italia può educarsi al canto suo nazionale.

Ricordiamo che il canto in bocca del popolo è fede e amore, religione e
patria; nel ceto eletto è scienza; nel soldato è valore.

Ricordiamo che quando l’inglese Edwort volle cancellare la nazionalità
Gallese, fece trucidare i gloriosi bardi, nei canti dei quali vivea la
forza morale di quel popolo, restava la vita di quel paese.

Il canto corale l’abbiamo accennato nella antichità più remota siccome
il solo concerto. Col progresso strumentativo lo vedemmo anima dei
concerti, e la sarà sempre.

Vedremo in seguito l’influenza della parte vocale nell’arte musicale
propriamente detta.

Ora passando dai doppj concerti surriferiti che si iniziavano nello
scorso secolo, ai puri concerti corali che imiterebbero gli _Orphéons_
antichi, dovremo col sig. Dupont convenire che questa è una riconquista
della moderna civiltà.

La riunione di uomini cantori costituiti in società privata allo scopo
di eseguire cori senza accompagnamento, non risale che ai primi dieci
anni di questo secolo.

Alle imprese tutte nelle quali necessitava il concorso e la riunione di
molti individui, l’Italia pur troppo per le sue condizioni politiche,
pel suo smembramento, per li suoi sospettosi dominatori non potea
partecipare.

Appena appena le restava un’ombra, un’idea d’associamento nelle
fraterne religiose, nei pii sodalizj raccolti soltanto attorno gli
altari. Ond’ecco nelle Chiese, e specialmente a Roma, mantenuta pure la
corale unione, solenne, famosa sì, ma limitata alle esigenze del culto.
Bisogna adunque distinguere il primato delle grandi associazioni corali
da quello delle religiose corodie, per le quali Italia in ogni tempo fu
maestra e ispiratrice. Vediamo infatti precedere anche alla riconquista
moderna di cui parliamo, i saggi di Roma, dove già nel 1774 un Gregorio
Ballabene dava una speciale sua _Composizione a 48 voci_ per uso del
tempio, della quale il tedesco Joseph Heiberger fece subito tesoro,
illustrandola, e porgendola quasi a modello a’ suoi compositori, a
risveglio di più vasti concerti.

L’italiano Sarti già sperimentava nel 1788 la esecuzione del suo
colossale _Te Deum_ a Pietroburgo, trovando elementi e libertà alla
riunione di grandi masse. E Cherubini a Parigi, la sua celebre cantata
magistrale a sole voci _La Ronda_.

Ma le prime Società corali propriamente dette, formavansi adunque in
Germania: fu Carlo Federico Zelter, allievo e successore di Fasch, che
nel 1809 creava la _Liedertafel_, Tavola delle Canzoni, la prima idea
della quale era venuta fuori l’anno innanzi in occasione che parecchi
membri della celebre _Singakademie_ avevano dato una cena ad Otto
Grell.

I canti di Körner musicati dal Weber contribuirono a rendere popolare
il genere nuovo. Senonchè, quasi contemporaneamente, Noegeli fondava il
_Männer Chor_, Coro di uomini, di Zurigo. Però a Berlino la Liedertafel
era istituzione di tendenze aristocratiche, o puramente artistiche;
mentre a Zurigo il _Männer Chor_ aveva popolari tendenze, presentiva
cioè lo spirito degli _Orphéons_ moderni. Dal 1808 al 1835 le società
corali, sul modello di quelle, vennero su rapidamente, in modo che ogni
città di Germania ne contò una. La Svizzera noverò bentosto venti mila
cantanti: quivi peraltro, e precisamente a San Gallo, esisteva fin dal
1620 una simile istituzione, come vuolsi che anche a Greiffenberg in
Pomeriana nel 1673, una di genere analogo fosse iniziata.

Vennero dopo il Belgio e la Francia. Nel Belgio, terra classica di
corale canto, queste società potenti esercitarono grande influsso sul
gusto musicale del popolo, a speciale merito del regime di libertà.
Nondimeno fu solo verso il 1830 che svilupparono notabile importanza e
rapidissima diffusione.

— A partire dal 1834, scrive il citato Dupont, ebbero luogo nel Belgio
i primi concorsi pubblici degli _Orphéons_ tra di loro: l’iniziativa
presa da questo paese fu presto seguita dalla Francia e dalla Germania.

Quella propose il primo concorso internazionale delle Società corali
nel 1862, e per le cure ed il metodo di Emilio Chevè, offerse circa
200 abili cantori improvvisati[141], e per Pellet le scuole popolari di
mutuo insegnamento: questa rinfuocò le provette sue forze, ed accrebbe
la sua riputazione.

D’allora la vera vita delle sociali riunioni di cantanti.

Chi non assistette a tali gare artistiche interessanti al sommo
grado non può immaginarsi l’ardore e il talento d’esecuzione
spiegati da varie di queste Società a fin d’ottenere la palma del
trionfo[142]. —

_La Società reale dei Cori_, del Belgio, si recò in massa perfino in
Inghilterra a provocarvi una nobile gara.

Ed ultimamente, poichè s’intese sul finire del 1871, il gran Concerto
(23 decembre) dei patrioti di Gand, ove la nuova cantata di Leon
Van-Ghelhuwe rivolta ad una delle più belle e romantiche città d’Italia
venia eseguita — _Venise Sauvée_ —, s’intese a Londra per le feste del
risanato principe di Galles, (27 febbrajo 1872) l’inno di grazie nel
San Paolo, espresso da mille voci, e innanzi al Buckingham Palace un
idilio cantato da 30,000 fanciulli. A Boston s’apre un _Festival_ con
un coro di 11,000 cantanti (17 giugno 1872).

Or si propone di portare fra i vasti campi dell’Algeria una
straordinaria massa di cantori, organizzandovi tale concerto in cui
concorrano tutte le Società corali del Belgio, Svizzera, Francia ed
Italia.

Quelle Società naturalmente furono i vivaj dei nuovi rinomati artisti
stranieri: da quelle una gran parte dello sviluppo alla lor musica.

Da quelle, è duopo confessare, che il paese musicale per eccellenza, è
costretto invocare gli esempi, per trarre anche da siffatte istituzioni
nuove ed ampie sorgenti di splendore e di lucro.

Ecco peraltro nel 1871 i cantori lombardi che s’associano per
sciogliere nella gran piazza di Milano nuovamente costruita, e in
occasione d’una Esposizione regionale, presente il Re, nuovi inni
musicati per grandi masse corali dai maestri Panzini e Perelli, e la
gran _Cantata sinfonica_ orale del Mazzucato.

Ecco in Roma, per la commemorazione del suo 20 settembre, rinnovarsi
questa _Cantata_ stupenda, allusiva alle patrie glorie da legioni di
cantori quasi d’improvviso risorti e che non saran più disciolte.

L’Inghilterra ha indetta pel 1872 una Esposizione internazionale
d’Opere musicali a Londra, sotto la direzione del Commissario della
Regina magg. generale Enrico Scott incaricato d’eleggere un Comitato
per scegliere le composizioni meritevoli d’essere eseguite nella gran
Sala reale _Alberto_ durante l’esposizione medesima.

Spiacque che l’Italia non abbia avuta tale iniziativa, come fu
lamentato che alle sue Esposizioni artistiche la parte musicale fu
sempre ommessa o mancante. È ben vero che in Italia è permanente e
continua la esposizione musicale, ma non pertanto miglior conoscenza
delle sue forze e maggior lustro ricaverebbe anche da tali mostre, come
da grandi Congressi e Concorsi, che speriamo vorrà ben presto imitare.


_Cantanti sul finire dello scorso secolo — e sul principio del
corrente. — Loro influenze._

— In un’epoca in cui tanti spiriti si lasciano sedurre dalle
magnificenze della istrumentazione, al punto di negligentare la
melodia vocale, non è senza interesse di richiamare quale sia stata la
influenza del canto, e particolarmente del canto italiano, sui destini
dell’arte musicale. —

Così trovava di scrivere P. Scudo, cantore, e colto articolista
teatrale della _Revue de Paris_, nel 1848.

Mentre l’interesse delle sue osservazioni non ebbe che ad aumentare
per l’andazzo degli anni che si successero, riferirne alcune in questo
luogo coll’estensione richiesta dal periodo di grande aberrazione cui
superbamente siamo saliti, stimo modo opportuno onde riassumere, dirò
così, a sommi capi, le memorie fin qui compendiate, e conchiudere sur
una storia che dalle più semplici e istintive regioni della natura, s’è
portata a quelle della più raffinata e difficile arte.

Per quelle leggi naturali, il linguaggio del canto l’abbiam veduto
eterno; nei legami dell’arte è veramente colla musica moderna ch’egli
comincia a balbettare, e ne segue tutti i movimenti, e ne divide con
essa i destini.

— A misura infatti che la scala dei suoni percettibili alla nostra
orecchia s’ingrandisce e dilata, progressione che forma il carattere
essenziale e la storia istessa della musica europea dal IV secolo
dell’età nostra, la voce umana si sforza anch’essa d’estendere la sfera
di sua azione e d’elevare il suo _diapson_; quindi l’arte di dirigerla
e modularla si complica e divien più difficile, perchè quanti più
gradi v’hanno a percorrere, e più vuolsi d’abilità per legarli assieme,
depurarli, e comporne un tutto melodico.

Avviene quindi del nostro organo uditivo, come dell’occhio, che
l’educazione ne perfeziona la sensibilità, e a lungo andare, perviene a
discernere e a gustare quelle varietà che sulle prime non rilevava. La
relazione dell’orecchio col nostro organo vocale è pure sì intima, che
la delicatezza dell’uno influisce sempre sulla flessibilità dell’altro.

Il canto piano chiesastico, formato dagli avvanzi della musica greca,
di cui fu duopo semplificare il sistema per accomodarlo ai bisogni ed
alla inesperienza dei fedeli, quel miscuglio di antiche melopee senza
ritmo e modulazione e senza tonalità precisa, la di cui alterazione
aprì la luce ad un’arte novella, per quella guisa che le lingue moderne
nacquero dalla corruzione della sintassi latina e dall’istinto supremo
de’ popoli, il canto piano non esigeva da coloro che lo interpretavano
una grande abilità vocale.

La conoscenza de’ segni e de’ tuoni, il rispetto della prosodia latina,
le di cui sole leggi regolavano il valor relativo delle note, ecco
tutta la scienza necessaria ad un _cantore_ de’ primi otto secoli
dell’era nostra.

E come mai da un sistema così contrario in apparenza ad ogni novazione
musicale, l’umano spirito s’è levato alla creazione del canto moderno?

Per risolvere un tale problema, basta richiamarsi quanto è difficile
il comprimere gli slanci della fantasia, e quanto l’esprimere l’altrui
pensiero senza confondervi il soffio della propria spontaneità.

Annojato dalla uniformità e dalla lentezza monotona della salmodia
gregoriana, il cantore cercò variarla con leggeri vocalizzi o fioriture
di sua invenzione, che collocava ordinariamente sulla nota finale del
tuono.

Questi capricci melodici, inventati dall’istinto d’abile cantore,
doveano trascinare l’orecchia fuori de’ limiti della tonalità indecisa
del canto fermo, e darvi il presentimento di combinazioni novelle e di
piaceri ignorati.

Quando poi nacque il ritmo, a poco a poco, dal contatto delle lingue
moderne colla melodia popolare, e si svincolò lentamente dalla ingenua
canzone, come un soffio del sentimento e un’êco della vita, ei non
tardò a irrompere anche nel canto chiesastico; e l’influenza del ritmo
aggiunta alle fioriture ed ai mille capricci che si permetteano i
cantori, finì per alterare il carattere del canto fermo, e per renderlo
quasi irriconoscibile. Tutti i teorici di quel tempo, osservatori
gelosi, come sempre, delle regole stabilite, levaronsi contro a tanto
disordine, di cui essi erano lontani dal sospettar l’importanza,
giacchè era il caos precursore d’una grande rivoluzione dell’arte,
la venuta della musica misurata che si emancipava dal giogo della
prosodia.

Tutta la musica del sedicesimo secolo, que’ madrigali a quattro,
a cinque, a sei parti, d’un’armonia sì pura e sì elegante, quelle
canzoni, quelle ballate così numerose che si cantavano in Europa
in tutte le riunioni dell’eletta società, furono i primi risultati
di questa rivoluzione compiuta dal sentimento e dalla fantasia de’
cantori.

Furono essi che guidarono la penna de’ più grandi contrappuntisti;
le loro escursioni vocali aveano risvegliata l’immaginazione de’
compositori, elevato il diapson, purgata l’armonia da ogni barbaro
elemento, e provocato lo sviluppo d’una melodia più vasta e più
colorita. Furono i cantori che ispirarono a Palestrina la sua riforma
della musica sacra; e furono alcuni virtuosi di genio che crearono
anche il dramma lirico alla fine del secolo decimosesto. Dalla
qual’epoca il canto, che aveva avuto una sì grande influenza sulle
trasformazioni successe nella musica, prese nuovo cammino. Le Opere
di Monteverde, di Cavalli, di Cesti e di quasi tutti i compositori che
hanno preceduto Alessandro Scarlatti, non erano che un lungo seguito di
recitativi solenni, d’una andata lentissima, interrotta frequentemente
da lunghi riposi. L’idea melodica ondeggiava ancora incerta e
si distaccava a stento dal limbo dell’armonia dissonante e dalla
modulazione ch’erano pure sul nascere. L’irradiamento della pressione
colle sue mille cambianze, il contrasto de’ diversi sentimenti spiegato
in ampie forme melodiche come l’aria, il duetto, il terzetto, ec. non
esistevano ancora e doveano essere il retaggio d’un’epoca più fortunata
del secolo XVIII, l’età d’oro de’ cantanti.

Ben si comprende che l’influenza de’ cantori dovea ingrandire in
ragione de’ gloriosi risultati che produceva. L’idolatria del canto si
tradusse bentosto in un fatto significativo cui merita d’arrestarci.

Nelle prime Opere italiane non s’impiegò che due specie di voci: il
_tenore_ e il _soprano_. La voce di _basso_ non fu ammessa nell’opera
_buffa_ che all’epoca di Pergolese. La parte di soprano fu cantata
primieramente da donne e da fanciulli.

La figlia di Giulio Caccini e la famosa Archilei sono state le più
celebri cantatrici drammatiche della fine del XVI secolo, le prime dive
che siano state coronate di rose e di sonetti.

I fanciulli, soggetti a mutanza di voce che, ineguale e debole non si
presta alla espressione de’ sentimenti energici, furono ben presto
allontanati dalla scena lirica; e si vide allora comparire al loro
posto, voci ed esseri eccezionali, che doveano esercitare sull’arte
del canto e sulla musica drammatica un’azione eccessiva forse, ma sotto
molti aspetti benefica. —

Sono i cantori castrati; già noti all’antichità; esistenti fin dal
duodecimo secolo anche in Italia, ove le ridestate speculazioni della
Grecia, antica maestra, e il lusso de’ pontefici che amalgamavano
costumi orientali ai loro riti, li aveano richiamati a sussidio de’
piaceri degli aremme e dei chiostri.

Nella prima parte di questo lavoro, lunghesso le memorie del canto
antico, ci siamo pure intrattenuti su di un tal fatto, riportando
quelle osservazioni fisiologiche e artistiche, che condussero anche da
questo lato allo svolgimento del linguaggio affidato alle umane voci
ed alla conoscenza della vita del canto, sorretta e sviluppata anche
dal sacrificio de’ mutilati, resi comuni e indispensabili nel secolo
decimosesto, rimpiazzanti i _contraltini_ nei cori de’ fanciulli, e
introducenti la nuova parte de’ _falsetti_, bramati tanto alle corti ed
alle cappelle.

In questo nome loro compendiavasi la natura falsata di quelle voci,
che più o meno pure ed estese acquistavano timbro di soprano o di
contralto; e, ammenochè la divinità del canto non negasse ogni favore
al garzone che sacrificavasi sopra il suo altare, non mancava compenso
a tali vittime rese dalla moda indispensabili.

Compiuto il sacrificio e riuscita l’operazione, lo strozzato
adolescente veniva accuratamente iniziato a studj minuziosi e
costanti; per cui dopo otto o dieci anni di educazione musicale in
un conservatorio e sotto abile maestro, poteva soltanto nobilitarsi
l’allievo col nome di artista _musico_, e comparire sulla prima scena
a tentar la sua sorte disputata a lui da numerosi competitori. Ad una
debole riuscita non mancavano mai i cori d’una cappella. Se le scene
d’Italia gli accordavano grido, s’aprivano al fortunato tutti i teatri
e le corti tutte d’Europa.

Ma, e a che prò tanta gloria?...

— Si potrebbe credere che _tutti_ questi esseri vili ed infelici,
avessero dovuto necessariamente formarsi freddi cantanti e manierati,
commedianti ridicoli, mostruosi così nel morale come nel fisico.

Eppure, per la più parte, non solamente possedevano voce estesa,
sonora, flessibile, ch’essi aveano abituata a tutte le difficoltà della
vocalizzazione, ma dotati sovente di bella figura, di buon gusto, e di
metodo sapiente acquistato da lunghi anni di studio e di esercizio,
pervenivano ad esprimere le passioni più varie, ed a commuovere coi
loro modi gli animi più gravi, le menti più fredde. —

Farinelli colla grazia e la forza delle sue modulazioni valse a cambiar
natura e consiglio nell’animo di Filippo V.

Guadagni, coll’aria sublime di _Orfeo: Che farò senza Euridice_,
che Gluck avea composta per la sua voce, facea versar lagrime agli
imperiali d’Austria e a Gluck medesimo.

Alcuni papi dai loro pingui falsetti presero ispirazioni.

Alcuni tiranni apersero l’animo a nuovi sensi di pietà, per la potente
forza del canto. Narrasi che Amurat IV, presa Bagdad, nel 1637, ordinò
la strage di trentamila persiani. Durante la esecuzione della feroce
sentenza, Schah-Kuli, il più celebre cantore persiano di quell’epoca
(ritenuto castrato), penetrò fin presso il Sultano, e cantò al
suono della _scheschadar_, specie d’arpa, le sventure della patria:
Amurat commosso versò lagrime e sospese il massacro. Condusse poi a
Costantinopoli il cantore ed altri 4 musicisti persiani, i quali vi
posero scuole, rianimando in Turchia il gusto musicale[143].

Federico il grande intenerivasi e turbavasi alle note dei celebri
_musici_ del suo tempo.

Napoleone I. non potea contenere la sua emozione quando Crescentini
cantava alla sua corte: _Ombra adorata aspetta_, di _Giulietta e
Romeo_, del Zingarelli.

Nè que’ illuminati despoti vinceano i despoti del piacere, e come
Catterina di Russia dalla Gabrielli, e Federico dalla La Mara,
Napoleone patì sconfitta dalla Catalani e da Marchesi.

Per tali arti, qualche musico giunse perfino alla potenza di principe
e di ministro, come vedemmo l’influenza di Farinelli alla corte di
Spagna.

Se quest’è un fatto mostruoso, non è da meno la influenza somma e
quasi esclusiva ch’ebbe questa voce di musico nel movimento musicale
dell’epoca.

Ed anzi alcuni scrittori, fra quali il De La Faye, accagionano alla
susseguita abolizione de’ castrati il lamentato decadimento dell’arte.

Certo è che quel periodo fu uno de’ più belli della musica vocale, pel
quale l’arte del canto estese tanto il suo culto, e toccò rapidamente
in Italia l’apice di sua perfezione. È dal secolo XVIII che datano le
sue tradizioni migliori, e che la scuola del canto italiano trova le
vere origini de’ suoi più brillanti ricordi.

La storia della musica vocale durante il passato secolo, si può
dividere in due periodi, ne’ quali l’influenza de’ grandi cantanti
italiani si mostra parimenti dominante.

Il primo periodo è riempiuto da Scarlatti, Leo, Durante, Porpora,
Jomelli, e si prolunga al 1760; nel secondo si vede apparire
successivamente Piccini, Sacchini, Guglielmi, Cimarosa, Paisiello,
gruppo di genj immortali che chiudono quel cielo di meraviglie.

— Esaminando i canti di que’ primi compositori vi si trova una
sovrabbondanza di modulazioni incidentali, la quale appalesa com’essi
fossero ancora preoccupati della grande novazione introdotta circa
un secolo prima da Monteverde; onde cercavasi d’allettare ben più
la curiosità dell’orecchio col rapporto e colla successione delle
diverse tonalità, di quello che a toccare per la semplicità del
disegno melodico e per la espressione profonda della parola. Que’
maestri mostravansi ancora impressionati dalla lusinghiera conquista
che la modulazione avea fatto sullo spirito umano e s’abbandonavano
facilmente al pericoloso piacere che procura la difficoltà superata.
Ed è sempre così, al principio del periodo in cui la lingua dell’arte
viene a formarsi, come allorquando tutte le formule melodiche sembrano
esaurite: nè v’hanno composizioni che più rassomiglino alla nostra
musica moderna tutta piena di dissonanze e modulazioni, quanto quella
dei compositori italiani della prima metà del passato secolo. La loro
idea melodica è, generalmente, assai breve, troncata sempre da numerose
cadenze, sovraccarica di piccole note comprese in un tessuto d’accordi
assai mordenti. Parea che la gemma armonica non fosse ancora matura,
e non dovesse sbucciare che nel secondo periodo, sotto l’influenza
di quel gruppo di nuovi genj e d’ammirabili virtuosi per cui videsi
scoppiare quella italiana melodia larga, spigliata, colorita, fiore
d’incomparabile bellezza, espressione d’un momento unico nella
storia in cui la maturità dell’arte collegavasi alla giovinezza del
sentimento.

Fu in questo periodo fortunato che s’intese i virtuosi più
maravigliosi, e che l’arte del canto elevossi per così dire al suo
ideale.

Allora, un’opera non conteneva che due o tre situazioni semplicissime,
di cui era sempre soggetto l’imagine di tormenti o della ebbrezza
dell’amore.

L’amore è l’unica passione drammatica, che ha ispirato i compositori
italiani del XVIII secolo; è l’amore che regna quasi esclusivamente
nel teatro di Metastasio. Nella storia dell’arte, come nella vita
degli individui, v’hanno tali momenti in cui l’imperioso dominio d’un
sentimento comprime tutti gli altri ed assorbe tutte le forze vitali.
Tal’è la parte dell’amore in quel tempo. Non fu che alla venuta di
Gluck e di Mozart che la musica drammatica si provò a pingere caratteri
più forti, passioni più complicate e più austere: fino allora avea
ondeggiato sulla superficie dell’anima, e preludiava i suoi gloriosi
destini con capricci adorabili, e le si voleva ancora qualche anno di
prova, perch’ella potesse penetrare _nella città dolente, nell’eterno
dolore_.

Un bel cantabile, preceduto da recitativo che ne preparava la bella
comparsa, un duetto composto di adagio che ripetevano un dopo l’altro
gli esecutori e terminava in allegro brillante e appassionato; qualche
volta un terzetto, e più di rado il quartetto; tutto accompagnato
semplicemente, e in maniera da porre in rilievo la vocale melodia che
così sviluppava in tutta la sua pienezza: ecco gli elementi d’un’opera
_seria_, che bastavano ad allettare un pubblico per tutta una sera o
per una intera stagione.

Un’aria, come _Per questo dolce amplesso_, di Hasse, che Farinelli
cantò ogni giorno, per venticinque anni al re di Spagna; un duetto,
come quello dell’_Olimpiade_, di Paisiello, _Ne’ giorni tuoi felici_,
era tutto un dramma commovente in cui il grido della passione esalava
attraverso i prestigi della fantasia. Quelle note, profumate di voluttà
e frementi d’amore, scendevano a scuotere le corde più secrete del
cuore: gli uditori vi rimaneano sospesi come l’Olimpo alla catena d’oro
di Giove.

Fu certamente una bella epoca quella in cui si potè udire uniti
sulle scene d’un medesimo teatro, Caffarelli e Gizzielo, Farinelli
e Bernacchi, la Mingotti e la Faustina; Pacchiarotti e la Gabrielli;
Marchesi e la Grassini.

Questi virtuosi ammirabili erano quasi tutti ingegnosi musicisti
che alle interpretate idee sapevano dare ben più alto valore che
non avesse creduto riporvi il medesimo compositore. I pezzi che per
essi scrivevansi, il più delle volte non erano che semplici traccie
melodiche ch’essi compivano secondo le loro ispirazioni, quali poeti
improvvisanti, sur un tema dato, capi d’opera di grazia e di passione.

Un tale trionfo, esaltando oltre misura l’amor proprio degli artisti,
dovea purtroppo trasportarli anche ad eccessi deplorabili. I castrati
mostravansi sovente d’una insolenza insopportabile; essi sforzavano
i più grandi compositori a subire i loro capricci. Essi cambiavano,
trasformavano tutto a seconda della lor vanità: qui volevano un’aria,
là un duetto scritto sotto a tali condizioni, con questo o tal altro
accompagnamento. Essi erano i re e i tiranni de’ teatri, dei direttori
e dei compositori. Ecco perchè si trova nelle opere le più serie de’
grandi maestri di quel tempo lunghe e fredde vocalizzazioni, che i
castrati esigevano per far brillare la bravura e la flessibilità della
lor gola. «Io ti prego di cantare la mia musica e non la tua» disse
un giorno il vecchio e terribile Guglielmi ad un virtuoso insolente,
minacciandolo d’un colpo di spada. —

Marchesi, il brillante cantore, che però non avea nè il patetico di
Guadagni, nè lo stile elevato del Pacchiarotti, colla sua femminea
voce, per la quale in una parte di donna avea debutato a Roma nel 1774,
volea sostenere parti virili e fiere che gli permettessero di portare
grand’elmo dorato e a piume rosse e bianche. Volea sempre entrare in
scena discendendo una collina, dall’alto della quale potesse gridare,
_Dove son’io_? Esigeva quindi che un trombetta facesse sentire alcune
squillanti note, per poter nuovamente esclamare: _Odi lo squillo della
tromba guerriera_? Allora, avanzando al margine della rampa, cantava
invariabilmente un rondeau composto di due movimenti contrarj, in cui
malediceva _la cruda sorte_; e lanciava un diluvio di scale e volatine
le une più rapide delle altre, che ondeggiavano e sfavillavano come le
piume e il bagliore del suo caschetto.

Il _rondeau_ che Sarti avea per lui scritto nell’opera _Achille in
Sciro_ «_Mia speranza io pur vorrei_» ha fatto con Marchesi il giro
d’Europa; egli lo cantava ovunque, intercalandolo in ogni composizione;
era il suo gran cavallo di battaglia, la sua prescritta _aria di
baule_.

Nè è da maravigliare che i maestri piegar dovessero alla pressione
di tali capricci, e gli uditori fossero costretti ad arrendersi alle
lor voglie, se i medesimi coronati e potenti subir doveano o il loro
fascino o il loro dispetto, e i vincitori innanzi a quelle strane
potenze erano vinti. Chè, il medesimo Marchesi non ha mai voluto
cantare innanzi a Napoleone I ch’egli trattava da usurpatore; mentre
agli arciduchi d’Austria, cui pareva attaccato, compiaceasi sfoggiare
tutte le grazie dell’arte sua, fanatizzando a tal segno le dame di
quella corte da indurle tutte a portare sul loro seno la non sospetta
e casta sua imagine; e dopo l’incoronazione dell’imperatore e re a
Milano, di cui era nativo Marchesi, questi fissando pur ivi il suo
ritiro, abbandonò il teatro, essendo cinquantenne soltanto e nella
pienezza di voce, quasi dicesse alla sua patria: se a quella gloria
avete applaudito, non gioirete più della mia!

Abbiamo accennato alle strane pretese della Gabrielli alla corte di
Russia; quelle di Prussia e d’Inghilterra divennero teatro allo strano
carattere ed alle bizzarre avventure della Mara[144]; quella di Francia
ebbe a soffrire la _boutade_ di Crescentini; come poi la Reggenza di
Portogallo, i capricci della Catalani[145].

L’influenza infatti de’ cantanti sui compositori e sulle udienze fu
tale da legittimare l’asserto che «la musica vocale e tutto il sistema
lirico italiano del XVIII secolo, fosse ben più l’opera de’ virtuosi
che quella de’ maestri.»

Ma quando l’accrescimento delle forze d’orchestra e la varietà
d’effetti nella istrumentazione, l’influenza de’ gravi avvenimenti
europei, la nuova piega della letteratura, e il maturato spirito de’
tempi, apportarono anche sulle scene il bisogno d’azione più seria e
di lavori più sviluppati, anche la musica drammatica vide giunto il
momento d’allargare il suo cerchio, e rinnovare le sue forme.

— Questa rivoluzione preveduta e bramata da tutti i forti spiriti
italiani, dal padre Martini, dall’ab. Conti, da Eximeno, da Planelli,
giunse al suo compimento quando Rossini, in principio del secolo, col
ringiovanire l’orchestra di Mozart, e ritemprando, per così dire, la
melodia italiana nelle amare sorgenti della passione moderna, edificò
l’opera mirabile in cui l’arte del canto si trasforma e si colloca
in un quadro più complicato, senz’attentare alle belle tradizioni del
secolo precedente.

Qui s’apre nella storia dell’arte un nuovo e brillante periodo, che
anche oggidì, malgrado le usurpazioni della istrumentazione, è ancor
lungi, e lo speriamo, da toccare al suo termine.

Nell’opera italiana, ingrandita dal genio di Rossini, che la fece
così partecipare ai progressi dello spirito umano e a quelli dell’arte
musicale, il cantante, conservando sempre una importantissima parte,
fu costretto tuttavolta sommettersi ad esigenze fin allora ignote, e
conformarsi alle leggi d’una verità drammatica più seria. L’espressione
del sentimento a mezzo della melodia fu completata dalla variazione
degli accompagnamenti dell’orchestra che più attivamente intervenne
alla dipintura delle passioni, e limitò la libertà alla fantasia del
cantante. Questi si vide obbligato a rispettar meglio il pensiero
del compositore, conformarsi al piano della parte a lui affidata per
l’esecuzione, lasciare al ritmo la sua integrità, seguirlo nelle sue
ondulazioni, e far manovrare la voce umana in mezzo ad una grande
conflagrazione armonica e sopra una potente risonanza.

Peraltro, i successi ottenuti dai grandi artisti precedenti aveano
troppo ben dimostrato l’importanza del canto considerato come elemento
essenziale del dramma lirico, perchè la rivoluzione operata da Rossini
dilatando la parte dell’orchestra, potesse compromettere così presto
la freschezza e la flessibilità dell’organo vocale. La melodia messa
in evidenza, e sobriamente accompagnata, non cessava di fluire limpida
e luminosa; ella lasciava al cantante il tempo di respirare, di dare
sfogo alla sua immaginazione, e di seminare lo spazio da lui percorso
di capricci e di gorgheggi graziosi che abbellivano la verità senza
snaturarla.

Il vero carattere di tale rivoluzione è, che il virtuoso dovette
cangiare la sua dignità reale assoluta, in monarchia temperata ma
ancora gloriosa, e contentarsi d’essere la parte saliente d’un tutto
complesso e possente. —

Questa rivoluzione musicale, e ragioni più gravi d’umanità e di
convenienza, fecero sparire i castrati dall’opera italiana: quindi
anche dalle funzioni meno lusinghiere nei cori chiesastici che già essi
aveano abbandonati per calcare le scene di maggior lucro.

Come il Rossi e il De Sanctos furono i primi falsetti più noti, che
iniziarono l’avventurosa carriera de’ musici alla cappella papale
nel 1600, così il Crescentini e il Veluti furono gli ultimi de’ più
celebrati che s’udirono in Europa e che chiusero, si può dire, le sorti
della lor casta verso il 1830[146].

Rossini li avea rimpiazzati per le sue opere coi _contralti_ femminini;
e nella stessa maniera che non mancarono di queste ammirabili virtuose
che propagassero le creazioni de’ maestri italiani del passato secolo,
si formò tutta una famiglia di cantatrici incomparabili che resero il
medesimo servigio ai capi d’opera della nuova scuola musicale.

La Gafforini, la Malanotte, la Marcolini, la Mariani, la Pisaroni,
la Pasta, la Malibran, tali sono le principali rappresentanti di quel
gruppo di contralti che esercitarono sul genio di Rossini una notabile
influenza. Da quella bella schiera discendono quindi l’Alboni, la
Catalani, la Persiani, la Sontag.

Di queste famose sacerdotesse del canto, le une personificavano
la parte seria, le altre quella comica del genio italiano. Alcune
maravigliosamente dotate, riuscirono in ambo i generi.

Prima di tutte, seguendo l’ordine cronologico, la Gafforini emerse
specialmente nell’opera buffa; Elisabetta Gafforini, veneziana, è stata
una delle più care virtuose che apersero le nuove memorie del presente
secolo di canti lussureggiante.

Ella brillò in Italia e ne’ principali centri d’Europa dal 1796 al
1815. La sua voce di contralto, limpida e pieghevolissima, che saliva
al _fa_ e discendeva in fino al la, attrasse specialmente l’ammirazione
nei canti della Dama soldato di Federici, del _Ser Marc’Antonio_ di
Pavesi, e del _Ciabattino_.

Il ritratto della bella cantatrice portò l’epigrafe: _La vedi o l’odi?
eguale è il tuo periglio. Ti vince il canto, e ti rapisce il ciglio_.

Il suo nome fece epoca; e sì che con lei gareggiavano altre
celebrità per que’ canti, quali: la Giorgi-Belloc, la Morichelli, la
Strinasacchi, ed i buffi Poggi, Brocchi, e Raffanelli; quando appunto
il giovane Rossini a Venezia incalzava nelle prove il suo genio[147].

Il nome di Adelaide Malanotte è consacrato dalla memoria d’un capo
d’opera immortale.

Rossini trovò la Malanotte, nel 1813, a Venezia dov’ella giungeva
raccomandata da qualche successo ottenuto in pubblici concerti o scene
secondarie.

Scrisse per lei la parte di _Tancredi_. D’allora la riputazione della
Malanotte si sparse chiarissima per tutta Italia, e il suo nome vi
vive ancora all’ombra del felice e brillante genio di cui ella fu la
interprete prediletta e ne inaugurò la gloria immortale.

Unendo tutte le grazie di donna ad una voce di contralto potente,
facile e pura, la Malanotte cantava con vigor pari al sentimento, e
sapea associare la grazia della fantasia ai movimenti i più patetici.
Fu dessa che, non soddisfatta dell’aria primitiva che le avea scritto
il giovane maestro, ne richiese un’altra, e per tal capriccio di _prima
donna assoluta_, diè origine alla creazione di quella famosa cavatina —
_Tu che accendi_ — ripetuta tanto. Quando, nel bel duetto di Tancredi
ed Argirio, la Malanotte brandiva la spada e scioglieva quella frase
incomparabile: _Il vivo lampo_... sollevava entusiasmo.

Ma chi avrebbe preveduto allora la triste fine che alla bella guerriera
era serbata? Dopo alcuni anni di trionfo e d’ebbrezza, la cantatrice
famosa per la quale fu composta l’aria — _Di tanti palpiti, di tante
pene_ — inno della giovinezza e dell’amore ch’ella ha probabilmente
ispirato, morì abbandonata e quasi folle, a quarantasett’anni.

Il canto buffo italiano trovò in Marietta Marcolini, come nella
Gafforini, degna e graziosa interprete. Dal 1805 volava la fama
della sua bella voce di contralto, estesa al _fa diesis_, e d’una
flessibilità prodigiosa, che ispirò ben tosto il pesarese creatore ad
affidarle i nuovi canti dell’_Equivoco stravagante_, in Bologna; della
_Pietra del Paragone_, in Milano, dell’_Italiana in Algeri_, a Venezia,
l’anno stesso del _Tancredi_ (1813). Le arie di bravura, ch’ella avea
pretese ai finali di quelle Opere, restano a dolce testimonianza della
rara agilità della sua voce, del suo brio, e del felice ascendente che
essa avea saputo acquistarsi sul genio del primo compositore drammatico
del nostro tempo.

Una vocazione tutta differente chiamava la Pisaroni alla
interpretazione dei capi d’opera tragici di Rossini. Benedetta-Rosmunda
Pisaroni nacque nel 1793, a Piacenza, dove finì di vivere in questi
giorni del 1872. Dopo aver apprese lezioni di musica da un maestro
oscuro del suo paese, fu diretta pel canto dal famoso castrato
Marchesi, che in vero dalla sua scuola principalmente esercitata in
Firenze ebbe vanto d’allieve gloriose, quali fur questa e la Catalani.

Quando la Pisaroni a diciott’anni debutò nella _Griselda_ e nella
_Camilla_ di Paer, avea voce di soprano acuto. In seguito a grave
malattia le mancarono molte note nel registro superiore, mentre che le
corde basse acquistata aveano in lei una sonorità potente e inattesa.
Dal 1813 ella si vide obbligata a cantare le parti scritte per voce di
contralto, per le quali divenne una delle più grandi cantatrici del
suo tempo. La Pisaroni scusò la ineguaglianza della sua voce con una
grandiosità di stile e di portamento che ricordava la maniera larga del
Guadagni e del Pacchiarotti.

Giunse a Parigi nel 1827, e colla formidabile voce tuonò: _Eccomi
alfine in Babilonia_!..

Il nuovo Arsace, provò alla Malibran che, la gioventù, la voce,
l’energia e la medesima prontezza del genio non possono lottar sempre
con vantaggio contro uno stile semplice, grande e vero. Rossini scrisse
per la Pisaroni la parte di Malcolm nella _Donna del lago_, poi quella
di Ricciardo accanto a _Zoraide_.

E il grande interprete delle umane voci ben s’avvisò in quelle
composizioni mostrar nè logico nè indispensabile che il contralto
apparir dovesse sotto a virili spoglie, quasi che il timbro di tale
voce, trascurato prima per tanti secoli, si avesse poi a ritenere
mostruoso. Attribuì a quel timbro il suo valore vocale, serbandone il
privilegio del sesso; e mostrò erronea l’opinione che il vero contralto
basso sia mascolina voce, mentre nella sua natura maravigliosamente si
presta alle più tenere e dolci espressioni quanto alle parti serie ed
energiche, nei caratteri di matrona, di madre e di eroina.

A confermare la savia riforma nell’impiego di un timbro così
rimarchevole, e a tradurre le serie creazioni Rossiniane, un altro
bel genio comparve in Giuditta Negri, sì celebre sotto il nome di mad.
Pasta.

Nata a Como, di famiglia israelitica, nel 1798, e venuta al
conservatorio milanese con poche nozioni musicali, Asioli ne avea con
pena coltivata la voce di mezzo soprano, sorda, dura, ineguale, che
non cessò mai di mostrarsi ribelle. Ma la passione e l’intelligenza
supplirono alle imperfezioni dell’organo vocale; lo studio e
la costanza acquistarono alla cantatrice tragica fama elevata,
l’ammirazione del medesimo Talma, la ricerca de’ grandi compositori.
La Pasta cantò da _Romeo_ come Zingarelli mai non s’avrebbe aspettato;
e nella _Nina_ di Paisiello ella ricordò la celebre Coltellini e i
prodigi del gran secolo dell’arte[148].

È noto che, qualità del tutto opposte posero la Malibran al primo rango
delle virtuose drammatiche di questo secolo. La figlia del tenore
Garcia avea ricevuto colla vita il retaggio della passione. Dotata
d’una voce vibrata che estendevasi dal _fa_ de’ contralti al _do_ acuto
de’ soprani, non incontrava difficoltà alcuna al di sopra della sua
audacia e della maravigliosa sua facilità. Ella cantava in ogni parte
e carattere: vivace Rosina nel _Barbier di Siviglia_, appassionata
Desdemona nell’_Otello_, ella ebbe l’ambizione, la foga, lo splendore
e la versatilità del genio: riunì mirabilmente i diversi istinti e le
facoltà più rare dei grandi cantori italiani.

Dato sì grande impulso al comico canto e poste le basi tanto potenti
alla interpretazione dei sommi lavori della musica tragica, la
rivoluzione proseguiva il suo corso. Ma ad un movimento così fecondo,
dovea succedere naturalmente una reazione molesta: ed il culto
esagerato della istrumentazione non tardò a spingere i suoi conati per
abbattere quello del canto e rimpiazzarlo.

L’interpretazione dei capi d’opera primiticci del secolo, in presenza
di tentativi siffatti, vide farsi più difficile e vasto il campo delle
sue prove; divenne più scabroso il suo còmpito, non sempre favorito
dalle simpatie generali, ma acquistò d’importanza. Trattavasi di
lottare, a nome delle più belle tradizioni dell’arte, contro le ingrate
novità che tentavano sostituirle, l’arte del canto esigeva più che mai
abili ed ispirati difensori; e la loro missione facevasi più solenne
quanto più energicamente l’orchestra disputava alla melodia il bel
posto in cui i precedenti compositori l’aveano innalzata.

Prima a combattere nel nuovo campo, e quasi anello che congiunse la
semplice alla complicata missione, si può classificare una cantatrice
straniera ornata essa pure delle doti più belle, sia ai riguardi delle
grazie seducenti, come dei mezzi felici; emula quindi e rivale della
Pisaroni, della Pasta e della Malibran.

Da una di quelle nomadi famiglie di commedianti alemanni, di cui Goethe
nel suo _Wilhelm Meister_ ci offerse la poetica istoria, nel 1805, a
Coblenza, era sortita Enrichetta Sontag.

Le disposizioni al canto si pronunciarono in lei così precoci e
luminose, da attirare l’ammirazione fin dal sesto anno di sua età,
in cui iniziò a Darmstadt l’avventurosa carriera, cantando l’opera
popolare tedesca la _Figlia del Danubio — Donauweibchen_ — e meritando
che Weber si occupasse d’una voce così promettente educandola
nella sua scuola di Praga, d’onde la fanciulla esercitossi a quella
vocalizzazione maravigliosa che fu il principale suo vanto.

La scuola tedesca avea dato allora le famigerate cantatrici, la Mara,
educata a Leipzig da Hiller, e la Mainveille-Födor, virtuosa del
conservatorio di Vienna.

Colle tradizioni dell’una e pei consigli dell’altra, la Sontag arricchì
il suo ingegno; e trovò auspici le patrie tendenze.

La colta gioventù e tutti gli spiriti ardenti e generosi che voleano
sottrarre l’Alemagna dalla dominazione straniera così nell’impero della
fantasia come in quello della politica, non è a dire se acclamassero
con entusiasmo l’autore del _Freyschütz_ e dell’_Eurianthe_, e la bella
interprete di que’ canti, la giovane Sontag. Tributavasi gratitudine a
lei che consacrava un organo felice ed una vocalizzazione poco comune
oltre l’Alpe, per cantare la musica forte e profonda di Weber, di
Beethoven, di Sphor, e dei nuovi compositori alemanni, che aveano rotto
ogni patto con _l’empietà straniera_, e così aprir campo al patrio
genio ringiovanito.

Berlino specialmente, la città protestante e razionale, il centro del
movimento intellettuale e politico che fin d’allora cercava assorbire
l’attività tutta della Germania, alle spese di Vienna cattolica, dove
regnava lo spirito di tradizione, la sensualità, il fare e le facili
melodie d’Italia, Berlino innalzò Weber e la Sontag.

Questa nuova ispirata interprete della musica nazionale fu soggetto ai
filosofi Hegheliani de’ loro dotti commentarj, che salutarono nella sua
voce limpida e sonora: _il subbiettivo confuso con l’obbiettivo in una
unità assoluta!_

Dalle rivalità colle illustri virtuose italiane trasse nuova luce alla
sua gloria; dalla fortuna e dalla politica ebbe splendore.

Alle note di soprano acutissimo, eguali e scorrenti come un ruscello
sul prato, flessibili come l’erbetta de’ margini, risuonanti come un
campanello d’argento, venne poscia ad aggiungersi l’aureola del nome
che le diede il conte Rossi ambasciatore, onde le corti d’Europa le
resero più brillanti i trionfi, e gli scrittori Auber e Scribe la
pinsero nella lor opera l’_Ambasciatrice_.

La Sontag fece rifiorire le rose delle corone avvizzite sul capo
all’antica Mara (Schmoeling), che, nata a Cassel nel 1747, finiva
d’anni 84 in Livonia, il 20 gennaio 1833; e parvero per un tratto quasi
deposte sul capo di erede, che continuar dovesse la gloria che quella
avea acquistata al canto alemanno.

Ma ahi, che le rose del canto non sono il fior più omogeneo e durevole
delle nordiche terre.

La Germania, che ha prodotto tanti genj nelle istrumentali discipline,
fu molto meno feconda nelle produzioni del dramma lirico e nell’arte
del canto che vi si lega direttamente. Mozart fu miracolo.

I di lui successori ricorsero alla sua ispirazione ed a quella della
scuola italiana. I loro canti rimasero avvinti ad un sistema che
non permette alla voce umana di spiegar tutta la sua magnificenza;
e la riputazione de’ loro cantori pena a sorpassare i limiti della
nazionalità. Le due prefate cantatrici possono dirsi le sole ch’abbiano
riportato fama europea. Però nè l’una nè l’altra _fecero epoca_,
come suol dirsi, rimpetto alle cantatrici d’Italia; chè cantando la
Smoeling-Mara colla Luigia Todi nel 1790 nel teatro San Samuele di
Venezia, sol per quest’ultima ch’ebbe pieno il trionfo, fu segnata
quella stagione, che si ricorda ancora ne’ fasti teatrali — _anno
Todi_.

Anche un’altra rinomata cantatrice di quel tempo, Elisabetta
Weischsell-Billington, benchè figlia ed allieva di valente maestro
e compositore tedesco, e di altro musicista inglese consorte, benchè
vissuta a Napoli romanticamente, ed avvolta in misteriose avventure,
benchè illustrata nelle sue memorie dalla penna giovanile di Adolfo
Thiers, non isfuggì ad una dimenticanza che non gravita ancora sulle
nostre italiane interamente.

Ma nè questa, nè la Mara, nè la Mainveille-Födor, nè la Damoreau, nè
la Sontag, oltre alla seduzione delle grazie e alla ricchezza di voce,
possederono il trasporto della passione, l’energico stile elevato delle
Pisaroni, Pasta, Grisi, Malibran; nè la gajezza facile e spontanea
della Marcolini e della Persiani; nè la spirituale dolcezza, i lampi
divini della Catalani e dell’Alboni.

Parlerò ancora di queste due cantatrici, una soprano ed una contralto,
che pari nei doni naturali alle riformatrici straniere contesero
loro il primato colla forza della ispirazione e del sentimento, e
accogliendo prime in Italia le più moderne forme dei canti, furono
potenti da salvarne le tradizioni.

Colle loro memorie parmi rivivere nel loro tempo; ed apprezzo la
sentenza del Schumann, che «dai cantanti e dalle cantatrici molte cose
si possono apprendere.»

Marietta Alboni, nativa delle Romagne, in tali circostanze, comparve
quale erede del metodo che dalla creazione del dramma lirico ha
illustrato tanti cantanti italiani. Rossini che non avrebbe sdegnato
sorvegliare la educazione musicale della giovane sua concittadina, le
avrebbe ripetuto, incoraggiandola a calcare le scene, la sentenza dal
vecchio Porpora rivolta al suo allievo Caffarelli: «Va, mia figlia;
ora tu sei la prima cantatrice d’Europa. Non imitare alcuno; fa anzi il
contrario di quanto intenderai fare attorno di te, e puoi esser certa
di camminare così nella via della salute».

Voce di contralto la più chiara e soave partiva dal _fa_ basso come
un vezzo di perle per l’estensione di due ottave e mezza legate
dall’argentea grazia più che dall’oro della energia, abbellite dal
facile riso meglio che dalla forza della sorpresa. Fatta per que’
concerti melodiosi, calma e serena espressione dell’amore, fece Parigi
speciale teatro del suo apostolato e de’ suoi trionfi; benchè avesse
ivi trovate fresche le memorie, nè disseccati ancora gli allori delle
grandi prime donne italiane, e quasi vi oscillassero ancora le note
di certa Mombelli (1823), ritenuta la più perfetta interprete della
_Cenerentola_, nei quali canti fu ritenuta unica emula l’Alboni.

In mezzo agl’inni della vita eterea più che terrena delle Vestali
del canto, ma non esente dal soffio della critica che investiga anche
le regioni dello spirito, passò a lato di questa deliziosa soprano,
l’Angelica Catalani, contralto.

Vide anche questa la luce nella terra delle Romagne e precisamente in
Sinigaglia (1785), e aprì al canto la vergine parola nel vicin convento
di Gubbio, ritiro di nobili donzelle alle quali apparteneva la Catalani
per legami di parentela coi conti Mastai, dalla quale famiglia venne
Pio IX.

«Ecco l’Italia coi suoi grandi contrasti, e l’alleanza dell’arte e
della religione, dello inflessibile dogma e della mondana fantasia che
forma il tratto caratteristico del suo genio.»

E chi non ricorderebbe a questo punto, che anche quello strano[149]
Pontefice, incline al canto fin dalla giovinezza, quando non aspirava
che allo scettro dell’amore e della carità, lo coltivò, e lo apprese
agli infedeli dell’altro emisfero? Spiegò la magnifica voce non
disgiunta da insinuante dolcezza, di cui fu da natura specialmente
fornito, innanzi al sole della sua patria, per benedire nel 1848
la italiana Crociata, e mille canti ravvivati risposero alla sua
intuonazione; indi spense le altrui voci e la sua, per occultarsi nelle
tenebre a mormorare il lugubre anatema; quella e questo impotenti a
serbargli il fracido scettro del mondano potere.

Ma torniamo alla celebre cantatrice, di gentil sangue, e che serbò
l’animo veramente pio, dalla cui biografia vergata dallo Scudo[150],
e da alcuni dettagli tratti dalla medesima di lei famiglia, rileviamo
che nel convento di S. Lucia di Gubbio la giovane Angelica ricevette le
prime nozioni dell’arte musicale.

Merita riflesso la operazione, che un convento italiano, ancora
alla fine del passato secolo, non era altra cosa che una specie di
Conservatorio in cui, la preghiera, la musica e l’amore erano l’unica
occupazione; come lo disse un amabile teologo: pregare amare e cantare
sono tre voci diverse, ma esprimenti un solo e medesimo desiderio.

Nelle domeniche e ne’ giorni di gran festa, quando le religiose e
le novizie faceano risonare de’ loro pietosi cantici le volte della
cappella di S. Lucia, in mezzo a quelle voci fresche e verginali, fu
subito rimarcata quella d’Angelica, il di cui timbro, l’estensione e
flessibilità destavano già l’ammirazione delle compagne. Le religiose
volendo mettere a profitto sì rare facoltà, le fecero cantare qualche
piccolo _solo_, attirando maggior concorso alla chiesa. _Andiamo a
sentire la maravigliosa Angelica_, diceansi gli abitatori di que’
contorni; e la folla assediava quelle porte, dove, come in paradiso,
v’aveano più chiamati che eletti.

E in quanti altri monasteri non vidi anch’io volgere il popolo, bramoso
delle dolcezze che dalle velate cantorie monacali scendevano all’animo,
preferendo la preghiera interpretata da quelle voci verginali e
misteriose!

I successi piuttosto profani che otteneva la monachella di Gubbio
finirono per scandalizzare le anime più divote, ed il vescovo ordinò
alla superiora di riporre la luce disotto al madio, e di vietare che
la giovane novizia cantasse da sola. Fortunatamente, meno ascetica e
più intelligente del prelato, la superiora, che non volea privar la sua
chiesa d’un elemento di successo giovevole alla carità e alla divozione
medesima, ricorse ad un sotterfugio, e perchè Angelica non cantasse
_sola_, la collocava fra un gruppo di monache e con tal sottigliezza
metteva in pace il debito suo della obbedienza, temperando soltanto la
sonorità di quella voce che dovea un giorno maravigliare l’Europa.

Ma quando questa spiegava il canto dell’_Ave Maris Stella_, l’emozione
e l’entusiasmo impossessavano i fedeli che voleano vedere e abbracciare
la _Verginella_ che Dio aveva sì riccamente dotata, per la quale
provavano al cuore tanta tenerezza, e indicavano di strapparla alle
mura del chiostro, perchè libera infondesse al mondo tanta letizia.

Non tardò infatti che il padre dovesse acconsentirvi; e a quattordici
anni l’Angelica fu inviata a Firenze sotto la direzione di Marchesi,
opportunissima a rivelare tutti i tesori di quella voce e a impiegarli
nobilmente, preparandone i gloriosi destini.

Marchesi le insegnò a moderare la estrema sua facilità, ornandola
dei più complicati gorgheggi; e in capo a due anni, egli stesso
l’accompagnò e la porse sulle maggiori scene di Venezia, coi canti di
_Monima e Mitridate_ del Nasolini.

La Catalani, diciassettenne, era già l’idolo della corte di Portogallo.
Le arie del Piccini, di Cimarosa, di Nicolini, di Nasolini e di
Portogallo, servirono a lei specialmente pei primi sfoggi della
maravigliosa sua vocalizzazione. Ivi fu sposa al cavaliere Paolo de
Valabrèque uffiziale attaccato all’ambasciata francese (1805). Seguace
forse anche negli affetti all’amoroso suo maestro Marchesi nemico a
Napoleone, rifiutò a questi la conquista del genio suo, e sprezzando
centomila franchi, lo fuggì, recandosi a Londra (1806).

Il gusto degli inglesi per la musica e i cantanti italiani rimonta ad
epoca assai lontana. Dal secolo XVI vedemmo i cantori de’ madrigali
e delle canzoni figurare in tutte le feste galanti della regina
Elisabetta.

L’opera italiana esisteva a Londra dal 1700; e in quel teatro,
frequentato in ogni tempo dalla più eletta società, brillarono
successivamente i cantori più celebri che le scuole di Napoli, di Roma,
di Bologna e Venezia, allevavano _per divertimento de’ barbari_. Ivi
scoppiarono le famose lotte fra Carestini e Farinelli, la Faustina e la
Cuzzoni, la Mara e la Banti, la Billington e la Grassini, la Todi e la
Mara, la Pasta e la Malibran, la Lind e l’Alboni, quella e la Catalani;
e i partiti politici mescolaronsi a que’ duelli della fantasia,
appoggiando o l’uno o l’altro de’ campioni.

I _Toristi_, per esempio, applaudivano con trasporto alle scale
arpeggiate e cromatiche ed ai trilli _fosforescenti_ della Mara;
mentre lo stile largo e il canto patetico della Todi sollevavano
l’entusiasmo dei _Wighs_: e queste rivalità furono spinte a segno che
ciascuna fazione volle avere, come in oggi, il suo teatro italiano.
Haendel dirigeva quello della corte dove esponeva i suoi lavori, che
il Senesino interpretava mirabilmente; e Buononcini coll’ajuto di
Farinelli, attirava la folla nel teatro della opposizione; ed Haendel,
malgrado la sua sapienza, e la facoltà avuta da re Giorgio di cercar
per tutto il regno e fuori le migliori voci, dovette soccombere nella
lotta accanita, rimettendovi la sua fortuna e la sua pace.

Sospendevansi le sedute della camera dei Lord, perchè que’ gravi
parrucconi potessero assistere comodamente alle rappresentazioni del
Pacchiarotti. Il celebre Castlereagh, fra i più fervidi dilettanti,
ambiva la vicinanza e il concerto coi grandi artisti italiani del suo
tempo; e durante il suo soggiorno a Parigi, nel 1814, menava trionfo
della bella conquista che aveva servito a Napoleone per distrarre
l’opinione pubblica dalle più gravi preoccupazioni, vogliam dire,
della famosa Grassini, colla quale occupavasi egli medesimo a cantare
dei _duo_ italiani alla presenza dell’amico Wellington, il quale
riguardando i begl’occhi della virtuosa, trovava la voce del primo
ministro gradevolissima.

L’effetto che produsse la Catalani sul pubblico inglese fu sì possente
e generale, che il governo nella sua lotta perigliosa contro il grande
agitatore d’Europa, ricorse sovente al genio della cantatrice per
ritemprare lo spirito nazionale. E all’annunzio che l’itala Sirena
cantar doveva coi _fiocchi_ — il _God save the King_ — al Drury-Lane,
fino il povero irlandese accorreva all’incanto irresistibile, e
dimenticando la sua oppressione, s’accendea d’entusiasmo. Fu così
che la Catalani si vide arruolata alla grande coalizzazione che
l’Inghilterra assoldava contro l’implacabile suo nemico; e cogli
alleati prese parte a Parigi nel 1814 al trionfo comune cui aveva ella
contribuito senza dubbio coll’armi seduttrici e vigorose delle sue
note.

Disparve nei _cento giorni_, e si rese a Gand con Luigi XVIII ch’ella
avea conosciuto in Inghilterra; e con lui fu centro e conforto degli
emigrati più illustri, e tornò a Parigi colla seconda ristaurazione.
Quel re intese compensare l’attaccamento della Catalani alla sua
persona e alla causa della legittimità, accordandole il privilegio del
Teatro italiano con 160,000 franchi di sovvenzione.

Ma pareva che a carcere d’oro non fosse destinato quell’uccello divino,
che prese volo per la Germania, ove i severi pensatori pretesero
di giudicare quell’abitatore del paese dell’aurora coi principii
aristarchici d’una estetica rigorosa[151]. Rivide Venezia, ove
trent’anni prima sbucciate s’erano in lei la gioventù e la rinomanza;
ma in luogo del suo condiscendente Marchesi, trovò il Pacchiarotti
vivente ancora (1817) che ammirò solamente una magnificenza
superficiale, le penne d’oro della natura più che il prodotto
dell’arte.

Alessandro di Russia invece si rinfuocò ai lampi di voce dell’antica
alleata. Dublino (1828) chiuse la sua carriera teatrale.

Le Fiesolane colline intesero ultimamente ancora l’eco di quella voce
che dalla villa di suo ritiro attirava la curiosità degli amatori come
dalla solitaria cella di Gubbio; voce che avea sorpreso l’Europa in
un secolo di rivoluzioni e di battaglie, e che nella ormai grave età
d’oltre sessant’anni non cessava un giorno d’esercitarsi, per l’amore
del canto, pel piacer degli amici, e sopratutto pel soccorso agli
infelici che invocavano la sua magìa.

Non era dimenticata per la nuova celebrità che esordiva a Firenze e a
Livorno, il 1832, nella figlia del tenore Tacchinardi, la Persiani, che
dotata pur essa d’una voce rara a que’ tempi che potesse prestarsi alle
varie specie di canti, onde i maestri allora usavano scrivere a seconda
degli interpreti che possedevano, e iniziava un trionfo di 18 anni
sulle principali scene di Europa, sempre avanzando nell’arte in cui il
padre artista le avea data seria coltura[152].

Eppure la Catalani era invece assai poco versata nella musica: non solo
ella non sapeva accompagnarsi con verun istrumento, come tanti altri
cantanti pure di grido, ma le era stato sempre impossibile di leggere
a prima vista la più semplice cantilena; ciò che si vede pur troppo
in qualche famigerato virtuoso de’ nostri giorni. Abituata a seguire
i capricci della fantasia, ell’era nulla più che una _orecchiante_
ammirabile. Ecco un nuovo caso di _metodo naturale_, indirizzato da
qualche pratico illustre, quale a lei fu Marchesi. Dovea essere però
che la negligentata sua educazione artistica impedita le avesse la
perizia di scena; ma la sicurezza della memoria non le turbava mai
il brio della imaginazione, e l’esercizio vocale l’avea resa signora
così de’ suoi mezzi, da scusar la passione coll’artificio. Ella era, a
rigore di termine, la cantatrice _da camera_, una regina delle sirene
dal delizioso linguaggio incantatore.

S’attagliavano alla stupenda sua vocalizzazione i canti del Piccini
e de’ grandi maestri della vecchia scuola italiana, dove l’adorabile
semplicità lasciava più libero campo alle fioriture dell’estro. Cantò
le arie di Mozart, il cui genio però le fu men famigliare. Restò
poi estranea alla rivoluzione operata da Rossini; chè l’educazione
imperfetta e la poca attitudine scenica, non le permisero di prendere
parte a quella grande novazione del drammatico canto.

— Fra gli ornamenti infiniti che, mercè la prodigiosa vocalizzazione,
ella ordiva con una rara eleganza, rimarcavasi sopra tutto la facilità
con cui eseguiva le scale cromatiche ponendo su ciascuna nota un trillo
che scintillava come diamante d’acqua purissima. Talvolta lo battea con
vigore imitando lo squittire della allodoletta; talvolta, lo copriva
d’un velo melodico che ne raddolciva il fragore. Le piaceva pure
picchiettare la nota con reiterati colpi di gola, _martellato_ grazioso
ch’era stato il giojello favorito della Mingotti, una delle più celebri
cantatrici della prima metà del bel secolo. La sua respirazione
lunga e ben condotta le permetteva di dare alla frase melodica il
necessario orizzonte, e d’accidentare il suono sempre vivo e pastoso.
Impareggiabile poi negli effetti di contrasto facea succedere alla
potente cavata, la mezza voce più misteriosa. — Sorvolava su quello
scoglio insormontabile e duro a tutti i cantanti; e di là domava
ogn’altra difficoltà.

Il più gran difetto che s’abbia potuto appuntare a quella
vocalizzazione sì splendida e ricca, fu un movimento nervoso del mento
che la Catalani mai non giunse a correggere. Movimento ingrato alla
vista, che accusa un vizio di educazione vocale, e adesso tanto comune,
che lo si riscontra pressochè in tutti gli artisti più rinomati. La
Ugalde, Rubini, Mario, la Stoltz, non ne furono esenti.

Quell’uccello di paradiso che giuocò la voce come Paganini le corde,
e i cui voli eguagliarono la magnificenza delle penne di cui andò
rivestito, fuggì dai poggi ameni di suo ritiro per la epidemìa del
1849; ma il morbo cholera non lo rimosse da Firenze che per colpirlo
fatalmente a Parigi[153].


_Artisti contemporanei. — Loro memoria. — Glorie effimere. — Vero
avvenire._

Ci siamo dilungati colle memorie d’una cantatrice che senza ajuti
di metodi e di conservatorj, per arte propria, salì a rinomanza, per
dare un’idea di quelle maniere di canto applaudite innanzi al tempo
delle esigenze drammatiche, maniere bastate allora ai più valenti;
per dimostrare in pari tempo che i rari tesori ammirati da Europa
non lasciarono traccie più fertili, che se fossero rimasti rinchiusi
nel chiostro dove prima modestamente avevano brillato. Da cui la
riflessione, che la sola scienza depone sementi di frutto, accanto ai
lussureggianti frutti della natura.

Diversamente il canto più superbo passa come quello spontaneo della
pastorella ignorata sul monte, o del pescatore solitario nell’onde.

Dopo la generazione ammagliata dal fugace splendore d’angeli canori,
altri che avranno da apprendere e da ricordare?

In un mondo dove nulla perisce, che rimane a noi dei tesori d’una Musa
ritenuta divina?

Di tanta celebrità che mai resta? Che resta di queste grandi
sacerdotesse che pur mantennero la bella scuola e la arricchirono di
nuove forme e del lustro di loro fama?

Avveraronsi le profezie di que’ fatidici genj, e levossi il superbo
edificio dell’odierno canto eretto sulle basi da quelle sublimi
donne consolidate, e sursero sulle lor orme nuove schiere d’illustri
virtuose, e nuove ancora... e che resta dei nomi loro?

Elettrizzarono il mondo co’ loro accenti, e passarono come folgore che
abbaglia e sparisce.

E quando i musici sacrati all’arte si tolsero dalle scene, e col loro
tramonto ingrandì la missione dei tenori accanto alle contralti e
soprani, che avvenne di tante nuove riputazioni nella valente coorte
iniziata dai David e dai Rubini?

Eppure la loro splendida scuola generò i Duprez, i Donzelli, i Conti,
i Crivelli, i Moriani; e da questi i Cuzzani, i Giulini, i Negrini, i
Viani, che come cigni, versarono di canti onde inebbrianti, e finirono.

Così colle voci baritonali e profonde, sublimi modulatori rinnovarono
le note di Tamburini, di Coselli, di Lablache, di Marini, e di
Ronconi; eppure colle vibrazioni potenti svanirono i nomi: e degl’uni e
degl’altri resta appena qualche debole memoria; qualche ultimo richiamo
sulle labbra più prossime all’eterno silenzio; qualche logora carta o
trascurata stampa critica, adulatrice, mendace.

Dunque la fama divisa non è più durevole.

Dunque, come ogni piacere, passano le ebbrezze del canto e gli eletti
destinati a mescere di quel nettare le dolcezze.

Dunque di tanti appassionati felici che s’affaticano negli studj della
bell’arte e concorrono a gara a dilettare la presente generazione,
non lascieranno di loro il più debole ricordo, nonchè ai nipoti, ma ai
figli della generazione medesima fra le amarezze divinamente esilarata?

Chi ricorda ancora in Inghilterra quella che sollevava gli animi
oppressi dai trionfi del prepotente?

Chi in Austria il devoto confortatore?

Chi a Venezia quel simpatico Viani, che nelle strettezze del famoso suo
assedio (1848-49) facea dimenticare i flagelli che la dilaniavano, coi
canti ricordanti la disfatta d’_Attila_ sterminatore?

E qual città, quale terra non ebbe il suo angelo idolatrato che associa
i ricordi di qualche grand’epoca co’ suoi dolcissimi canti?

Eppure restano le storie, i templi, i teatri, i monumenti, ma
quegl’angeli sorvolano inosservati ai posteri più vicini, e di lor non
resta nota o memoria.

La Francia, prima a Strasburgo, quindi a Marsiglia, a Parigi ed in ogni
angolo delle sue terre, fino dal 1792 ripetè, ed anche non ha guari,
ahi tanto fatalmente! il suo canto solenne di guerra ma ricorderebbe
il primo ispirato cantore, se non ne fosse stato anche l’inventore e
poeta?.. Fu Claudio Giuseppe Rouget de Lisle, che sulle reminiscenze
d’una antica popolare romanza alsaziana[154], nuovo Tirteo, diede quel
_Canto all’Armata del Reno_, battezzato poi per _Marseillaise_, dai
soldati di questa città che primi l’accettarono.

Strasburgo medesima, ricorda forse la Dietrich che dal labbro del
compositore in quel tempo apprese quel canto intuonandolo sulle eroiche
sue mura?

M.ª Conneau, cultrice esimia del canto, esule in Inghilterra, che
interpreta la _dolorosa Cantata_ di Gounod sulle lamentazioni di
Geremia nuovamente adattate alle sorti della sua Francia e della
capitale regina fatta vedova e deserta, verrebbe ricordata oltre
all’epoca della Esposizione artistica in Londra (maggio 1871), se
l’illustre cantatrice non facesse risovvenire l’intima amicizia
e clientela del terzo Bonaparte caduto, e se la memoria di lei
non s’associasse a quella dello splendido avvenimento per cui le
composizioni ed il canto delle principali Nazioni a quella Esposizione
mondiale vennero con onore rappresentate?

Ramenteranno a lungo Italia ed Europa i primi agilissimi gorgheggiatori
delle eterne fioriture proposte da Cimarosa e da Rossini, quale fu il
tenor Vincenzo De Rosa, primo a cantare la parte d’Almaviva, sulle
norme di Emanuele Garcia[155]; ed altri che senza una estensione
acutissima, pure crearono eletti modi di canto, quali il Crivelli nel
_Turco in Italia_, e Donzelli sotto le spoglie del _Bravo_?

Rammenteranno quelli che con una declamazione spiegata e potente
ardirono salire alle modulazioni di Rubini colle note piene e tenute,
intese di raro nei vecchi canti, nè prima richieste dai compositori?

Parlo dei nostri stentorei, che ai si e do maravigliosi seppero
pure accoppiare la dolcezza della voce sovrana di tenore e all’anima
penetrante.

Cuzzani, l’_Ernani_ appassionatissimo — Mirate, indifferente a
declamare _È il sol dell’anima, la vita è amore_ (_Rigoletto_)
— Negrini, che scorse la sua stella _Mesta d’incerto raggio_
(_Ebreo_)[156] — Carrion, che sfida _Il più crudel periglio_ (_N.
Mosè_) — Tiberini, che _Ignoto incanto prova_ (_Matilde di Chabran_)
— Fancelli, che ripete _Il caro accento_ (_Ugonotti_) — Villani, e
la sua _Figlia diletta_ (_Ebrea_) — Tamberlick, _D’ogni re maggior_
(_Trovatore_) — Steger sublime nei casi di _Don Carlos_ — Brignoli, che
l’America chiama il _tenore dalla voce d’argento_ — Fraschini, prodigio
che, sessantenne, lega e fonde ancora note potenti e flessibili nelle
passioni di D. Alvaro (_Forza del Destino_) — Mario, il _lovely tenor_
di Londra, che alla vibrata azione del _Masaniello_, fa succedere lo
_Spirto gentil_ della _Favorita_, in dolce cantilena, colla quale
proponevasi di dare addio alla vita d’artista che fu l’idolo d’una
generazione (Plymouth 1870), ma più degl’anni in lui potè l’amore, e
coll’antica voce ritornò alle scene!

Schiera eletta d’artisti dalla voce che supera in dolcezza ogni
espression di natura; che trovarono favori presso ogni gente,
che dai regnanti ebbero onori; onde i figli del popolo pel genial
merto insigniti vennero, con nuovo costume, dei più serbati gradi
cavallereschi da governi monarchici e repubblicani, in omaggio all’arte
libera e cosmopolita; colla quale liberalità forse prima la Spagna,
derogando dalle aristocratiche leggi, decorò de’ suoi ordini, fra
primi, i tenori Tamberlik, Fraschini, Mongini, Stagno, Naudin, Ugolini,
Perotti, De Azula, Baragli, Bulterini.

Novello costume che nobilita la virtù artistica ed obbliga in pari
tempo alle morali virtù. Il titolo di _Cantante di camera_ di questa
o quella Altezza o Maestà Sovrana, fin qui e tuttora conferito, potrà
trovar derivazione o riscontro nella esclusività di esercizio all’una o
all’altra corte degli antichi giullari e trovatori, che godeano perfino
de’ privilegi cavallereschi, senza esser dessi cavalieri.

Ma dappoichè la parola cantante non suonò più dispregio; dappoichè
i nuovi virtuosi non si trascinarono più da paese in paese sopra un
miserabile forgone, come i commedianti di Molière; nè li costrinse più
il pregiudizio dei tempi a condur vita zingaresca, ricca soltanto delle
più strane peripezie; e l’artista educato a comprendere meglio la sua
missione, come ad un civile e gentil sacerdozio vi si consacra; non
disdice più la partecipazione dei distintivi per le sociali benemerenze
come ai maestri d’arte vennero sempre accordate.

Nè fa più maraviglia che i principi stessi e i sovrani, non per
sola pompa e trastullo come nelle corti medioevane, ma per scienza e
coltura, attendano alle cose musicali fra le gravi cure di Stato, come
ce ne porsero nobili esempi re Giorgio d’Inghilterra[157], i Reali del
Belgio, di Baviera, Sassonia[158], Don Pedro del Brasile, Giovanni di
Portogallo e Giorgio d’Annover protettori ed artisti.

Non sembra più strano che donne teatrali, guardate una volta in
compassione dagli ascetici, o prese a gioco dagli aristocratici,
trovino conti, principi, duchi degnevoli a stringere con esse
nobilitate dall’arte serio connubio.

Fu un avvenimento che nel 1708 una cantante francese, forse la prima,
diventasse marchesa di Villiers; corse quasi mezzo secolo prima che
un’altra, che fu Rosaly dell’Opèra di Parigi, trovasse marito nelle
alte sfere e si trasformasse in contessa De Maesen. Erasi allora
trovato un eccesso che il re di Francia avesse elevato alla dignità di
conte e cav. di S. Michele il povero organista di Digione, Gian Filippo
Rameau, maestro, cantore e compositore di corte.

Ma quanto più l’arte elevossi, calarono tanto più i pregiudizj del
sangue: nel 1778 la Levasseur cantatrice non è sdegnata dal barone di
Saint-Empire e poi dal conte Mercy d’Argentan; mentre la Cleron sposava
il principe d’Anspack. Nel nostro secolo la Sontag divenne contessa
Rossi; la Tavola contessa Benintendi; la Baldi baronessa de Wandestein;
la Catalani marchesa de Valabréque; l’Alboni contessa Pepoli; la
Dumilatre, Clarke de Castillo; la Lagrange contessa Stankovich; la
Cazzaniga marchesa Malaspina; Grisi Giuditta, contessa Barni; Grisi
Giulia, Getard de Melcy; Favelli Stefania, marchesa Visconti-Aimi;
la Balfe, Lady Crampton, poi duchessa de Frias; la Piccolomini, già
nobile, marchesa Caetani; la Lövve principessa la Lucca baronessa
de Rhade; la Cruvelli baronessa Vigier; la Patti marchesa de Caux; e
tant’altre.

È gloria inoltre di alcune città, come usarono ad onore de’ celebri
compositori, intitolare le loro reggie dei canti dal nome di qualche
artista distinto; o perch’ebbe in esse i natali, come Pavia chiamò
il suo teatro _Fraschini_, Sebenico intitolò le sue nuove scene
ora costrutte col nome del tenore _Mazzoleni_ Francesco oriundo
dalla dalmata terra del Tommaseo; o perchè il bel genio v’impiegava
nobilmente, come Venezia ricorda nel suo popolare teatro la _Malibran_,
la quale mentre trionfava sulle massime scene attirando folle di
spettatori, non patì veder deserto il teatro detto allora di _S. Giov.
Grisostomo_, dove poveri attori languivano e con una serata ivi data a
lor beneficio li indennizzò d’ogni danno.

Alberto Mario, o Giuseppe marchese di Candia, nato a Torino nel 1808,
già ufficiale dei Cacciatori di Sardegna e marito alla Giulia Grisi,
morta già a Berlino (novembre 1869), pel suo rinomato soggiorno in
Russia dal 1839 al 1850, e da quest’epoca in poi pelle sue glorie
in Inghilterra a quante Società e Istituti non diede egli il nome? E
quanti palagi e quante ville nei più splendidi poggi e sulle più belle
rive del mondo, non sono riconosciuti dai nomi di cotali o simili
artisti; i quali smentirono che fossero esagerazioni gli stipendj
richiesti dalla Gabrielli a Catterina di Russia, se in oggi sotto a
enormi cifre soltanto segnansi i patti delle loro scritture, e mancano
le celebrità cantanti alle contanti somme che in tutti i grandi centri
dispongonsi dalle Corti, dai Comuni, e dai Grandi; se leggiamo in oggi
stipendiato il tenore Mongini dal Kedivé d’Egitto a 25,000 franchi
il mese; e se il banchiere Spinger di Vienna dona a Sultzer, vecchio
cantante che gli rallegrò una _Soirée_, una Villa valutata 15,000
fiorini; se infine gli stipendj dei cantanti crebbero in generale a
tali cifre da superare le liste civili di parecchi sovrani.

Dopo i tenori, un altro timbro di voce men delicato e incantevole, ma
più durevole e forte e non grave tanto e monotono quanto quello dei
bassi, è il timbro baritonale.

Genere di voce comune se vuolsi, e pur trascurato prima dai canti
moderni, se non sia che s’impiegasse talvolta a scusare come poteva il
tenore od il basso del cui doppio fare partecipa.

Per _baritono_ infatti s’intese il cantore di tale voce dotato,
e la voce stessa virile intermedia al tenore e al basso; in tale
denominazione seguendo forse il greco vezzo per cui chiamavansi verbi
baritonali quelli dall’accento grave sulla ultima sillaba.

Si cominciò a comporre pel canto speciale in questo timbro, quando
appunto le voci femminili de’ contralti subentrarono a quelle de’
castrati, e per la mancata usanza di questi, la scena d’uomini cantori
si trovò più sprovvista. Ma ne’ primi tempi Rossiniani in poco conto
ancora tenevansi i baritoni; e lo stesso Mejerbeer disdegnò scrivere
per tali voci che le dicea comuni a tutti gli uomini.

Senonchè, anche i naturali contralti patirono una epoca di trascuranza;
e di tal crisi deplorabile abbiamo un prezioso documento nella risposta
di Rossini al cav. Luigi Ferrucci che lo richiedeva del perchè «il
contralto non figurasse più tra le parti principali in composizione.»

Il grande maestro col solito suo stile sapiente e faceto, scrisse che:
«per intendere tal fatto, mentre però il contralto non avea perdute le
sue naturali simpatie, andasse (il richiedente) alla Messa cantata.
Al _Sanctus_ l’abile organista, sul registro della voce umana, si fa
strada al cuore dei devoti col patetico sviluppato per lo più in un
_andante_.

L’organista del villaggio è il primo maestro di logica, misurandola a
battute.

Il _contralto_ è la norma a cui bisogna subordinare le voci ed
istrumenti in piena composizione musicale. Se si vuol fare a meno del
contralto si può spingere la prima donna assoluta fino alla luna, e
il _basso profondo_ nel pozzo. È questo far vedere la luna nel pozzo.
Convien lavorare sulle corde di mezzo perchè si riesca sempre intonati;
sulle corde estreme quanto si guadagna di forza, tanto si perde di
grazia; e per abuso si dà in paralisi di gola, raccomandandosi poi per
ripiego al canto declamato, cioè abbajato e stonato. Allora nasce la
necessità di dar più corpo alla istrumentatura per coprire gli eccessi
delle voci a discapito del bel colorito musicale...[159].»

Ecco adunque come dalla trascuranza d’un timbro omogeneo, e in pari
tempo dalla necessità inevitabile delle corde di mezzo, s’accolse a
ripiego il quasi tenore, o basso saliente.

In seguito, la migliore accuratezza d’esercitar la voce in tale timbro,
e la scarsezza anche de’ veri tenori, resero il baritono gradito,
interessante, parte indispensabile e dirò quasi quadrangolare del
vocale concerto.

Influì la voce magnifica baritonale di un Ronconi perchè i grandi
scrittori del nostro secolo dedicassero a quella chiave parti speciali
e primarie, onde poi si mantenne l’usanza; mentre i canti ascritti ai
baritoni de’ vecchi tempi non servivano che a riempitivo del concerto e
del coro. (Vedi Merçenne 1635.)

Presto levaronsi celebrità anche fra i cantori di questo genere.
Ronconi, adunque, _Duce di tanti eroi_; Cartagenova, _dei Sacerdoti_
(Aleandro nella _Saffo_); Salvadori, _Arbace_; De Bassini, _Belisario_;
Varesi, _Rigoletto_; Corsi, _Ezio_; Giraldoni, _Ebreo_; Aldighieri,
_Machbet_; Steller, _Don Giovanni_, Müller e Medini, _Cardinale De
Brogne_; Marini (Ignazio), _Mosè_; Bellini, _conte di Posa_; Merly,
_Nelusko_; Cottone, Beneventano, Antonio Cotogni, Selva, David,
d’ordini cavallereschi recentemente fregiati; Natali che fa risuscitare
le opere del vecchio repertorio italiano.

Non saprebbesi poi trovar ragione, se non la si attribuisse ad un
curioso oltraggio di fortuna, perchè un’altra schiera di cantanti
non meno ingegnosi, ed ai quali anzi devono arridere specialissime
disposizioni, restar debbano dalla fama più presto negletti; intendo
parlare dei _bassi comici_ destinati alle parti buffe.

È ben vero che nelle antiche produzioni, e principalmente nelle Opere
del passato secolo, quasi tutti i cantanti doveano attagliarsi anche al
genere di musica scherzosa, che non riesciva strana o gravosa in forza
delle medesime loro istituzioni.

È vero altresì che coll’ampliamento musicale del nostro secolo, salito
il canto alla interpretazione di più grandi espressioni, rimase quasi
secondaria la modesta azione che pur nel comico era stata maestra e
creatrice.

S’aggiunga che tanti nomi i quali mantengono ancora la loro celebrità,
l’ebbero già fondata sulla doppia maniera di canto; come vien ricordato
Lablache, egregio nel comico e nel drammatico.

Non pertanto è d’uopo registrare che le memorie delle maschie voci, le
quali destarono all’ammirazione ed alla gajezza le passate generazioni,
non sopravissero alla ilarità che beneficamente suscitarono in questa
umana razza più studiosa di cercar le serie e potenti emozioni, di
quello che conservare l’ingenuo riso della letizia.

Risvegliatori moderni di questo bisogno pur prepotente della vita,
ricorderemo quel Pasquale Savoia che ha creato quasi tutte le parti
comiche dell’antico repertorio napoletano; e poi fra i più rinomati
fin oggi: Raffanelli, De Grecis, Bassi, Remolini, Bandicchi, Madrigali,
Scudo, Cambiaggio, Zucchini, Rocca, Scalese, Soares, Cavisago, Scheggi,
Menin Domenico, Zambelli Giuseppe, Fioravanti Valentino, Borella
Maurizio, Marchisio Giovanni, Bottero Alessandro, Fattori Tommaso,
Migliara Francesco, Tessada Augusto, Ciampi Giuseppe, Catani Filippo,
Castelli Giacomo, Ristori Cesare, Topai Enrico, Zoboli Alessandro,
Bellincioni Cesare, Coreggioli A., Savoia Francesco (figlio), Grandillo
anche compositore[160].

Più al di sotto, la straniera falange di tali artisti si tramutò
in bizzarri caratteri non privi di piacevoli effetti, certi
comici-cantanti, parodisti talvolta dei veri e grandi cantori,
ond’ebbero grido in Francia, mad. Theresa, Levassor, Berthelier; in
Inghilterra, Matthews, Mackney, deliziatori principali del _Mabille_
di Parigi, del _Cremorne_ ed _Allambra_ di Londra, della _Neue Welt_ di
Vienna.

Quindi tante donne dall’appassionato gorgheggio, che fanno meno
scarso corredo alle scene mondiali; schiere leggiere e brillanti che
si spandono ovunque alla conquista di nuovi affetti, e più o meno
fortunate o valenti, apprestano onori a questa lor terra madre dei
canti e ispiratrice; e meno pieghevoli allo sconforto del sesso più
forte che milita sotto alle stesse bandiere, procedono costanti accanto
all’emula legione illustrata da maggiori trionfi, quasi consapevoli
che i nomi più chiari, quali per debito storico s’avranno qui pure ad
accennare, poco prima o dopo, avranno a smarrire, come le oscillazioni
delle note vibrate dal coro intero di tutte esse amabili cantatrici.

Ricorderanno i Germani le profetesse delle nuove loro rivelazioni;
virtuose trionfatrici di quei confini che da secoli escludevano le
nordiche figlie dal ministero de’ canti? Quelle che valsero a rendere
avvertita la loro esistenza nei regni delle belle espressioni, e
confortarono la nascente loro scuola, ne diffusero le dottrine,
e soccorsero ai loro compositori nell’apostolato delle grandi
speculazioni?

Eppur esse giunsero a gareggiare colle figlie del sole, e presso alla
madre ed alle sorelle più franche, furono tanto più ammirate e gradite,
quanto meno da loro attendevasi. Ma delle riformatrici e propugnatrici
di quella scuola, e d’altre che s’acquistarono onore consacrando
il loro genio specialmente alla scuola italiana, fedeli a questa e
innamorate, benchè non deluse nella lor parte di gloria, per quanto
tempo rimarranno famose?

La ventura generazione richiamerà per caso i nomi delle Demerich,
Schmoeling, Föder, Sontag, Billington, Dobre, dell’Ungher e Müller,
della fiamminga Enrichetta Laland, delle parigine Duperon, e Rosa Niva
Stolz, delle boeme sorelle Stolz Lidia, Francesca, e Teresina[161].
Sentirà ricordati appena quelli di Anna Winen, delle Schwartz,
delle Kellogg, delle Meyer, Grün, Mäesen, Csillag, Liebhart, Saass,
Bettelheim, Brandt, Ohm, Saar; della Spitzer Erminia, della Bianca
Blume, di Gabriella Krauss, Geistinger, Wilt, Laussot, Prohaska, Mila
Röeder, Gabriella Kotzmayer, Giovanna Spierling, Emma Wiziak, Carolina
Schmerhofsky; bionde sacerdotesse che in oggi colgono applausi[162].

E i fratelli di queste, meglio celebrati, che pure in quest’epoca, i
primi forse, acquistarono allori alla loro nazione nell’arte del canto,
ed influirono massimamente alla rivelazione ed al credito della lor
musica, non lasciando memoria che nelle cronache teatrali, rimarranno
come i vecchi arnesi delle scene abbandonati in un canto, resi inutili
e di niun valore.

Mero caso che, una Storia, mostrando in generale gli svolgimenti
dell’arte, ospiti ne’ suoi appunti questi primi stranieri, i quali
benchè pochi e tardi, provano non impossibile affatto il bel canto
moderno alle loro aspre laringi, e il grido loro fecero uscire dalle
regioni in cui tal fama era negata.

Più raro caso poi, e fortuita loro ventura, che anche la Storia,
nell’odierna apatìa, non rimanga negletta.

I cantanti stranieri cominciano in vero aver passo frequente fra noi,
chè fin qui (non sa il Biaggi se per ossequio o per derisione) usarono
dessi nascondere le aspre desinenze de’ loro nomi sotto le soavi e
musicali dei nostri.

Fra gli Alemanni adunque, dopo quel Bader che cantò le opere di
Spontini, e visse pure fino questi giorni a Berlino, si notino:
Kellner, Kunert, Fritz, Brettschnieider (morto 1871), Beck, Schmid,
Mann, Molferteiner, Koehler, Szigethy, Winffen, Frank, Walter, Labatt,
Varenrath, Sultzer, Bülow, Beeker, il principe di Wittgenstein, il
buffo Just, rinomati cantanti[163].

Si fanno oriunde Sveve, la Ostava Tornquist (Torriani), la Jenny Lind,
la Cristina Nilsson.

Dalle immense lande di Russia ci giunsero celebrati i nomi: d’Erminia
Rudersdorf, Murscka, Carolina Leontieff, De Filatoff, Mentzikon,
Davidoff, soprani; di Malknecht e Luwroscky contralti, di Nicola
Andreff tenore; Rapport, Gorrinzi, di Weyrauck, non ha guari estinto
cantore e compositore di Livonia.

Dalla non men fredda, ma più entusiastica Albione, levaronsi in
rinomanza: la Titjens, la Wynne Edith, la Lemms-Sherrington, la
Kapp Jung Luisa, la Gaurieff, la Colson, la Balfe figlia al celebre
compositor di Dublino[164].

Non dico di tante appassionate inglesi della miglior società che
serbano le culte voci alle sale nei canti loro ispirati oggi dal
napoletano Salvatore Scuderi e dagl’altri specialisti compositori
italiani di camera che vedemmo a Londra stanziati e prescelti (pag.
95-97), e non isdegnano consacrarle ai grandi concerti dei classici
loro e nostri orfeisti.

Da una delle più cospicue famiglie di Scozia, Lady Liza
Campbell-Otvvay, iniziata dal Garcia figlio e dal Romani, passò al
grande sacerdozio del canto.

Accrescere la fama d’un nome illustre per ricchezze e per sangue, colle
glorie dell’arte, si ascrive comunemente agli eccentrici capricci
dell’aristocrazia inglese, mentre dovrebbesi notare invece a nobile
insegnamento.

Miss Anna Parken segue l’esempio della Campbell; così la inglese che
veste il nome di Matilde Florella.

Altre, Cora de Willhorst, Harrisson, Patey, Weldon, Martell e la
Cholmeley contessa ed artista.

Sims-Reeves vien proclamato il primo de’ tenori inglesi: lo seguono, il
Commings, Santley, Mapleson, Tom Karl irlandese, Maler e Maybrick.

Dalle Americhe, ove sulle pareti delle aule scientifiche iscrivonsi ad
onore _i nomi delle più belle figlie del mondo_, che di libero sapere
nobilmente coll’uomo gareggiano, nè è privo il tempio dell’arte delle
erudite sacerdotesse, ci vennero già in bella fama, Elisa Franck, la
Kate Scott, la Escalante, la Resbourg, l’Irma De-Höwe.

Giulio Perkins basso, William Castle tenore, Jerom Hopskins, i Cook
contralto e baritono, le pseudo Leonia Carini e Matilde Filippi
contralto.

Di Francia e Belgio, tengono bel nome, i soprani: Marty, Lafon, Harris,
Colmack (Vaneri), Gasc-Curbel, Galli-Marié, Dory, Danery Alix, Vanders,
Cinti-Damoreau figlia, De Baillou-Marinoni, Briol, Bertrand, Soustelle,
Spaak-Moresi Alice, belga, e la sua maestra De Roissy; Finck Anna
olandese, ora maestra di bel canto in Napoli. I contralti: Miolan,
Demeric, Mombell, Langlois e buffe: Carvalho, Marimon, Cabel.

I seguaci a Duprez: Roger, Nourrit, Naudin, Bouchardé, Verger, Michot,
Caron, Troy, Pouget, Gayarre, Achard, Capoul, Coy, Sylva.

I bassi: Verger, Didot, Gonet, Baroilhet[165], Castelmary, Maurel,
Fallar, Faure, Souvestre, Lassalle, Rives, Bremond, Barrè. Altri:
Bouchè, Ponsard, Gaspard, Deleurie, Vielles, Gorè, Giroud[166].

Di Spagna: la Colbran che innamorò Rossini; la Benita Moreno, che
educata in Italia al principio del secolo, fu detta la prima che
facesse conoscere nelle sue regioni native il nuovo repertorio
italiano, e morì ottantenne a questi giorni. La Segovia, la Lola-Vega,
la Llanes, la Fité-Goula, Ramirez della Zarzuela, Camilla Dos-Reis,
Laura Sainz de Santjana.

I tenori: Carrion Emanuele, Padilla, Mendioroz, Fernandez, Marin,
Blasco Federico, Aramburo.

I bassi: Puente, Rodas, Varvaro, Moragas, Ruyz.

Perfin dall’Africa sortì una cantatrice, la prima del suo colore che
giunse a trovar grido in Europa, e che a Parigi fu battezzata col nome
di Patti Noire nel 1872.

Quella miriade poi d’itale Sirene sparirà per sempre nell’abisso del
tempo? Non resterà forse una sola a disputare la più durevole rinomanza
della loro Regina che fu figlia a Garcia?!

Non saranno state più che visioni dall’arcano accento, come la Catalani
e l’Alboni, Elisabetta Gafforini, Benedetta-Rosmunda Pisaroni, Teresa
Cecconi, Teresa Belloc, Virginia Blasis, Santina Ferlotti, Giuditta
Grisi, Giovanna Codecasa[167], Caravoglia Luigia, Stefania Favelli,
Luigia Boccabadati, Teresa Tavola, Rosa e Giuseppina Mariani, Anna
Cosatti, la Strepponi, la Sacchetti, la Carradori, Eugenia Tadolini,
Amalia, Maria (contralto basso) e Teresa Brambilla?...

E gli astri vagheggiati ancora, che di scena in scena ripeterono
i trionfi, quali: la Santoni, la Penco, la Spezia, la Borghi, la
Frezzolini, la Bendazzi, la Barbieri-Nini, la Scotta, la Salvioni,
la Benzoni, la Lotti, l’Albertini, la Fricci, la Rebussini, la
Piccolomini, la Albani, la Trebelli, la Salvini-Donatelli, la Galetti,
la Marziali, la Volpini, la Vaneri, la Tiberini, la Montaldo, la Moro,
la Biancolini, le De Giuli-Borsi, le Cruvelli, le Caracciolo, le Ronzi,
le Marchisio[168], le Ferni[169], le Patti?...[170].

Narrasi che, Farinelli trovandosi un giorno nella biblioteca del
padre Martini, e mostrando al raccoglitore inglese Burney le opere
del sapiente bolognese, dicesse: «Ciò ch’egli ha fatto resterà; mentre
nessuno avrà un’esatta idea del genio mio, e il mio nome si cancellerà
dalla memoria degl’uomini così presto come i trasporti d’ammirazione di
cui io fui l’oggetto per quarant’anni della mia vita!» Tale espressione
era degna di chi infatto potea vantarsi uno de’ più grandi virtuosi che
avessero mai esistito; e il suo riflesso sulla fragilità delle glorie
brillanti degli esimii cantori, sulla sorte riservata a que’ divini
artisti che dopo aver inebbriate le generazioni contemporanee, e averle
tenute sospese ai loro labbri ispirati, sfuggono a stento da un eterno
obblio, è vero così quanto egli è triste.

Il tempo che ripara tante ingiustizie, sembra in tal fatto rigoroso
ad eccesso. L’arte di commuovere colle inflessioni della voce umana
nei limiti d’un’azione drammatica, è un’arte assai complicata; ella
esige da chi vuole emergervi le più rare qualità. Quanto stadio, quanta
pazienza per giungere a signoreggiare quell’organo, e per esprimere
fedelmente quel che sentesi dentro!

Il suono che s’invola dalle labbra del cantante, tutto impregnato, per
così dire, dell’essenza della sua anima, riflettendo i mille colori
della passione, dev’essere stato, come il diamante, sommesso per
lungh’anni alla lima del lapidario.

Eminenti artisti spesero all’edificio d’una gloria efimera una somma
di qualità che basterebbero alla creazione d’un’opera durevole; e dopo
tanto tempo di lotta, dopo aver consumati tesori d’intelligenza e di
sensibilità, dopo mille trionfi, in cui essi hanno veduto ai loro
piedi i potenti della terra, questi grandi cantori si spengono in
una solitaria vecchiaja, circondati soltanto da qualche lusinghiera
memoria, avendo attraversata la vita come un sogno d’amore.

La ragione d’un sì triste destino fu trovata nella impossibilità
di tessere la storia di tutti questi uccelli del paradiso dai canti
melodiosi.

La fama che sovviene alla storia, negli andati tempi stentava è vero
a farsi strada nel mondo, più che adesso non le avvenga, ed una volta,
era soltanto lo straordinario valore che le apriva le vie. Ma in oggi
all’estremo opposto siamo forse ricaduti. La sconfinata pubblicità la
rende forse per eccesso più debole e fugace.

La riputazione de’ cantori s’appoggia specialmente al _Giornalismo_:
ed in vero, anche quello musicale e teatrale non è rimasto in dietro,
chè lo vediamo servire talvolta alla storia ed alla estetica dell’arte,
alle corrispondenze, alle critiche, alle biografie, alla statistica,
alla rassegna, al movimento artistico in generale, ed alle cronache in
particolare.

Ma dura la fama affidata a quelle effemeridi? E valgono queste a
caratterizzare veramente gli artisti, a svelarne la diversa natura e la
intimità della loro artistica vita?

La sentenza del Farinelli non è che troppo vera. Come trasmettere
alla posterità, colla fredda parola una inflessione di voce, un
guardo, un gesto, una pausa, quelle mille ombreggiature dell’arte
e della bellezza, che caratterizzano lo stile d’un grande cantore?
Come potrebbesi tener conto delle qualità misteriose de’ timbri e de’
tessuti vocali, dei secreti della emissione, della acquistata o scemata
potenza, delle varie forme introdotte, delle rivoluzioni promosse o
compiute?

Come infatti enumerare tutti gli astri, e spiegar l’armonia de’ loro
canti; penetrare i capricci e i bagliori delle loro luci, pesarne il
loro calore?

Scrisse adunque il destino sulla piega del loro tramonto: _nomen et
cineres una cum vanitate sepulta!_

Di tanto fiera sentenza parvemi di ravvisare forse un solo compenso:
_un’ombra di ereditaria perpetuazione_.

Mentre infatti veggonsi generalmente in ogni scienza ed arte, i figli
ed i nomi tralignare dal valor e dalla fama de’ maggiori, nell’arte
del canto e della musica, perocchè debba in essa dominare l’istinto, la
bella disposizione più facilmente trasfondesi, e veggonsi rinnovate per
discendenza tante belle riputazioni.

Il genio del canto in tante famiglie passò di generazione in
generazione, e se non trovò da propagarsi tra nipoti, sembrò talvolta
che perfino ai nomi soli abbia voluto conservare i suoi favori.

Quindi il nome dei Sarti, più o meno congiunti, si mantiene nelle
Romagne dal 1650, e per tutta Italia quello degli Allegri, quello de’
Rossi cantori e musicisti.

La fama dei Pacini o Picini rinnovossi a Napoli e a Roma; ed ivi e a
Venezia quella de’ Sabatini.

Dal 1520 passò di padre in figlio la celebrità dei Gabrieli in Venezia,
e nei più strani modi, fedele quasi a quel nome, passò alle Gabrielli
di Roma 1750, di Ferrara 1770 (detta la Gabriellina), in Prussia
1790[171].

Coi Fantoni da tre secoli, passò il culto del canto dalla Toscana
all’Alsazia, ed al Veneto; e quivi specialmente i Marini parvero
ricomparire.

I Gafori, i Castellani, i Grossi, i Conti, i Marchesi, i Todi, i Zani
o Giani, gli Agricola, i Bellini, i Zanotti, i Fioravanti, i Ronconi,
i Corsi, in Italia; e di padre in figlio gli Scarlatti, i Gabrielli,
i Venier, i David, i Garcia, i Bassi, i Ricci, gli Scheggi, i Gerli, i
Varesi, i Crivelli[172], i Zucchelli, i De Bassini; le Patti, le Tosi,
le De Giuli, e fra sorelle: le Ruggiero[173], le Cruvelli, le Ferni, le
Caracciolo, le Marchisio.

Altre nacquero come suol dirsi _in pien cartello_ per parentele
d’illustri artisti, come la Balfe, la Vitali[174].

In Francia, per lungo tempo parve fissarsi la fama ai nomi di Salomon
e di Lalande. Fra i Germani, a quelli di Wolf, Sartorius, Weis,
Meyer[175], Müller, Stolz.

Ma non per questo quella gloria è più durevole. E ne fan prova i
cantori celebri e rari de’ passati secoli, quando la loro influenza
era più rimarchevole e grande; quando poco o nulla calcolavasi il
compositore in confronto all’interprete, e quello a questi umilmente
serviva; quando al culto del canto sacrificavasi perfino la virilità e
la vita.

Il genio di tanti maestri rimurchiato da quello dei cantori, naufragò
allora eternamente; e tante invenzioni affidate alle voci fuggirono
con esse. Eppure a furia d’invenzioni e di esecuzioni, tanta scuola
levossi, tante tradizioni eternaronsi, tante novità generarono. I nomi
de’ cantori scomparvero, come strumenti abbandonati; quei de’ creatori
furono richiamati, ed essi e le loro creazioni rimangono, e il tempo e
la storia rendono o presto o tardi giustizia.

Che vuol dir tanto mistero?

Egli è che la virtù vera esiste e non muore. Passano le vanità, la
scienza rimane.

La fama degli sterili esecutori o ripetitori delle altrui ispirazioni è
quella che fugge come l’èco, che si spegne come fatui bagliori.

La vera luce dei genj, de’ virtuosi che riconobbero _l’arte profonda_
della musica, che specularono nel mistero de’ canti, che unirono il
sapere alle doti felici, se pur sembra velarsi e smarrire, non manca:
non è passeggiera meteora, ma vive anche dopo il tramonto.

A lato dei sommi creatori de’ canti, vediamo risorgere e ricomparire
il valor di sapienti che in linea più umile o bassa parea obbliato;
e così rivive la fama degl’interpreti che non contenti di farsi
stromenti passibili e caduci, si associarono colle speculazioni e gli
studj nell’arte maravigliosa; quelli che prodigate o perdute le vocali
ricchezze dalla natura e dalla fortuna sortite, lasciarono eredità
imperitura di belle opre della mente e del cuore.

Questo sia di conforto ai moderni sacerdoti del canto.

Non è la loro sorte più vana di quella della farfalla; non è la lor
carriera macchinale servigio, mezzo che s’adopra e s’abbandona.

È ministero d’un’arte profonda; è nobile finchè tende esso pure alla
conquista del vero e del bello; è l’Apollo divino figliuolo all’Eterno,
ma che esige il culto e l’amore delle divinità.

Egizj, Caldei, Ebrei, Greci e Latini c’insegnarono come essi nella
antichità avessero fatto del canto uno studio sublime. Se i secoli
contrastarono ai dotti la conservazione o la restituzione degli
esempî dei loro canti, le eterne porte del tempo non prevalsero alle
manifestazioni di que’ canti medesimi.

Restano imperituri monumenti, i sacri poemi coi quali i primi cantori
svolsero le religiose dottrine ai varj popoli; le Omeriche muse; le
odi Pindariche; le liriche d’Anacreonte e d’Orazio; i cantici della
Scrittura, i salmi reali.

Quanta scienza ai cantori affidata! quanto erudito ed elegante quello
ch’essi cantavano; e come rigorosamente attenevansi ai ritmi della
nobile usanza!

Ma i filosofi, poeti, legislatori, re, sacerdoti, furono i primi
fattori e i più abili esecutori di canti; indi nobili cavalieri, monaci
studiosi, pellegrini eruditi[176]: e pel loro sapere, anche fra i più
oscuri tempi, non ismarrirono i nomi loro.

Tanto studio con cui un Orfeo inneggiava agli Dei, Pindaro onorava
gl’illustri, non poteva andare dimenticato: e per poco si rifletta
ai versi che celebrarono le Olimpiche vittorie, od al Phitico poema
che esprime la lotta d’un Dio col dragone maligno, o alle frasi che
canteranno in eterno le misericordie del Signore, balena tosto alla
mente la necessità d’interpreti corrispondenti per coltura agli elevati
concetti.

Splende la scienza di Timoteo quando imprende a cantare le battaglie
d’Orzia, innanzi ad Alessandro Macedone, il quale sente rinfiammato il
suo valore, ed esclama — così devonsi esprimere i regi cantici! —

Quanti più vasti argomenti non offrirono ai compositori e cantori, i
tempi migliori, la religion più sensata!

Quando nacque, come vedemmo, il canto drammatico, poterono bastare
le forme, ed i primi sperimenti appagaronsi degl’insoliti effetti.
Allora che si prescielsero le voci bianche, e si chiamarono le belle
figlie dell’amore e della poesia ad unire le loro voci ai cori delle
nuovissime scene teatrali, gli uomini più dotti ed anche le più serie
Accademie in quel tempo fiorenti, che tenevano in pregio sommo la
musica, che avevano proprj musicisti e loro davano tetto, stipendio
e regali, adoprandoli nelle onorate foresterie, nei banchetti, fra le
lezioni e gli esercizj, e in ogni rito solenne, elessero a preferenza
le donne «avendosi osservato — come motivava una siffatta deliberazione
l’Accademia Olimpica, 1609 — che la mediocrità del saper delle donne
incontra forse più che l’eccellenza degli uomini.»

Ma tutte non erano per certo mediocri, notava il Lampertico
raccoglitore delle memorie della celebre Accademia Vicentina, se i
virtuosi e le donne state a que’ stipendj, fin da quando Guglielmo
III di Mantova veniva ivi festeggiato (1582), meritarono di passare
al servizio del Duca, e d’aver nominanza anche fuori d’Italia, e
accoglienza alle straniere Corti. Che se pure, io soggiungo, le
mediocrità servirono allora a quelle barriere e in que’ concerti e
rimasero oscure, non patirono la sorte medesima quelle donne e que’
maestri che fra gli accademici, ai geniali titoli del canto e della
musica associarono le doti dell’animo e della mente.

Se qualche umile cronaca serbò appena i nomi delle cantatrici, sebben
laudatissime, riputate volgari[177], poeti e scrittori eternarono a
chiarezza dei posteri le più sapienti.

Quindi le distintissime Fiorentine celebrate dal Doni, la Adriense
compianta dal Groto[178], e le vere Accademiche Lucrezia Chiericato e
Maddalena Casulana illustrate, quella dal Calmo e dal Bartoli, questa
dal Maganza[179].

Anche in quell’epoca adunque in cui speciali condizioni resero le
mediocrità sopportabili o preferite, il merito migliore soltanto vinse
l’obblio, ed ebbe dal tempo alla sua volta preferenza e giustizia.

Dappoi, la indulgenza concessa all’infanzia, più non si riscontra colla
maturità dell’arte: e nei tempi più recenti, proceduta questa collo
sviluppo delle scienze, ad ultimo retaggio della mediocrità, aurea una
volta vantata, non rimase che il nulla.

Quindi i maravigliosi avvenimenti dell’età nostra se porgono infinita
materia da sublimare ne’ canti, quante cognizioni però non richieggono
alla complicata e difficile interpretazione! Voglionsi le risorse tutte
dell’arte.

Fu detto che — l’Italia, primogenita figlia della Grecia in fatto di
arti belle, dilaniata per lunghi anni da sciagure intestine non ebbe
sempre l’agio di riscaldare e sviluppare tutte le inclinazioni del suo
genio: e forse non ultima cagione dei tanti disinganni patiti è forza
riconoscerla in quella malaugurata fiducia nella facilità del proprio
ingegno, da cui è invasa la maggioranza degl’italiani, e che li rende
generalmente neghittosi ad approfondir seriamente qualunque disciplina.

Gli stranieri invece, più fortunati di noi, sia per condizion di
governi, sia per qualunque altra causa, fecero loro prò delle idee
nostre e le condussero ad una perfezione relativamente ammirevole —
alimentarono collo studio le scintille tolte al nostro suolo lasciate
da noi quasi abbandonate. — Quindi, come le nostre scuole, anche i
nostri cantori non lasciarono che belle tradizioni, ma facili e vaghe,
mentre altri studiano a soverchiarci con artistici tipi. — Però v’ha in
questo un conforto: gli stranieri ci rendono giustizia e riconoscono la
fonte da cui hanno tratto le scintille fecondatrici. Ebbene, facciamo
noi altrettanto, rendiamo loro la giustizia dovuta, prendiamo da essi
quanto ci manca — gli esempj d’uno studio vasto, profondo — e facciamo
nostro pro del frutto della loro sperienza.

Nelle loro scuole l’arte giunse a contrastare al genio la palma.

Se i nostri cantori accoppiassero al felice istinto la scienza!.. Non
morirono i pochi che in questa ritemprarono l’arte.

_L’arte lunga_, mentre breve è la vita.

Non è qualche dote naturale che forma il vero artista; bensì la intima
e profonda conoscenza degli elementi tutti che concorrono all’arte sua.
Ed il canto è _l’arte sublime che in sè riassume pittura e poesia_:
onde all’artista cantante è serbato d’interpretare le ispirazioni di
chi raccoglie il concetto nel verso, e di chi lo disegna colla varietà
delle note.

S’affidino adunque i cultori allo studio.

Ma uno studio vasto, profondo, universale; non limitato alla parte
superficiale soltanto dell’arte da professare, ma bensì alla natura
dell’arte, che è pur vasta, universale e profonda.

Obbedienti alle leggi della scienza per lo scibile tutto a cui gli
artisti per quanto possono deggiono avvicinarsi, restino pure liberi e
indipendenti nella pratica dell’arte prescelta.

A riconferma della necessità di sapere, e in pari tempo di quella
libertà creatrice che abbiamo propugnata con giudizj e con esempj
ragionando dei metodi e dei sistemi, insufficienti al sacerdozio del
canto[180], mentre prima del maestro ogni uomo ha in sè medesimo il
suo genio, vengano rammentati i consigli che il massimo filosofo,
chiaroveggente dell’antichità, dava ai giovani ateniesi cultori delle
belle arti.

Socrate avea imparato la scoltura dal padre, e la musica, che allor non
era che il canto, dal valente Damone, e riconosceva l’utile riportato
alla sua sapienza anche da quelle cui specialmente non si era dedicato,
avendo, com’egli diceva, _ascoltato in ogni studio il proprio genio_.

Invidiava a Fidia e ad Omero, ma per imitazione o per metodi non
s’avrebbe attentato emularli.

Ei riguardava la poesia come sapienza ispirata, ed il canto, _una
concitazione del genio_.

Concitazione che sarà sublime, e negli effetti immortale, se originata
da un genio ben culto.

Così i cantori possono rendere i loro nomi tanto più durevoli, quanto
men passaggiere lascieranno le impressioni che sono destinati a
destare.

A questo riflettano seriamente i cantanti dei nostri giorni; perocchè
sia questa veramente l’epoca della serietà e della riflessione, e
meriti l’argomento di non essere più trattato colla leggerezza d’un
tempo, onde le fatiche loro procedenti a paro colle moderne esigenze,
rendano l’opra loro non inferiore almeno in vitalità e consistenza dei
manuali prodotti dell’artiere, dei frutti non ispontanei tratti dalle
reclusioni e dalle condanne.

Ripensino gli attuali artisti teatrali a quella verità poc’anzi
annunciata, che la fama quanto più divisa tanto è meno durevole: e
in oggi, propagati i misteri dell’arte, resi a tutti accessibili gli
scenici templi, generalizzato il costume de’ teatrali spettacoli,
ricercherebbero in vano le romantiche avventure, le influenze
straordinarie, fuori dallo stretto còmpito dell’arte.

Se nell’ultima parte di questa istoria abbiamo ripetuto qualche
memoria biografica di alcune celebrità del passato secolo e de’ primi
anni di questo, e ricordammo i casi loro avventurosi e straordinarj
nel rimestamento sociale, egli si fu appunto perchè nessuno di que’
successi potrebbesi narrare degli odierni cantanti, essendo ben altre
in oggi le influenze in politica, e potendosi dir finita la potenza dei
poeti e de’ musici nelle sorti dei regni e della diplomazia; e perchè
inoltre ben poco adesso si potrebbe notare di loro anche ai riguardi
delle novazioni, dei progressi e dell’influenze nell’arte medesima.

Passano adesso più o meno applauditi e salariati tutti, e fluiscono
tutti egualmente. E un’artista non dovrebbe finir mai!

Cessata l’opra in cui il vigor di natura e le forze più balde
richieggonsi, rimane il senno, prolifica la dottrina. Resta il
cittadino, cui più felici circostanze sorrisero, e lo misero in grado
più ch’altri di fornirsi d’utili pregi a sè ed alla patria, la quale
ripete ancora da lui nuova azione nel campo dei lumi, degli studj, del
beneficio, delle onorate imprese, del procedimento nei figli.

È ben misero che finisca un uomo col cessare d’un suono, collo
smarrire, d’una lieta impressione momentaneamente destata!

L’eco sola d’una voce, per quanto mirabile o straordinaria, dileguerà;
e l’organo suo, senz’altro pregio, rimarrà come strumento spezzato.
Quindi toccherà subir nuova prova dei fatali parossismi della vita:
estremo di dolcezza e di dolore.

Un canto forse più umile, ma da ben’altri valori accompagnato, non
cesserà mai di risuonare nel mondo civile, che tratto tratto ne
richiamerà le delizie con nuovo studio e nuova maraviglia. Ond’è, che
il vero merito rende fra le anime colte imperitura la fama di Francesco
Landini, l’_Omero toscano_; di Gaspara Stampa, la _Saffo veneziana_;
di Giovanni Paita, il _ligure Orfeo_; di Francesca Boschi, detta
_la Salomona della musica_; di Antonio Pasi e Giambattista Minelli,
soprannominati _i sapientissimi artisti_.

Come Timoteo è avvinto alla immortalità d’Alessandro, perdureranno i
loro trionfi, quanto più prossimi all’altar della scienza.

Facili glorie non son consistenti: le fronde cresciute da lunghi
e forti studj, e feconde di egregi frutti, così facilmente non
appassiscono.

Ma glorie non sono quelle de’ Filoteti e delle Baccanti che cantano
il piacer della vita; nè sono note che resistono al tempo, quelle che
sortono dalla freddezza d’animo, accompagnate dalla indifferenza e
dalla ignoranza. Gli accenti nati dalla preziosa sensibilità, passati
pel fuoco della passione, e purificati nel crogiuolo della bella
coltura, son quelli soltanto che lasciano impronta tradizionale e
incancellabile alle generazioni e alla storia dell’arte.

La gloria del vero cantor musicista, che fa studio delle armonie della
natura, e rivela le ispirazioni de’ cieli, compreso di sua missione,
conscio di che sia canto, la gloria del virtuoso vero, non è effimera;
è partecipe a quella della creazione, nelle cui ricerche può farsi
immortale.



INDICE


  PARTE NUOVA.

  III.

  Continuazione sui Metodi e sulle Scuole. — Norme
    didattico-fisico-speculative. — Metodi artistici. —
    Metodisti moderni. — Sistemi. — Conservatorj. —
    Cappelle. — Loro decadenza. — Osservazioni. —
    Esempj. — Giudizj                                      pag.   5
  Segue la rivista delle Scuole Italiane. — Degli studj
    sovra esse e giudizj. — Nuovo indirizzo de’
    Conservatorj. — Ultime fasi della scuola Veneta. —
    Attualità delle principali nostre scuole, e loro
    speranze                                                »    53
  Seguito della rassegna delle attuali scuole. —
    Conservatorj oltramontani. — Influenza Italiana
    all’Estero. — Rivoluzioni straniere. — Preponderanza    »    78
  Provvedimenti e inviti alle Scuole — alle Composizioni
    — ai Maestri                                            »   105

  CONTINUAZIONE DELLA PARTE NUOVA.

  IV.

  Secolo XIX. — Ritorno ai Compositori. — Sublimità
    dello sviluppo melodico italiano. — Genio. —
    Imitatori. — Progressi delle altre Nazioni. — Maestri
    contemporanei. — Rinnovazione degli attentati
    ultramontani. — Falsi e veri profeti                    »   135
  Scuole corali. — Società. — Cori-masse moderni            »   173
  Cantanti sul finire dello scorso secolo — e sul
    principio del corrente. — Loro influenze                »   185
  Artisti contemporanei. — Loro memoria. — Glorie
    effimere. — Vero avvenire                               »   218

  I. Elenco di Cantanti dal 1750 al 1850, oltre a quelli
    già citati nel contesto dell’Opera                      »   251
  II. Elenco dal 1851 al 1872, come sopra                   »   263



I.º ELENCO

_richiamato a pag. 197 di questo Vol. II._

                       CANTANTI DAL 1750 AL 1850

        _fra i più chiari, oltre a quelli nominati nel contesto
              dell’Opera e segnati nell’Indice generale._

                                 UOMINI


  A

  Alberti Luigi
  Alberti Matteo
  Alessi Giuseppe
  Alexander Timoleone
  Ambrogieti Giuseppe
  Ambrosini Paolo buffo
  Andreato Domenico
  Angrisani Carlo
  Antognini Cirillo
  Antoldi Gaetano
  Antonucci Francesco
  Aprile Fortunato
  Arcieri Luigi
  Aroldi Giovanni
  Assoni Mauro
  Auletta Ferdinando
  Avignoni Antonino

  B

  Babbini Matteo
  Bader Adamo tenore
  Baldanza Gaetano
  Baldi Giuseppe
  Balestraca Achille
  Balzar Pietro
  Bariola Francesco
  Bartolini Paolo
  Bartozzi Francesco
  Basadonna Giovanni
  Bassi Adolfo
  Bassi Ladislao
  Bassi Nicola
  Benciolini Antonio
  Benedetti Michele
  Benelli Giovanni Battista
  Benetti Raffaele
  Benetti Agostino
  Benighi Giuseppe
  Berettoni Arcangelo
  Bergondio Gentile
  Berini Antonio
  Bertelli Giuseppe
  Berti Francesco
  Bianchi Adamo
  Bianchi Benedetto
  Bianchi Eliodoro
  Bianchi Luciano
  Bianchi Odoardo
  Bichi Giovanni
  Bien Giuseppe
  Binaghi Giovanni Battista
  Binaghi Giuseppe
  Biondi Lorenzo
  Biondini Luigi
  Bobbi Giacomo
  Boccaccio Giovanni
  Boccomini Angelo
  Boccucci Filippo
  Boccucci Vincenzo
  Boggio Giovanni
  Bolognesi Pietro
  Boncaglia Francesco
  Bondicchi Virginio buffo
  Bonfigli Lorenzo
  Bonfigli tenore
  Bonzanini Claudio
  Bottari Giovanni
  Botticelli Bartolameo
  Botticelli Pio rom. buffo
  Botticelli Vincenzo
  Bouchè Luciano
  Boulanger-Küntze
  Bozzetti Alberto
  Bravura Antonio
  Brocchi Giovanni Battista
  Brunelli Giuseppe
  Bruni Domenico
  Bruschi Luigi
  Buini Matteo
  Buonfanti Luigi
  Bussani Francesco
  Buttinelli Antonio
  Buzzi Nicola

  C

  Cacciamani Ferdinando
  Caccioletti Tenore
  Calderini Angelo
  Callinari Stefano
  Cannetta Francesco
  Capetini Cleto
  Caporalini Domenico
  Cari Giuseppe
  Casali Paolo
  Cartagenova Orazio
  Casanova Carlo
  Castelli Ercole
  Catalano Giuseppe
  Catena Tommaso
  Cavaceppi Giovanni
  Cavana Luigi
  Cavioni Alberico
  Celli Giovanni
  Chizzola Gaetano
  Cicciarelli Giuseppe
  Cocchi Giuseppe
  Coldani Antonio
  Colmenghi Romolo
  Confortini Giovanni vicent.
  Conti Dom. ten.
  Contieri Giovanni Battista
  Corelli Leone
  Corradi Sette Luigi
  Coselli Domenico
  Costa Gioacchino
  Crivelli Gaetano

  D

  Dall’Oro Adone
  Dal Monte Gaetano
  Damiani Vitale
  Damini Paolo
  D’Anconi Raffaele
  Danieli Giovanni
  Da Ponte Alessandro
  Dardanelli Girolamo
  David Giovanni
  Dazzi G. M.
  De Antonio Giovanni
  De Capitani Pompiglio
  De Gattis Bartolameo
  De Grecis Nicola buffo
  De Kunnert Francesco
  Dei Fabbio
  Della Cela Agostino
  Della Santa Luigi
  Del Moro Vincenzo
  De Lorenzi Salvatore
  Demi Stanislao
  De Regnis Giovanni
  Derivis francese
  Desirò Francesco
  Desirò Giuseppe
  Dionese Giuseppe
  Donelli Gaetano di Reggio
  Dossi Carlo

  F

  Fantoni Antonio buffo
  Fasciotti Ercole
  Favretto Cesare
  Ferranti Pietro
  Ferrari Paolo
  Ferretti Luigi
  Fichez Luigi
  Fineschi Vincenzo
  Fiorini Francesco
  Firtz Francesco
  Fornasari Luciano veronese, basso
  Forzoni Luciano
  Franchi Angelo
  Frezzolini buffo
  Fucigna Giacomo
  Fusconi Giuseppe

  G

  Gafforin Francesco
  Galli Filippo
  Galli Vincenzo
  Gazzotti Pietro
  Genero Antonio ten. vicent.
  Genero Giovanni Battista
  Gentili Serafino
  Gentilini Francesco
  Ghedini Gaetano
  Ghinelli Antonio
  Gianni Pietro
  Giordani Giovanni bergam.
  Giorgi Saverio
  Giovanola Alessandro
  Giura Carlo buffo
  Gordigiani Angelo
  Gorè Fortunato (o Gori)
  Grassini Giuseppe
  Granatelli Giulio
  Granati Luigi
  Grismondi Agostino
  Grünbaum J. C.
  Gruppi Andrea
  Gualanti Giovanni
  Guasco Carlo
  Guidi Luigi
  Gumirato Francesco
  Guscetti Giuseppe

  H

  Haitzinger tenore

  I

  Inchiudi Giovanni
  Insom Giov. Batt.
  Ivanoff Nicola

  J

  Jourdan Giov. Batt.

  L

  Lajner Giovanni
  Lanzerini Stefano bolognese
  Latour Armando
  Latuada Luigi
  Lazzerini Gustavo
  Linari Eugenio
  Liparini Agostino
  Liparini Giuseppe
  Lodetti Francesco
  Lodi Giuseppe
  Lombardi Giuseppe
  Lombardi Lorenzo
  Lovato Giuseppe
  Lussanti Guido
  Luzio Gennaro

  M

  Madrigali Domenico
  Majeroni Pietro
  Mandini Paolo
  Manfredi Carlo
  Mangheroni Giuseppe
  Maranzato Carlo
  Marchi Tommaso
  Marcioni Stanislao
  Marcolini Carlo
  Marconi Gaetano
  Maria Luigi
  Mariano Luciano
  Marini Giovanni
  Marini Giuseppe
  Marinoni Antonio
  Marzocchi Girolamo tenore
  Maspes Gaetano
  Massa Cesare
  Mazzetti Benedetto
  Meloni Alessandro
  Michel Carlo
  Migliorini Giovanni
  Mignani Bortolo basso
  Milesi Giov. Batt.
  Minoja Pietro
  Miraglia Corrado tenore
  Miral Giuseppe
  Molinelli Enrico
  Monani A. detto Marzoletto
  Monari Francesco
  Mombelli Domenico
  Monelli Savino
  Monelli Raffaele
  Montresor Giov. Batt.
  Monti Luigi
  Monzani Eugenio
  Morella Francesco
  Morelli Bortolo
  Morini Francesco
  Mugnaj Clemente
  Mussich Eugenio

  N

  Nardi Giov. Batt.
  Negrini Vincenzo
  Neri Gaetano
  Nigri Gabriele
  Nosadini Giuseppe
  Novelli Pietro

  O

  Olivieri Loreto
  Orlandi Massimiliano
  Ottolini Matteo

  P

  Paccini Luigi
  Palmer Emerico
  Pancani Giov. Batt. buffo
  Parlamagni Antonio
  Patriossi Ignazio
  Patti Salvatore
  Paltrinieri Giuseppe
  Pasini Gaetano
  Pasini Ignazio tenore
  Pedrazzi Francesco tenore
  Pedrazzi Prospero
  Pellicioni Eusebio
  Perey Riccardo
  Pericoli Daziano
  Peroni Giacinto
  Petrinelli Giacomo
  Petroppoli Francesco
  Pezzani Giovanni
  Piacenti
  Picchi Luigi
  Piermarini Francesco
  Pinetti Giuseppe
  Piraz
  Porri Francesco
  Porto Carlo
  Potenza Pasquale
  Pouget Stefano
  Pozzi Antonio
  Profondo Sante
  Prosperi Pacifico
  Pulieri Antonio

  Q

  Quadri Angelo
  Querci Giuseppe

  R

  Ranfagna Angelo
  Ravagni Alessio
  Rebussini Giuseppe
  Reina Domenico
  Remolini Domenico
  Ricci Filippo
  Righetti Pietro
  Rigamonti Luigi
  Rigola Luigi
  Rivarola Achille
  Rizzardi Giuseppe
  Rizzi Giovanni
  Rodaz Agostino
  Romero Emanuele
  Ronconi Domenico
  Ronconi Giorgio
  Ronconi Sebastiano
  Ronzi Giuseppe
  Rosich Paolo
  Rossi Gaetano
  Rossi Napoleone
  Rovedino Carlo
  Rovere Agostino
  Rubini Geremia
  Rubini Giovanni
  Rubinelli Giovanni

  S

  Sacconi Gustavo
  Saini Domenico
  Salingardi Giuseppe
  Salvatori Celestino
  Salvi Lorenzo
  Santi Giacomo
  Santi Luigi
  Sartorini Antonio
  Sassi Enrico
  Scalesi Raffaele buffo
  Scalzi Filippo
  Scapin Stefano
  Schober Giovanni
  Schmit Enrico m. ten.
  Sebastiani Giovanni
  Secchioni Giovanni
  Seramondi Carlo
  Selva Antonio
  Siber Carlo
  Simoni Gennaro
  Sirletti Lodovico
  Sirletti Luigi
  Soarez Cesare buffo
  Somma Giovanni
  Sondereger
  Spagnoli Domenico
  Spech Eliodoro
  Spirito Giuseppe
  Storti Giovanni
  Superchi Antonio

  T

  Tabellini Luigi
  Tarulli Venanzio
  Tasca Luigi
  Tassini Giuseppe
  Tati Filippo
  Testori Angelo
  Testori Luigi
  Ticcina Giacomo
  Tissota Antonio
  Tona Giuseppe
  Tonioli Antonio
  Tommasi Antonio
  Torelli Serafino
  Torri Giuseppe
  Tramezzani Dionisio
  Trento Antonio
  Trezzini Carlo.

  V

  Vaccani Domenico
  Valerio Giovanni
  Valesi Stefano
  Valli Luigi
  Vanelli
  Vannetti Ferdinando
  Vaschetti Giuseppe
  Vecchi Francesco
  Venturi
  Verducci Pietro
  Vergè Giov. Batt.
  Verni Andrea
  Viganoni Giuseppe
  Villa Paolo
  Vittarelli Zenobio

  W

  Weber Asdrubale
  Winter Domenico

  Z

  Zamboni Luigi
  Zanardi Vincenzo
  Zanetti G. M.
  Zilioli Domenico
  Zilioli Paolo
  Zoboli Ziuseppe
  Zolla Luigi
  Zucchelli Carlo (padre)
  Zucchini Giovanni buffo
  Zuccoli Luigi basso
  Zucconi Agostino
  Zuliani Angelo


                                 DONNE


  A

  Abbadia Luigia
  Alason Teresa
  Alberti Anna
  Alessandri Laura
  Allegranti Maddalena
  Altieri Maria
  Aman Giuseppina
  Amati Catterina
  Ammonini Maddalena
  Anastasi Teresa
  Angelini Rosa
  Annoni Adelaide
  Anselmetti Catterina
  Anti Maria Luigia bolognese
  Appiani Teresa
  Arigotti Maria
  Arizzoli Giuditta
  Armenia Giuseppina
  Avogadro Teresa
  Ayton Fanny

  B

  Balduini Paolina
  Balzamini Camilla
  Barca Marianna
  Berilli Catterina
  Bassi Carolina
  Bassi Raimonda
  Bayllou-Hillaret
  Bellali Teresa
  Bellotti Teresa
  Beltrami-Barozzi Elisabetta
  Benzoni Erminia
  Berni Nunziata
  Bertrand Ida
  Bevilacqua Marianna
  Bezzi Luigia
  Bianchi Carolina
  Bianchi Chiara
  Bianchi Margherita
  Biancardi Carolina
  Bindi Marianna
  Blasis
  Bonini Emilia
  Borghi-Casentini Anna
  Borroni Marianna
  Bortoletti Orsola
  Bosi Urbana
  Bossoli Rosa
  Bovay Teresa
  Bramati Maria
  Branchù francese
  Bressa Ercolina
  Brighenti Marianna
  Brizzi Carolina
  Buratti Erminia

  C

  Calandra Erminia
  Calderara Lucia
  Calderini Luigia
  Calore Angela
  Calvi Anna
  Camporesi Violante
  Cantarelli M.
  Canti Maria
  Cantoni Elena
  Canzoni Rosa
  Caravanna Maria
  Carobbi Carolina contralto
  Carovaglia Maria
  Carradori-Alban Rosalbina
  Carraro Maria
  Casalini[181]
  Casanova Teresa
  Casiglieri Anna
  Cattaldi Cecilia
  Cattani Rosa
  Cattani Santa
  Cecchi Margherita
  Cella Giuseppina
  Cerioli Irene
  Cesati Giovanna
  Cicerelli Chiara
  Cioffi Clotilde
  Cittadina Anna
  Conti Antonietta
  Conti Maria
  Corradi-Panatelli Clorinda
  Cortesi Letizia
  Cosatti Anna
  Costa Carolina
  Costa Catterina
  Cressotti Adelaide
  Cucchi Teresa

  D

  Dabèdeilhe Adele
  Dal Mastro Chiara
  Dal Sere Anna
  Danzi-Lebrunn Fanny
  De la Grange Anna
  Delicati Margherita
  De Luca Catterina
  Derancourt Desiderata
  De Stefani Giuseppina
  Doliani Teresa
  Duprez Alessandrina

  E

  Ekerlin Fanny

  F

  Fabbrica
  Fabbrizi Orsola
  Fabre Giuseppina
  Fanti Clementina
  Fattori Teresa
  Favini Giuditta
  Ferrano Luigia
  Ferraresi-Del Bene Adrian.
  Ferrari Carlotta
  Ferrari Marianna
  Ferri Anna
  Ferron Elisabetta
  Fichez Barbara
  Filippe Matilde
  Flavis Geltrude
  Franchini Carolina
  Fröhlich Giusep. viennese

  G

  Gabussi Rita
  Gabbi Carolina
  Gagni Angela
  Galli M. Giacinta
  Gambesi Rosa
  Gazzi Giuditta
  Gazzotti M.
  Gerbini Carolina
  Giacomino Cristina
  Giacosa Celestina
  Giannoni Livia
  Giurini Teresa
  Goggi Emilia
  Goldberg Fanny
  Gorrini Gaetana
  Granati Maddalena
  Grassi Francesca
  Grossi Rosalinda
  Guglielmi Marianna
  Guidi Camilla Maria

  H

  Harlos Elena
  Hazen Marianna
  Hayez Catterina
  Himel Catterina
  Hueber Giuditta

  K

  Kiener Rosa

  L

  Lanari Clementina
  La Roche Enrichetta
  Lasichi Luigia
  Leon Chiara
  Leva Giuseppina
  Linari Luigia
  Lipparini Carolina
  Lorenzani Brigida contralto
  Lucchini Rachele
  Lugani Rosa

  M

  Maffei-Festa Francesca
  Malavasi Erminia
  Maldotti Adelaide
  Manfredini Elisa
  Mar Marietta
  Maranesi Rosa
  Maray Fanny
  Marchesini M.
  Marchetti Fantozzi M.
  Mercioletti Teresa
  Marcolini Maria
  Marconi Lucrezia
  Marini Maddalena
  Maroni M.
  Martini Elena
  Masi Celestina
  Masieri Rachele
  Matteucci Virginia
  Melas Teresa
  Micciarelli Giulia
  Micciarelli Lucia
  Micelli Catterina
  Michel Palmira
  Migliorucci Anna
  Migliorucci Luigia
  Miloch Luigia
  Mottini Adelaide
  Moltz-Terpiù Marianna
  Monari Carolina
  Monelli Lavina
  Monticelli Catterina
  Morandi Rosa
  Morazzoni Marietta
  Moretti Catterina
  Mori Rosalia
  Mortimor Anna
  Moscovia Maria
  Muraglia Marianna

  N

  Nobile Clementina
  Norman Alessia
  Novello Chiara

  O

  Obbizzi Regina (morta a Venezia 1831)
  Ober Isabella
  Olivier Jenny
  Ottolini Carolina

  P

  Papini Carolina
  Pallerini Rosa
  Parepa Elisabetta
  Paris Marianna
  Pasini Gioseffa
  Pastori Clelia
  Pelizioli Antonia
  Pellegrini Amalia
  Pellegrini Carolina
  Petrattini
  Petrazzoli Adelaide
  Pezzotti Lucia
  Picchi Teresa
  Pinotti Elisabetta
  Pinotti Rosa
  Piombanti Fantina
  Pizzi Catterina
  Pixis Francilla
  Polani Adelaide
  Poletti Giulia
  Pozzi Anna
  Pozzi Luigia
  Prosperi-Crespi Luisa

  R

  Radicati-Bortolini Teresa
  Ragusin Carlotta
  Remorini Carlotta
  Riccardi-Paer Francesca
  Rinaldi Adelaide
  Roberti Giuditta
  Rossetti Giuseppina
  Ronconi Erminia
  Rota Rosa
  Rotondi Angela
  Rubini Serafina
  Ruggero Lamina

  S

  Saglio Giuditta
  Sala Adelaide
  Salvadori Catterina
  Salvini Francesca
  Santi Emilia
  Sasso Teresa
  Sberna Rosa
  Schedlaceck Elisa
  Scheggi Enrica
  Schiassetti Teresa
  Schoberlechner Sofia
  Schrikel Mina
  Schroeder-Devrient
  Schütz-Oldosi Amalia
  Sessi Maria
  Sessi Imperatrice
  Sivelli Carolina
  Spada Luigia
  Spech Adele
  Spinelli Giuseppina
  Steffanone Balbina

  T

  Taccani Elisa
  Tavola Luigia
  Tosi Adelaide
  Tosi Emilia
  Tosi Santina
  Touchè Anna
  Triulzi Luigia

  V

  Valesi Luigia
  Venier Raffaela
  Venturelli Teresa detta Carbonarina
  Verdanega Teresa
  Verni Antonietta
  Vietti Carolina
  Vigliardi Rosa
  Villa Carolina
  Vittadini Carlotta

  W

  Wolf Adele

  Z

  Zolla Felicita
  Zemieski Elisa



II.º ELENCO

_richiamato a pag. 231, 232 e 235 di questo Vol. II._

                 CANTANTI DAL 1850 A QUESTI GIORNI 1872

            _oltre a quelli nominati nel contesto dell’Opera
                    e segnati nell’Indice generale._

                                 UOMINI


  A

  Abrugnedo Lorenzo ten.
  Adolfi Luigi bar.
  Agnesi bar.
  Agresti Antonio ten.
  Airoldi bar.
  Albieri Antonio bar.
  Aldighieri Gottardo bar. ver.
  Alessandrini Luigi basso
  Aliprandi Domenico
  Alma bar.
  Altini Giuseppe buffo
  Ambonetti ten.
  Ambrosi ten.
  Amodio Francesco bar.
  Anastasi Salvatore ten.
  Ancillotti
  Angelini basso
  Angeri Achille basso
  Angiolini tenore
  Antonioli Guido
  Antonucci Giov. Batt. buffo
  Apolloni Riccardo buffo
  Aramburo Antonio
  Armandi
  Arnaud Giacomo
  Arrigoti Arturo bar.
  Artoni ten.
  Aublè Carlo
  Augusti Paolo
  Azzalini Nicolò bar.

  B

  Badiali Cesare
  Bagaggiolo Eraclito
  Bailini Frate bar.
  Baldanza Ernesto
  Baldanza padre ten.
  Baldassari buffo
  Baldelli buffo
  Balderi Arcangelo basso
  Balma Giuseppe ten.
  Balsamo Giuseppe
  Barragli-Ranieri ten.
  Baraldi Paolo
  Barbaccini Enrico ten.
  Barberat basso
  Bardi
  Barrè Armando
  Bartolini Ottavio
  Baroilhet Paolo bar.
  Baschi Francesco
  Bassini Giovanni
  Battezzati Natale
  Bay Ferdinando basso
  Becerra basso
  Belardi Domenico bar.
  Belardi Vincenzo ten.
  Belletti Giuseppe bar.
  Bellini Ferdinando bar.
  Bencich G. B.
  Benedetti Nicola
  Beneventano G. F. bar.
  Benfatti Gaetano
  Benfratelli Mich. Ang.
  Bergamaschi G. bar.
  Bertami Giorgio
  Bertolasi Zenone bar.
  Bertolini Filippo bar.
  Bertoni Pietro
  Bettini Geremia
  Betz
  Biacchi Annibale basso
  Bicchielli Felice
  Bicchielli tenore
  Bignardi Pietro ten.
  Blemond Ippolito buffo
  Blossi Roberto buffo
  Blum ten. francese
  Boccolini Cesare barit.
  Boetti Alessandro ten.
  Bolis Luigi ten.
  Bolton Gualtiero
  Bonacich Ernesto
  Bonafous Orazio buffo
  Borgioli Leopoldo bar.
  Borioni Fortunato
  Boschi Giovanni buffo
  Boschini Leonardo bar.
  Bossi Cesare
  Botta Giacomo bar.
  Braida
  Brambilla Ugo bar.
  Brandini Felice barit.
  Bratiano basso
  Brignoli Luigi ten. napol.
  Brogi Augusto
  Bronzi Luigi
  Brunacci Angelo
  Buffagni Raimondo
  Bugonini Federico ten.
  Bulterini Carlo tenore
  Buongiorno baritono
  Burgio Autonio bar.
  Butti Lodovico bar.
  Buzzi Gaetano
  Byron Arturo ten.

  C

  Cabella Placido basso
  Calcaterra Luigi basso
  Cambiaggio Carlo buffo
  Camero tenore
  Cammarani Lodovico buffo
  Campanini Italo tenore
  Cancellotti basso
  Cantoni tenore
  Cappelli Augusto bar.
  Cappelli Sabatino bar.
  Cappello Antonio
  Cappello Giuseppe
  Capponi Enrico tenore
  Capponi Giovanni
  Capponi Gius. ten. da Loreto
  Capriles Giuseppe basso
  Carapia Antonio buffo
  Caravatti Pietro
  Carboni Achille baritono
  Carboni Antonio baritono
  Carnili Erasmo baritono
  Caroselli
  Carovaglia bar.
  Carpi Carlo ten.
  Carpi Vittorio bar.
  Casaboni basso
  Casarini Carlo tenore
  Castellan Andrea vicent.
  Castellan Stanislao
  Castelli Augusto tenore
  Castelmary Armando basso
  Cavè baritono
  Cavisago Vincenzo buffo
  Cazenaux Francesco tenore
  Cecchi Fedele bar.
  Cecconi Amedeo ten.
  Cellada Augusto ten.
  Ceresa Luigi tenore
  Cervini Paolo
  Cesari Domenico bar.
  Chelli Luigi tenore
  Ciapini Massimo baritono
  Ciarlini Domenico
  Ciceri Luigi baritono
  Cima Giuseppe baritono
  Ciolli baritono
  Coliva Filippo baritono
  Collini Virgilio tenore
  Conti buffo
  Colonnese Luigi baritono
  Colucci Giovanni tenore
  Comolli Giovanni
  Contedini basso
  Conti buffo
  Conti Corrado ten.
  Copola buffo
  Cornago G. B.
  Cornazzani Cesare tenore
  Corona Francesco baritono
  Corradi-Sette Luigi
  Corsi Achille tenore
  Corsi Giovanni baritono
  Corsi Iginio ten.
  Cosmi Pietro tenore
  Costa Tommaso basso
  Costantini Natale baritono
  Cotogni ten.
  Cottone Vincenzo baritono
  Coulon Teodoro basso
  Coy tenore
  Crains Giovanni ten.
  Cresci basso
  Criticos Enrico ten.
  Cronello tenore
  Cummings W. H. inglese
  Cutelli Giovanni basso
  Cuyaz Giovanni baritono

  D

  Dal Fabbro G. B. basso
  Dal Negro Antonio
  Dal Negro Domenico venez.
  Dalla Costa Cesare
  Dall’Agata Giovanni ten.
  Dalle Sedie Enrico
  D’Antoni Alessandro bar.
  D’Antoni Giorgio tenore
  David Giuseppe basso
  Davini Raffaele ten.
  De Azula Tommaso
  De Bassini Achille bar.
  De Bassini Alberto ten.
  De Bovio Eugenio
  De Capellio Ottavio
  De Chiara buffo
  De Filippi tenore
  De Giorgi baritono
  De Giuli Angelo basso
  Del Giudice tenore
  Del Puente Giuseppe bar.
  Della Rocca tenore
  Della Torre Matteo basso
  De Magnani Augusto
  De Marco Carlo ten.
  De Serini Ermenegildo
  De Vecchi Giovanni
  De Veiga Giov. bar.
  Devoti Ugo Pio tenore
  Didot Alessandro
  Di Giacomo buffo
  Di Lorenzi Corrado
  Dominici Giuseppe bar.
  Donati Luigi ten.
  Donelli Gaetano
  D’Ottavi Raffaele basso
  Duchesne

  E

  Echeveria Giuseppe
  Edelsberg
  Errani Ferdinando ten.
  Everardi

  F

  Fabbrizi Carlo
  Faentini Galassi Ant. bar.
  Fagotti Enrico bar.
  Falciai Angelo ten.
  Fallar basso
  Fallica baritono
  Fauda Decimo ten.
  Faure
  Febbri tenore
  Fellini bar.
  Ferenczas tenore
  Ferlotti Raffaele
  Fernand A. tenore
  Ferrari Giacomo ten.
  Ferrari Vincenzo ten.
  Ferrario Luigi
  Ferrer Emmanuele ten.
  Ferri Gaetano
  Filippi Bresciani Luigi
  Filippi Leone
  Finetti Francesco
  Fioravanti Luigi
  Fiori Gaetano bar.
  Firpo Giovanni ten.
  Foli
  Forapan Ulderico ten.
  Fradelloni Achille
  Franchini Antonio
  Frappoli Giuseppe ten.
  Friche
  Frigiotti Giuseppe buffo
  Frippoli bar.
  Frivero basso

  G

  Gailhard bar.
  Gajare Giuliano ten.
  Galassi Luigi buffo
  Galletti Antonio
  Galli Luigi buffo
  Gallo Luigi ten.
  Gallo Tomba Federico basso
  Galvani Giacomo
  Galvani Giuseppe basso
  Gardoni
  Garofalo
  Gasparon Marianno
  Gasperini Enrico basso
  Gassier
  Gavarni
  Gazzulli ten.
  Genevois Bortolo ten.
  Gentili Antonio
  Gerli
  Ghislanzoni
  Giacomelli buffo
  Giacomini Giovanni
  Giannini baritono
  Gianoli basso
  Gimeno basso
  Giommi bar.
  Giordani Guglielmo basso
  Giorgetti Giovanni ten.
  Giraldoni Leone bar.
  Giraud buffo
  Giulini Antonio
  Giuggiolini Luigi ten.
  Giussani G. M. ten.
  Giusti Enrico ten.
  Gizzi Cesare bar.
  Gnone Napoleone ten.
  Gori Gaetano
  Gottardi Antonio ten. venez.
  Gozzolini Giuseppe
  Grandi Antonio bar.
  Grandillo buffo napol.
  Graziani Edoardo ten.
  Graziani Francesco bar.
  Graziani Lodovico ten.
  Graziosi Filippo bar.
  Grazzi Amedeo ten.
  Grillo Antonio
  Gropello Silvestro ten.
  Grossi Tommaso
  Guadagnini Luigi bar.
  Guerrieri Giulio ten.
  Guglielmini Luigi
  Guicciardi Giovanni bar.
  Guidi Giuseppe
  Guidotti Camillo ten.
  Gulli Luigi tenore

  H

  Harvey Enrico tenore
  Hemming tenore

  I

  Irfrè tenore

  J

  Jacovacci Luigi
  Jamet basso
  Jaulain Alessandro ten.
  Junca Marcello basso

  L

  Lalloni Lorenzo bar.
  Lambiase buffo
  La Morgia basso
  Lamonea Giuseppe bar.
  Lamponi Alessandro ten.
  Landi Giovanni ten.
  Lari
  Laterza Raffaele basso
  Laurence Alberto bar.
  Lefrane basso
  Lemmels Torvaldo basso
  Lendinara Giuseppe
  Lenghi Clodomiro bar.
  Liverani Carlo
  Lombardelli Luciano basso
  Loparco Maurizio ten.
  Lucidi Tommaso ten.
  Luzzi Giuseppe

  M

  Maccani Francesco buffo
  Maffei Giovanni basso
  Magnani Luigi bar.
  Maini Ormondo basso
  Majlini Raimondo basso
  Majocchi David bar.
  Malvezzi Settimio ten.
  Mancio Felice ten.
  Mancusi baritono
  Manfredi Carlo
  Manfredi Eugenio
  Manfredi Luigi
  Manni
  Marcassa Ettore basso
  Marchetti Giovanni basso
  Marcini Filippo bar.
  Marconi Raffaele basso
  Marè Giovanni basso
  Marelli Giuseppe ten.
  Mari Enrico bar.
  Mariani Carlo
  Marin Andrea ten.
  Marini Luigi basso
  Marinozzi Francesco basso
  Mariotti Luigi bar.
  Marler F. G. inglese
  Marotto Carlo basso
  Marotto Domenico
  Marra Giuseppe
  Marubini Adolfo tenore
  Marucco Pietro bar.
  Masetti Giovanni
  Masi Enrico baritono
  Masini Angelo tenore
  Massa
  Masseda
  Massetti Giovanni basso
  Massiani Francesco bar.
  Mastriani baritono
  Maurel Vittorio baritono
  Maurelli Luigi tenore
  Mazzanti Andrea
  Mazzarini Paolo basso
  Mazzoli Agostino bar.
  Modini Paolo basso
  Mela Angelo
  Mellini Gaetano buffo
  Melzi Cesare
  Mendioroz Giuseppe bar.
  Mercatali Antonio
  Mercuriali basso
  Meric Giuseppe baritono
  Micheloni Annibaie
  Milani Giulio ten.
  Milcovich
  Milesi Domen. di Bergamo
  Milesi Pietro basso
  Milizia Luigi
  Minetti Antonio tenore
  Minotti Luigi tenore
  Mioni buffo
  Mirabella bar.
  Mirandola Giorgio
  Miserocchi Temistocle
  Mistrovich basso
  Montanaro Vinc. ten. nap.
  Monti Gaetano basso
  Monzani Eugenio
  Mora Gaetano tenore
  Moraldi tenore
  Morea Raul tenore
  Morelli Ant. bar.
  Morgan tenore
  Moriami baritono
  Morini Giuseppe tenore.
  Mottino Francesco bar.
  Murri bar.

  N

  Nannetti Romano basso
  Nanni Cesare basso
  Navary Alberto baritono
  Neri-Baraldi Pietro
  Neri Marianno tenore
  Nerini G. Carlo basso
  Nicolini tenore
  Nieman tenore

  O

  Oliva Pavani Ant. tenore
  Ordinas Giovanni basso
  Orlandi Vito
  Orneto
  Orsi Saverino baritono
  Ortolani Antonio
  Ottaviani Alessandro
  Otto Stefano baritono

  P

  Padilla Marianno baritono
  Padoani Antonio
  Palerni Ernesto tenore
  Palma Antonio
  Palmieri Giuseppe
  Palmieri Tito
  Pancani Emilio
  Pandolflni Francesco bar.
  Panizza Gaetano
  Panizza Gustavo baritono
  Pantaleoni Adriano bar.
  Panzani Giuseppe
  Paoletti Luigi
  Paolicchi basso
  Papini buffo
  Parasini Temistocle
  Parboni Augusto
  Pardini ten.
  Parmisini tenore
  Pascucci tenore
  Pasi Giuseppe
  Patierno Filippo tenore
  Pedrazza Ant. vicentino
  Pelletti Augusto buffo
  Pellico Ugo baritono
  Penco buffo
  Peranzoni Felice
  Perego Francesco tenore
  Perego Giuseppe
  Perotti Giulio tenore
  Perozzi tenore
  Petit
  Petrovich Giovanni ten.
  Peschka
  Piazza Giacomo ten.
  Piccioli Girolamo vicent. ten.
  Pieraccini Eugenio
  Pietriboni tenore
  Pifferi
  Pinzi Cesare
  Pizzigati Ruggero bar.
  Poggi Antonio
  Poggiali Salvatore
  Polaschi tenore
  Poli-Lenzi Paolo basso
  Polonini Alessandro bar.
  Polonini basso
  Pons Feliciano
  Posser Francesco bar.
  Povoleri basso
  Pozzo tenore
  Pozzi Gaetano basso
  Pozzi Natale buffo
  Predeval Enrico
  Prette Pietro buffo
  Prilleux ten. franc.
  Primavera Filippo
  Pro basso
  Profili Ettaro
  Proni Filippo
  Prudenza tenore
  Punet tenore

  Q

  Quintili-Leoni Pasq. bar.
  Quintili-Leoni Vincenzo bar.

  R

  Rabezzana Celesto
  Raguer Francesco
  Rampini Boncori Angelo ten.
  Rava Agostino tenore
  Rebottaro
  Redaelli Giacomo
  Reduzzi Francesco basso
  Remolini Tancredi
  Renferreri Davide basso
  Retz Odoardo basso
  Reuvè
  Riccardi Tommaso basso
  Ricci Gennaro
  Righi Francesco
  Righini baritono
  Rigo Fulvio basso
  Rinaldini Luigi
  Rocca Luigi
  Rocco buffo
  Rodas-Vinals
  Romanelli Aless. bar.
  Romanelli Giuseppe
  Romani Riccardo basso
  Romilli Francesco basso
  Ronconi Ercole tenore
  Ronconi Sebastiano jun.
  Ronzi Poliioni tenore
  Rosnati Ferrante
  Rossi Castagnola Ach. bar.
  Rossi Galli Enrico
  Rossi Rumiati baritono
  Rossi Ruggiero Luigi
  Rota Giacomo baritono
  Raggia Vincenzo tenore
  Ruyz Luigi basso

  S

  Sabater Jago tenore
  Sabatini Vincenzo
  Saccomano Luigi
  Sampieri basso
  Sani Giovanni tenore
  Santley
  Sarti Vincenzo
  Sbriscia Enrico tenore
  Sbordoni Icilio basso
  Scannavino Clemente
  Scannapiero tenore
  Scaria Emilio basso
  Scola Carlo
  Scopini basso
  Scotti Paolo
  Segato
  Seint-Bris basso
  Selva Antonio basso
  Serafini baritono
  Serazzi Enrico
  Setragni Pietro tenore
  Severi basso
  Sevieri Giorgio tenore
  Silenzi Pietro baritono
  Sinigalia Napoleone ten.
  Smitter Teodoro baritono
  Sordou basso
  Sonderegger Enrico
  Souvestre Augusto baritono
  Spallazzi Girolamo baritono
  Sparapani Senatore barit.
  Squarcia David baritono
  Srakosch Maurizio
  Stagno Roberto tenore
  Stagno Vincenzo tenore
  Standighel
  Steller Francesco baritono
  Sterbini Tito baritono
  Stermich Simeone di Zara
  Stigielli Giorgio
  Stozzi baritono
  Superchi Antonio baritono
  Svift Giuseppe

  T

  Tagliafico
  Tagliapietra Giovanni bar.
  Tagliazucchi Pietro
  Talbò Ugo tenore
  Tansini Giovanni basso
  Tartini tenore
  Tasty basso
  Taurone Carmine
  Tavella ten.
  Testa
  Tiberini Mario tenore
  Tintorer Gonzalo
  Tirini baritono
  Toledo Gaetano baritono
  Tombesi Giuseppe tenore
  Torelli Alessandro
  Toressi Giuseppe tenore
  Trabattoni Alessandro
  Trapani-Bono Francesco
  Trinci Aristide buffo

  U

  Uetan Francesco
  Ugalde

  V

  Valenti tenore
  Valentini Giovanni tenore
  Valle Giovanni baritono
  Vanzan Gaetano tenore
  Vanzetti Luigi tenore
  Varvaro Nicola baritono
  Vecchi Giuseppe
  Vecchi Luigi
  Vercellini Giacomo
  Verger Napoleone baritono
  Vialetti Pietro basso
  Vidal Melchiorre tenore
  Viganotti Ignazio bar.
  Villa tenore
  Villano Francesco
  Villanova Francesco tenore
  Villena Giuseppe tenore
  Vincentelli Carlo tenore

  W

  Wachtel tenore
  Wagner Giuseppe basso
  Walenreiter basso
  Winals Francesco.

  Z

  Zacchi Mauro buffo
  Zaccometti Giovanni tenore
  Zennari Angelo tenore
  Zesevich Andrea bar.[182]
  Zimelli Luigi basso
  Zucchelli Carlo basso
  Zucchi Francesco tenore
  Zucchini Giovanni buffo


                                 DONNE


  A

  Alba Isabella
  Albani Emma di Canadà
  Albertini M.
  Alemani Giuditta
  Alessandrelli
  Allein Luigia
  Alzina
  Amadio Marietta vicent.
  Amorini Luigia
  Angele Elena inglese
  Angeleri Giuseppina
  Anselmi M.
  Aragon
  Arancio Guerrini Luigia
  Arco Costanza
  Armandi Maria
  Arnoldi Virginia
  Arrigotti M.
  Artot Desiderata
  Assandri Laura
  Attanasio
  Avigliana

  B

  Babkin Maria
  Baldini Filomena
  Banti Laura
  Baratti Lucia
  Bargnani Carlotta
  Barlani-Conti Eufemia
  Bartoletti-Siletti Malvina
  Bartoli Olimpia
  Bassi Teresa
  Basseggio Adele
  Basso Filomena contr.
  Battistella Luigia
  Battù Maria
  Bay Jenny
  Bedei Virginia
  Bedetti Enrichetta
  Bellariva Teresa
  Bellio Elisa
  Bellot Sara
  Beltramelli Olimpia
  Beltramini Giulia
  Bonetti Amalia
  Benich Emilia
  Bennati
  Benza
  Berini Carolina
  Berini Enrichetta
  Berio Adele
  Bernard Anna
  Bernardoni Enrichetta
  Bernesi Maria
  Bertrand Olimpia
  Biancolini Maria
  Bicchierai Carolina
  Bignami Orsola
  Bignami Selene
  Blount
  Boccabadati Virginia, jun.
  Boema Gabriella
  Boldrini Amalia
  Boldrini Aspasia
  Bonney Avonia
  Bono Maria
  Bonovelli
  Boluda M.
  Bordato Lena
  Borsi Deleurie Giulia
  Bosca Giovanna
  Boschetti (Bousquett) Ann.
  Bosisio Enrichetta
  Bossi Carlotta
  Bozzacchi
  Bozzetti
  Braccialini contr.
  Brambilla Antonia
  Brambilla Elvira
  Brambilla Teresa jun.
  Brigny
  Bresciani Elvira
  Briol-Nicolao Carolina
  Brunetti Luigia
  Brusa Giuseppina
  Brush Isabella
  Budel-Adami
  Bullatich Teresa
  Bulli-Paoli
  Bussi Adele
  Butti Maria
  Buttier Anna
  Butler Anna

  C

  Callisto-Piccioli Maria
  Cambers Lucia contr.
  Canissa Paolina
  Capozzi
  Cappello Dina
  Caracciolo Laura
  Caracciolo Linda
  Cardini Maria
  Careny Anna
  Cari
  Cadetti Erminia
  Carollo M.
  Carrozzi-Zucchi Carlotta
  Caruzzi Bedogni Giuseppina
  Casaloni
  Casanova
  Castelli Cornelia
  Castri Paolina
  Cattinari Carlotta
  Cattini Leonora
  Cecchetti Adele
  Celega
  Cellini Annunziata
  Celò
  Chambers Lucia contralto
  Chapoy
  Chiaramponi Angela
  Chimenz M.
  Ciccalia Egidia
  Ciuti Emilia
  Clerici Amalia
  Cocchi-Salvi Elide
  Coli Teresa
  Colville Violetta
  Consolani Giulia
  Contarini Albina
  Contarini Emilia
  Conte Amalia
  Conti Foroni Amalia
  Core Maria
  Coriolano Costanza
  Corsi Linda
  Corsi Luigia
  Corsi Matilde
  Corso Elisa
  Cortesi Adelaide
  Cortesi Augusta
  Cortez Maria contralto
  Corvetti Placida
  Cosati Angela
  Cosmelli
  Costa-Giani Rosa
  Coulon-Levielli
  Crane
  Cremont Cecilia
  Creny M.
  Cristofani Ida
  Cruvelli Maria contralto
  Cruvelli Sofia
  Csillag di Baden
  Cuzzani Carolina

  D

  D’Alberti Angela
  D’Angeri Anna
  Dalti
  D’Altona Margherita
  D’Auria
  Da Ponte Bice
  Da Ponte Luigia
  D’Aponti
  Dario Nina
  Davidoff-Gerli-Fede
  Davis Carolina
  De Bailou Enrichetta
  De Fanti Luigia
  De Ficara
  De Filatoff Barbara
  De Gianni-Vivez M. contr.
  De Gourieff
  Della Vida Celeste
  De Lorenzo Rosa
  De Maesen Camilla
  Demi Elvira
  De Montelio Soffia
  De Morelli Carolina
  De Rieux Angela
  Derivis Maria
  De Roissi Noemi
  De Ruda Rosa
  D’Este Anna
  Destin Maria
  De Zorzi Maria[183]
  Dini
  Domenico Anna contr.
  Donati Virginia
  Dondini Laura
  Donzelli Rosmonda
  Dordelli M.
  Dory Carolina
  Dôve-Dolby contralto
  Duval

  E

  Eber Maria (arcid. d’Aust.)
  Eboli-Bertani Matilde
  Eller Anna
  Eugedi Adele
  Eugedi Emilia

  F

  Fabris Gioconda
  Faccio
  Falchero-Corsi
  Falconi Albina
  Falconis Vittoria
  Falli Nicolina
  Felix
  Feltri-Spalla Rosa
  Ferardi Urania
  Ferlotti Clementina
  Ferlotti Maddalena
  Fernandez Cecilia
  Ferni Carolina contr.
  Ferni Teresa
  Ferranti Eufemia
  Ferrari Erminia
  Ferrari Ester
  Ferrano Giuseppina
  Ferrer Annita
  Ferrer Celestina
  Ferretti Lucia
  Fiando Giuseppina
  Fiorentini Elena
  Fiorentini Rosa
  Fioretti Elena
  Fiori Giuseppina
  Fiorio Linda
  Fitè-Goule Dionisia
  Flavis Clementina
  Florelli
  Florenza Itala
  Flory Giuseppina
  Foà Rosina
  Fontana Carolina
  Forti Clelia
  Foschi
  Fossa Amalia
  Franks
  Fransini Natalia (princip.)
  Fricci
  Fricci-Baraldi Antonia
  Friderici Teodosia
  Fumagalli Amalia
  Fumagalli Maria

  G

  Gabrielli Aurelia
  Gaggiotti
  Galassi Giuditta
  Galimberti Elisa di Chiogg.
  Galletti-Giannoli Isabella
  Galli Elisa
  Gamberini Assunta
  Garbato Drusilla contr.
  Gavetti Luigia
  Gavotti-Fiore Guseppina
  Genolini
  Genovese Concetta
  Gerli Imelda
  Gerli Teodolinda
  Ghedini Carolina
  Ghiotti Camilla contr.
  Gigli
  Giordano-Giannone Laura
  Giorgini Adele
  Giovanelli Sofia
  Giovanetti Elvira
  Giovanoni Ginevra
  Giovenca-Pierlusca
  Gordosa Fanny
  Gori-Pucci Teresa
  Griffini Carlotta
  Grossi Eleonora
  Grossi Ida
  Grosso Benedetta
  Gruiz
  Grün Federica
  Guadagnini Augusta
  Guey-Mard
  Gulli Elvira

  H

  Hauch
  Harris

  K

  Katinka Evers
  Keller Anna
  Kottas Ida
  Kugler

  I

  Imella
  Innocenti Argenide
  Ipolitu Teresa
  Isacchi Catterina
  Isturiz Teresa

  J

  Januzzi Emilia
  Jury Carolina

  L

  Lafon Maria
  Lamberti Marianna
  Lamberti Nina
  Lancia Fiorenza
  Langlois Paolina
  Lanzi Claudia
  Lauretti Enrichetta
  Legramenti
  Leonardi Anna
  Leonardi-Blasco Emilia
  Leonardis contr.
  Leonpietra Elena
  Lesniewska Luigia
  Levi Giusepp. contr.
  Levielli Leonia
  Lezi Santa
  Locatelli Emma
  Locatelli Giuseppina
  L’Oglio Ester
  Lökr Alice
  Lommi
  Lorene contr.
  Lucchesi M.
  Lugli Anna bologn.
  Lumley Elisa
  Luini Savina
  Luppi Adele
  Lazzi Vittoria
  Lyetti Giuseppina

  M

  Malaferri Teresa
  Madigan inglese
  Magi Almacinzia
  Magni Giovanna
  Majo Maria
  Mallinger
  Mallknecht Marianna
  Malvezzi Ersilia
  Mandolini Corona
  Mandolini Emilia
  Manzini Elvira
  Mapleson inglese
  Marchetti Carlotta
  Marchisio Barbara contr.
  Marchisio Carlotta
  Mariani Maddalena
  Marignani Enrica
  Marinangeli M.
  Marini Pubbia
  Mariotti Rosa
  Martino Antonia
  Martinotti Maddalena
  Marty-Viardi Carolina
  Marvaldi Adele
  Marziali Carmela
  Marziali Giulia
  Marzi-Nelly
  Mazeray
  Mazzini Catterina
  Mayer Erminia
  Mayer Federica
  Meksa L.
  Merson-Ferrucci
  Michelucci Gaetana
  Miles Catterina
  Mira Miran
  Missorta Paimira
  Mocoroa Corrina
  Modiano Giulia
  Molinard Maria
  Mongini Carolina
  Montalbo Enrica
  Montaldi-Bianchi Adele
  Montebello Augusta
  Monti Giov.
  Moro Angelica
  Morselli
  Mosconi Lucia
  Mota-Galli Carolina
  Mottino Adele
  Mugnoz Anna

  N

  Naglia Gertrude
  Nardi Adele
  Nascio Emma
  Natali-Festa Fanny
  Negrini Ida ungherese
  Neri Ester
  Nicolich di Zara
  Noel-Guidi Clementina
  Norak-Rovilli
  Nordi Maria
  Novetti Rosina

  O

  Olivi Maddalena
  Oneto Amalia
  Orgeny Aglaja
  Ormeny Luisa
  Ortolani
  Ortona Sofia

  P

  Pagliani Edwige
  Palagraziosi Rachele
  Palmana Emilia
  Palmer
  Palmieri Maria
  Paloschi contr.
  Pantaleoni Romilda
  Paoli Teresa
  Papini Lucia
  Papini Ottavia
  Parepa Rosa
  Pascal-Damiani M.
  Paschalis Adele
  Pasini Maria
  Pasqua Giuseppina
  Passerini
  Patti Adelina
  Pavoni
  Pecorini Giovanna
  Pegollo Argenide
  Pellegatti Ida
  Penco Rosina
  Peralta Angelica
  Perelli Luigia
  Peroni Amalia
  Peroni Natalia
  Petenello padovana
  Petrettini Angelica
  Piazza veronese
  Piccioli Guglielmina
  Piccoli Luigia
  Pitarch Luisa
  Pixis Francilla
  Poch Carmela
  Pogorny Sofia
  Polacco
  Pollaci Marianna
  Pollastri Carlotta
  Poloni Cecilia
  Ponti-Dell’Armi Luigia
  Ponti Luigia
  Potentini Vittoria
  Pozzi Virginia
  Pozzoni Antonia
  Pozzoni Anastasia
  Puerari Elena

  Q

  Quien Anna

  R

  Ramirez Roldan Amalia
  Randisi Francesca
  Randisi Giuseppina
  Rastelli Teresa
  Rastrelli-Vicini contr.
  Re
  Reboux Melania
  Rebussini Adele
  Renè Jemmy
  Reatini Augusta
  Retorci Amal. co. Berenaggio
  Ricci Lela
  Ridolfi Elena
  Rivenez
  Rivoli Maria
  Rizarelli
  Rizzi
  Robiati
  Roffi Maria
  Ronzi Giuditta
  Rosa Elena
  Rosati Cleofa
  Rosavalle Clotilde
  Rosburg Idia
  Rossetti Catterina
  Rozen-Babet
  Rozès
  Rubeis Ersilia
  Rubini Concetta
  Ruffino Elisa
  Ruggiero Adele udinese
  Ruggiero Laura
  Ruiz Geltrude

  S

  Sabatini Giulia
  Sanchioli Giulia
  Sandrini-Borner Maria
  San Martino Elena contr.
  Sannazzaro
  Santini Fabris Luigia
  Santos Teresa
  Sanz Elena
  Sarolta de Bujanovics
  Sarpi
  Sartori Filippina
  Sassella
  Saurel Violetta
  Scalchi Sofia
  Scaratti Catterina
  Schmalz Augusta
  Schwartz Augusta
  Scorcelleti
  Scotti Antonia
  Sessi Matilde
  Setragni Margherita
  Sgargi Enrichetta
  Siebs Maria
  Simoncelli Laura
  Sinico Clarice
  Soardi Elvira
  Solustri Filomena
  Somigli Luigia
  Sonnieri
  Sorandi Eugenia
  Soverni Carolina
  Spezia Maria
  States
  Stefanini-Donzelli Elisa
  Stefanutti Carolina
  Stella Giovanna
  Stenini-Witten Cristina
  Stermich Adelaide di Zara
  Stoika Ernesta contr.
  Suardi-Repeto
  Susatti

  T

  Tabacchi Francesca
  Tagliana
  Tamanti-Morrato Santa
  Tamburini Giulia
  Tamburini Zaira
  Tancioni M.
  Tazzi contes. Lucchesi Adele
  Tedesco Fortunata
  Tencasoli Lena
  Tiberini Angela
  Tilli Virginia
  Tintorer M.
  Tiozzo Gemma
  Torricelli
  Tortolini Carlotta
  Tosi Claudia
  Trafford
  Trebelli-Zina Ida contr.
  Trebbi Olimpia
  Treves Ebe

  U

  Urbani Bianca

  V

  Valeria Albina inglese
  Vailesi Aurora
  Vanda-Miller Luisa
  Vander-Bek Lidonia
  Varisco Emilia
  Veralli M.
  Veratti Angela
  Vercolini Rosa
  Vestri
  Vialdi Carolina
  Viardot
  Viccini Luigia contr.
  Vinea-Paoletti Angela
  Vinta Sofia
  Visconti-Manzoni Giovanna
  Vitali Giuseppina
  Viviani Anna
  Viziach Emma
  Vizzani
  Vogry Fanny
  Volebele Giuseppa contr.
  Volpini Elisa

  W

  Waldmann Maria
  Weiser cont. Malacari Enr.
  Werner M.

  Z

  Zambelli Carolina
  Zambelli Maria
  Zamboni Angela
  Zamperini Carolina
  Zapucci
  Zavertal Matilde
  Zenoni Margherita
  Zerbini
  Ziska Clarice



INDICE GENERALE[184].


  A.

  Aaron di Cologna, — 254.
  Aaron Pier Francesco, — 206. 261.
  Aaron-Rascid, — 91. 280. II,   87.
  Aazem Schah, II, 91.
  Abaco Evaristo, — 205.
  Abbattini, — 176.
  Abbazìe, — 63. 77. 96.
  Abderrahman, II, 279.
  Abelardo Pietro, — 76. 210. 254.
  Abissinj, — 54. 248.
  Aboul Janfar, II, 88.
  Abusi, — 170. 171.
  Accademici canzonieri, — 135 e capitolo.
  Accademia di Parigi, — 300 e seg. II, 10. 15. 82.
  Accademie, — 122 e seg. 135. 142. 143. 153. 203. 237. 248. 268. II,
    59. 107. 242. 243.
  Accenti, — 34 e seg.
  Acerbi Domenico, II, 72.
  Achard Leone, II, 234
  Achille, — 17. 27. 243.
  Adami da Bolsena, — 212.
  Adolfato Andrea, — 225. 294.
  Adoramno monaco, — 265.
  Adraste, — 34. 247.
  Adriani F., — 204.
  Adriano m., — 133. 135.
  Adriano papa, — 72.
  Aelredo di Reverby, — 149.
  Aesticau, II, 133.
  Affabili, — 295. II, 97.
  Afola, — 103.
  Africa, — 54. 170. 278. II, 158. 184. 234.
  Agani, — 280.
  Agostini Lodovico, — 180. 234.
  Agostini Pietro, — 238. II, 64.
  Agostino (Sant’), — 15. 60. 61. 63. 200. 247. 251. 269. 279.
  Agretti Venceslao, II, 86.
  Agricola, — 204. II, 7.
  Agricola (gli), II, 238.
  Agrippina, — 249.
  Aguiari (la), II, 137.
  Aguzzani, — 188.
  Akid, — 280.
  Aimè Paris, — 299.
  Alari Adamo, II, 64.
  Alba (duca), — 268.
  Alba Isabella, II, 30. 57.
  Albanese m., — 296. II, 16. 23.
  Albani (la), II, 235.
  Albero Sebastiano, — 236.
  Alberti Domenico, — 157. 295.
  Albertini (la), II, 235.
  Albinoni Tommaso, — 156. 295.
  Albini F. M., II, 116
  Albo musicali, II, 116 e seg.
  Alboni Maria, II, 200. 208. 209. 213. 224. 235.
  Albrici Vincenzo, — 205.
  Alcibiade, — 27.
  Aldighieri, II, 227.
  Aldrighetti Sante, II, 63.
  Alemanni, — 35. 44. 97. 102. 118. 143. 161. II, 241.
  Alessandri Felice, — 239.
  Alessandro il Grande, — 55. 245. II, 242. 248.
  Alessandro di Russia, II, 215.
  Alessandro Severo, — 59.
  Alberto V. di Baviera, — 153.
  Alexander, — 31.
  Alfieri V., II, 157.
  Aliani Luigi, II, 137.
  Ali-Ibn-Nafi-Serjab, — 279.
  Allegri Gregorio, — 65. 187. 226. II, 137.
  Allegri (gli), II, 238.
  Almerico Teresa, — 226.
  Aloysio A. II, 72.
  Alpino Prospero, — 47.
  Alsazia, — 207. II, 179. 220. 238.
  Alypio, — 245. 269.
  Amadei, II, 34. 66.
  Amadori, — 295. II, 157.
  Amaretti Francesco, — 68.
  Amari, — 91.
  Amazzoni, — 91.
  Ambrogio (Sant’), — 48. 53. 60 e seg. 65. 72. 249. e seg. 279.
  America, — 55. 169. II, 50. 93. 105. 158. 175. 233.
  Ammanati, — 177.
  Amurat IV, II, 191.
  Anacreonte, — 30. II, 241.
  Anastasio (S.), — 279.
  Ancini Pietro, II, 17.
  Ancino Giovenale, — 183. 188.
  Anco M., — 55.
  Andalusia, — 279
  Andrea (fra), — 98.
  Andreff Nicola, II, 232.
  Andreozzi Gaetano. — 237.
  Anerio Felice, — 180.
  Anfione, — 24.
  Anfossi m., — 158. 234. 239. 260.
  Angeloni Carlo, II, 64.
  Angiolino, — 292. (V. Bontempi).
  Angleria Camillo, — 143. 153.
  Animuccia, — 151.
  Annibale padovano, — 101.
  Ansani, II, 137.
  Antegnati Costanzo, — 180.
  Antico Andrea, — 262.
  Antifonario, — 62. 73. 74. 175. 249. 253. 258
  Antologia N., II, 77. 120.
  Antonello da Caserta, — 100.
  Antonelli, II, 69.
  Antonietti m.. II, 85. 89.
  Antonino imp., — 247.
  Apelle, — 168.
  Apollo, — 20.
  Apolloni Gius., II, 27. 63. 156. 157.
  Applicazioni del canto, — 52. (capitolo).
  Appolloni Salvator, — 225.
  Aprile cantore, — 223. II, 22.
  Apuleio, — 16.
  Arabi, — 31. 48. 54. 91. 248. 278 e seg., II, 69. 86 e seg. 90.
  Aramburo Antonio, — 40. II, 234.
  Archadelt Jacques, — 111. 262.
  Archicembalo, — 264. 265.
  Archilei (la), II, 189.
  Arditi Pietro Luigi, II, 96.
  Areaga, — 267.
  Areti, — 53.
  Aretino, — 97.
  Argonauti, — 245.
  Arie, — 146. 187. 199. 214. 220. 227.
  Ariosto, — 111. II, 87. 161.
  Aristofane, — 34. 245.
  Aristotile, — 13. 31. 44. 45. 47. 53. 245.
  Aristoxene, — 21. 38. 48. 246. 247. 269. II, 14.
  Aristoxile, — 34.
  Armeni, — 247. 279.
  Armonio (fra), — 111.
  Arnolfo, — 99.
  Arrieta Emilio, II, 157.
  Arrigo, — 100.
  Arteaga, II, 272.
  Artemone, — 31.
  Artusio, — 135. 159. 269.
  Ascoli avv., — 255.
  Asger Hamerick, — 157. 160.
  Asia, — 32. 54. 90. 277. 279. II, 88. 152.
  Asiatici, — 18. 20. 32. 44.
  Asioli m., II, 16. 204.
  Asola G. Matteo, — 181.
  A-solo, — 114.
  Aspa Mario, II, 146.
  Aspri-Bolognotti, II, 53.
  Aspri-Bolognotti Orsola, II, 67. 162.
  Assiria, — 277.
  Assisi, — 96. 110. 150. II, 66.
  Astorga barone, — 117.
  Ateneo, — 17. 28. 47.
  Atlante, — 54.
  Atlantici, — 56.
  Auber Daniele, II, 33. 45. 79 e seg. 159. 207.
  Augusto imp., — 248.
  Aunarus, II, 90.
  Aurelj, — 157.
  Australia, — 170. 278. II,    95.
  Austria (arciduchi), — 131. 203. II, 191. 197. 263.
  Avana, II, 94.
  Avolio Giovanni, II, 70.
  Avveniristi, II, 99 e seg.
  Azaph, II, 88.
  Azzaiolo Filippo, — 141.

  B.

  Babbi, II, 137.
  Babbini, II, 137.
  Babilonia, — 277. II, 90.
  Bacchio, — 16. 108. 246.
  Bacchius sen., — 269.
  Baccusi Ippolito, — 150. 181. II, 59. 61.
  Bachmann m., — 108. 278.
  Bachmann ten., II, 97.
  Back, — 71. II, 146. 162.
  Backismo, II, 145.
  Bader Adamo, II, 232.
  Badia, — 212.
  Badoaro Federico, — 142.
  Bagdad, — 279.
  Baglivi dottor, — 106.
  Bai, — 65.
  Baini, — 64. 65. 82. 139. 158. 176. II, 7.
  Baiadères, II, 91.
  Balatka, II, 158.
  Balbi Adriano Mel., II, 19. 63. 167. 168.
  Balbi Lodovico, — 181.
  Balbo Vinc., — 244.
  Baldi (la) (Wandestein), II, 224.
  Baldi F. m., — 239.
  Baldissera Giacomo, II, 19.
  Balfe Maria Crampton Frias., II, 224. 232. 239.
  Balfe G. Im., II, 59. 232.
  Ballabene Gregorio, II, 101. 182.
  Ballate, — 97 e seg. 126. II, 114. 188.
  Baltazarini, — 89.
  Banchieri (fra), — 270.
  Bandicchi buffo, II, 229.
  Bandini Giov., — 126.
  Bannio G. Alberto, — 167. 266.
  Banti Brigida, II, 75. 137. 213.
  Baracchia, II, 88.
  Baragli ten., II, 222.
  Barazzoni Abele, II, 65.
  Barbaja, II, 42.
  Barbati Gaet., — 249.
  Barberini Francesco, — 120.
  Barbieri Amerino, — 272.
  Barbieri Gerolamo, II, 116.
  Barbieri Nini Marianna, II, 118. 235.
  Barcarole, II, 116.
  Barni (Vedi Grisi).
  Bardi — 56. II, 181.
  Bardi Giov. (del Vernio), — 135. 136. 139. 177. 178.
  Bardoni-Hasse Faustina, — 156. 157.
  Baretta, II, 53. 68.
  Barette, — 267.
  Bargoni, II, 56.
  Barini Giuseppe, — 218.
  Baritoni, II, 225 e seg.
  Barmecidi, II, 87.
  Baroilhet Paolo, II, 234.
  Bartoli Cosimo, — 102. II, 243.
  Bartoli Daniele, — 108.
  Bartolino (fra), — 100.
  Bartolomeo (fra), — 99.
  Bartolucci Rufino, — 150. 233.
  Barrè, II, 234.
  Basevi, 108. 272. II, 18.
  Basilj Francesco, — 234. 239.
  Bassan Zuane, — 113.
  Bassani, — 157.
  Bassi Achille, II, 85.
  Bassi buffo, II, 229.
  Bassi (voce), II, 219 e seg.
  Battù Pantaleo, II, 159.
  Baunio, — 267.
  Baverini Francesco, — 144.
  Baviera, — 143. 176. 205. 264. II, 223.
  Bazzanella, II, 117.
  Bazzini Ant., II, 46. 65.
  Bayle Pietro, — 179. 267.
  Beccanuvolo Lucrezio, — 122.
  Beck, II, 178. 232.
  Beeker, II, 232.
  Beer, II, 159.
  Beethoven, — 37. 228. 229. 234. II, 38. 102. 146. 177. 178. 206.
  Beeherata, — 244.
  Beiriot, — 274. II, 137.
  Belgio (Vedi Fiamminghi e Mattrises).
  Bell, — 305.
  Bellamano francese, — 183. II,59.
  Bellardo Pietro, — 113.
  Bellegarde gen., II, 60.
  Bellermann, — 250.
  Bellincioni Cesare, II, 229.
  Bellini bar., II, 227.
  Bellini (i), II, 238.
  Bellini Vincenzo, — 216. 241. II, 47. 69. 138. 140 e seg. 143. 146.
    156.
  Bellino-Gian, — 260. II, 23.
  Belloc Teresa, II, 137. 201. 235.
  Ben, II, 88.
  Benaja, II, 88.
  Benazet, — 106.
  Benda Giorgio, II, 145.
  Bendazzi (la), II, 235.
  Benedetti, II, 86.
  Benedettini, — 62.
  Benedetto cantore, — 72.
  Benedetto (San), — 62. 63.
  Benedetto XIV, II, 66.
  Benedict Giulio, II, 96, 159.
  Benelli, II, 19.
  Beneventano, II, 227.
  Benintendi (Vedi Tavola).
  Bennati dottor, II, 14. 17. 83.
  Benvenuta, II, 58.
  Benvenuto di S. Raffaele, — 276.
  Benvignani, II, 97.
  Benzi Anna, — 155.
  Benzoni (la), II, 235.
  Beozia, — 29.
  Beranek, II, 97.
  Berardi, — 97.
  Berchen Jachetto, — 111.
  Berengaria, — 90.
  Bergamasco, — 276.
  Bergamo Ant., — 225.
  Bergreen A. P., II, 21.
  Berlijn Guglielmo, II, 159.
  Berlioz E., — 301. II, 38. 119.
  Bernabei Ercole, — 236.
  Bernacchi Ant., — 156
  Bernacchi bolognese, — 295 II, 7. 68. 137. 195.
  Bernacovich, II, 64.
  Bernardi, II, 34.
  Bernardini Andrea, II, 64. 116.
  Bernardino (minor.), — 142.
  Bernardo da Reggio, — 110. 152.
  Bernardo Michele, — 225.
  Bernardo (Santo), — 62.
  Berry (duchi), — 238.
  Bertaggia Dom., II, 72.
  Bertani Lelio, — 140.
  Bertati Giovanni, — 227.
  Berthelier, II, 229.
  Bertinelli Ant., — 122.
  Bertini, II, 67.
  Bertinotti, II, 64.
  Bertoli, — 212.
  Bertolini Ferdinando, II, 71.
  Bertoni Ferdin., — 225. 226. 233. 236. 240. 260. II, 61.
  Bertotti Ottavio (Scamozzi), — 123.
  Bertrand Olimpia, II, 83. 233.
  Bertrando (card.), — 120.
  Besanzoni Ferdin., II, 93.
  Besl, — 280.
  Bethizy, — 276.
  Bettelheim (la), II, 178. 231.
  Bettinelli, — 180.
  Bettini Stefano (Fornasino), — 153.
  Biaggi Aless., — 259. II, 46. 50. 56. 77. 119. 120. 168. 171. 231.
  Biagioli Ant., II, 93.
  Bianca (regina), — 93.
  Bianco Cristoforo, — 113.
  Bianco Pietro Ant., — 181.
  Bianchi Francesco, — 225. 236. II, 60. 61.
  Biancolini (la), II, 234.
  Biava Samuele, II, 18.
  Biego Paolo, — 156.
  Biffi Ant., — 156.
  Bigaglia Dionigio, — 157.
  Billington (Weschsell) Elisabetta, II, 208. 213. 230.
  Binaghi, II, 53.
  Binchois, — 280.
  Biordi, — 222.
  Biot, — 13.
  Bird William, II, 91.
  Bissi, — 295.
  Biundi, — 91.
  Blainville, — 268.
  Blasco Federico, II, 234.
  Blasis Virginia, II, 235.
  Blume Bianca, II, 231.
  Bocca (organo), — 38. 45. 46.
  Boccabadati Luigia, II, 235.
  Boccaccio Giov., — 98. 207.
  Boccherini lucchese, — 188. 274. 275. II, 64.
  Bochard, — 56.
  Boema (la), II, 97.
  Boemo (fra), — 110. 150. 203. 233. II, 66
  Boequillon-Wilhelm, — 305.
  Boësseto, — 113.
  Boezio, — 115. 244. 246. 264. 292 II, 5.
  Boisgelou, — 268.
  Boito Arrigo, II, 171.
  Bolognesi Gaspare, — 103.
  Bolzoni Giov., II, 65.
  Bombardi Paolo, II, 63.
  Bona (card.), — 270.
  Bona m., II, 18. 53.
  Bonamici, II, 49.
  Bonardo Francesco, — 183.
  Bonello, — 80.
  Boner di Berna, — 119.
  Bonifacio (San), — 63.
  Boniventi Gius., — 156.
  Bonnheur, II, 79.
  Bonno Giuseppe, — 246.
  Bononcini, — 270.
  Bontempi A., — 195. 267. 270. 292. 293. II, 7.
  Borella Maurizio, II, 229.
  Borghi (la), II, 235.
  Borra Cristoforo, — 121.
  Borromeo Carlo, — 188.
  Borromeo Federico, — 188. e seg.
  Borroni Alessandro, — 150. II, 66.
  Borsi, II, 94.
  Bortolameo d’Arzignano, II, 243.
  Bortolini Giacomo, II, 72.
  Bosa Eugenio, II, 76.
  Boschetti Gerolamo, — 188.
  Boschi Francesca, II, 248.
  Boschi Gius., — 156.
  Bosisio (la), II, 95.
  Bossola, II, 64.
  Bottero Alessandro, II, 229.
  Bottesini Ant., II, 96. 152.
  Bottrigari, — 267.
  Botturini Mattia, — 182.
  Bouchardè ten., II, 234.
  Bouchè, II, 234.
  Boucheron Enrico, — 303. II, 18. 55. 112.
  Boulanger-Küntze, II, 123. 124.
  Bourdelot, — 277.
  Bourdelot medico, — 103.
  Bouther, — 60.
  Bozzano Emilio, II, 64.
  Braga Gaetano, II, 65. 157.
  Brambilla Amalia, II, 235.
  Brambilla Antonietta, II, 30. 235.
  Brambilla Maria, II, 235.
  Brambilla Teresa, II, 235.
  Brams Giov., II, 160.
  Branchu (la), II, 122. 234.
  Brandt (la), II, 231.
  Brasile, — 278. II, 158. 223.
  Bregozzo Felice, — 239.
  Bremond, II, 234.
  Brenon, — 100.
  Breton Ernesto, — 278.
  Brettschneider, II, 232.
  Briçneo Lodovico, — 113.
  Brida Giano, II, 53.
  Brigadi Bortolo, II, 62.
  Brignoli ten., II, 222.
  Briol (la), II, 233.
  Brioschi (Vedi Farinelli).
  Britannico Angelo, — 264.
  Briti Paolo, II, 74.
  Brivio, — 295. II, 34. 137.
  Brocchi buffo, II, 201.
  Brossard, — 255. 267. 268. 271.
  Bruk, II, 159.
  Brunetti, II, 69.
  Bruni, II, 53.
  Brusa G. Francesco, — 156. 236.
  Buccelli, II, 70.
  Buffi-cantanti, II, 146. 228 e seg.
  Buffon, — 48.
  Buffoni (giullari), — 49. 98. 105. 126
  Bülow (de) Haus, II, 159. 232.
  Bulterini ten., II, 222.
  Bunnef E., II, 159.
  Buononcini, — 198. 212. II, 213.
  Buranello (Vedi Galuppi.)
  Burki-Benedetti Albina, II, 86.
  Burney dottor, — 50. 267. 276. II, 7. 20. 235.
  Burro, — 248.
  Burtius Nicola, — 264.
  Busi, II, 69.
  Busti, II, 22.
  Buus Giacomo, — 102. 111.
  Buzzola Ant., II, 62. 72. 98. 115. 116.
  Buzzoleni Giov., — 156.
  Byron, II, 140.

  C.

  Cabel, — 43. II, 234.
  Caccini figlia, — 135. II, 113. 162. 189.
  Caccini Giulio, — 124. 135 e seg. 139. 145. 151. 186. 187. 199.
    200. II, 113. 189.
  Cadmo, — 24.
  Cafara Pasquale, — 236.
  Caffarelli, II, 137. 195. 209.
  Caffi Francesco, II, 61.
  Cagnoni Antonio, II, 116. 155. 156.
  Cagnoni Fratelli, II, 116.
  Cahusac, — 29. 30.
  Cairo, II, 151 e seg.
  Cajanj, II, 16.
  Caldara, — 156. 260.
  Caldei, — 277. II, 241.
  Calderino Gian Francesco, — 141.
  Calegari Antonio, — 158. II, 14. 61. 63.
  Calegari Luigi, — 238.
  Caletti-Bruni Pier Francesco (detto Cavalli), — 146. 154. 160. 187.
    195. 206. 212. 236. II, 188.
  Califfi, — 280, II, 87 e seg.
  Calliope, — 245.
  Calmo Andrea, — 102. II, 243.
  Calvi, — 264.
  Calvino Giov., — 263. 281.
  Calzolari ten., II, 84.
  Cambert, — 194. 120.
  Cambiaggio buffo, II, 229.
  Cambiasi Pompeo, — 272. 273.
  Cambio Perissone, — 142.
  Camden, — 56.
  Cammarano Lodov., II, 85.
  Campana, II, 96. 116.
  Campbell Otway Liza (o Florella Matilde), II, 233.
  Campra Andrea, — 193. 196. 198. 294.
  Camps y Soler Oscar, II, 103. 158. 165.
  Canadà, — 278.
  Canal prof., II, 21. 63.
  Candia (Vedi Mario).
  Candiotti G. B. (o Candotti), — 303. II, 64.
  Candola Anna, — 110.
  Canoni, — 111. (Vedi Canzoni), — 205.
  Canneti Francesco, II, 19. 26. 27. 63. 116.
  Cantanti del passato secolo e I.ª metà del presente, II, 185 e
    capit. 251 e seg.
  Cantanti contemporanei, II, 218. capit. e 263.
  Cantate, — 192. II, 182 e seg.
  Cantici Sacri, — 31. 57. 61. 65. 66. 164. 210. 224 e seg. 247 e
    seg. 278. II, 186 e seg.
  Canti turchi, II, 88. 89. 152.
  Canto Ambrosiano (piano), — 62. 72. 150. 151.
  Canto buffo, — 193. 215. 220. 227. II, 146.
  Canto drammatico (Vedi Dramma lirico).
  Canto definizione, — 17.
  Canto Gregoriano (fermo), — 62. 176. 250. 251. 254. II, 187.
  Canto romantico, — 90 e seg. 94. 95 e seg. 125.
  Canto romanzesco, — 125 e seg. 135 e seg.
  Cantù Cesare, — 118. 250. II, 51.
  Canzoni antiche, — 57. 75. 79. 80. 81. 90. 92. 102. 104. 112. 116.
    140. 144. 277 e seg. II, 73. 116. 188. 213.
  Canzoniere Ebraico, — 92. (Vedi Canz. Ant.)
  Canzoniere moderno, II, 115 e seg.
  Capanna m., II, 69.
  Capocelatro Vincenzo, II, 118.
  Capoul ten., II, 234.
  Cappella Marciana, — 100. 102. 151. 153. 158. 260. II, 57 e seg.
    71 e seg.
  Cappella S. Petronio, — 103. 110. 151. 152. 153.
  Cappella Vaticana (Vedi Scuola di Roma).
  Cappelle (Vedi Scuole).
  Cappelli Antonio, — 104. 116.
  Cappuzzo Gius., — 225.
  Capua Marcello, — 237.
  Capuci (fra), — 116. II, 116.
  Caputo Carlo, — 302 e seg. II, 24. 49. 106.
  Carafa Michele, II, 48. 82. 83. 154.
  Caraibi, — 278.
  Caracciolo (le), II, 235. 239.
  Caravoglia Luigia, II, 235.
  Carcano Gius., II, 60. 61.
  Carducci Giosuè, — 104. 116.
  Carelli Beniamino, — 304. II, 11. 20. 23. 49. 204.
  Caresana Andrea, — 156.
  Carestini, II, 213.
  Carini Leonia, II, 233.
  Carissimi, — 144. 147. 160. 186. 187. 190 e seg. 199. 209. 224.
    292. II, 52. 135. 136.
  Carlo X., II, 68. 139.
  Carlo Magno, — 72. 73. 74. 91. 251. 278. II, 161.
  Carlo IV., — 118.
  Carlo VI., — 111. 203. II, 223.
  Carlo Temerario, — 118.
  Carmelito (fra), — 98.
  Caron, II, 234.
  Carradori (la), II, 235.
  Carrer, II, 62.
  Carrion, Emanuele, II, 221. 234.
  Cartagenova, II, 227.
  Caruso Luigi, — 237.
  Carvalho, II, 234.
  Casali, — 164. 269. II, 137.
  Casalini Andrea, II, 258 (nota).
  Casammata, II, 50.
  Casamorta L. F., — 302. 304. II, 22. 56.
  Casanova Paolo, — 141.
  Casarini, II, 69.
  Casella, — 96. 117. 149.
  Casorti Alessandro, — 84.
  Cassiodoro, — 247.
  Castellani Andrea ten., II, 63
  Castellani (i), II, 238.
  Castelli buffo, II, 229.
  Castelmary, II, 234.
  Castlereag, II, 213.
  Castle William, II, 233.
  Castrati, — 47, e seg. II, 189 e seg. 226.
  Castrone Marchesi (de), — 139. 201.
  Casulana Maddalena, II, 243.
  Catalani (la), — 210. 224. II, 12. 60. 75. 121. 192. 197. 200.
    203. 208 e seg. 224. 235.
  Catalogna, — 78.
  Catani Filippo, II, 85. 229.
  Catani Giuseppe, II, 85.
  Catinello Dom., — 103.
  Catruffo G., II, 14. 18.
  Cattaneo Eustachio, II, 16.
  Catterina di Russia, — 227. II,6. 192. 225.
  Caudella Francesco, II, 85.
  Cavaliere (del) Emilio, — 135. 136. 144. 187.
  Cavalli Federico, — 154.
  Cavalli Francesco, — 154. 155. 187. 195. II, 188. (V. Caletti).
  Cavazzoni Gerolamo, — 120.
  Cavisago buffo, II, 229.
  Cavos Alberto. — 225. II, 60.
  Cavos Catterino, — 225.
  Ceccarelli Odoardo, — 145.
  Cecconi Teresa, II, 235.
  Cecilia (Santa), — 59.
  Celano (fra), — 65. 96.
  Celentano Luigi, II, 127. 134.
  Celsi Francesco doge, — 100.
  Censorino, — 246.
  Centone gregoriano, — 61.
  Cesare, — 56. 57.
  Cestari Angelo, II, 72.
  Cesti m., — 155. 212. II, 188.
  Champollion, — 277.
  Chanam, II, 91.
  Chancy (de), — 113.
  Chapin, II, 158.
  Chardin, — 56.
  Chariot, II, 79.
  Charket, II, 92.
  Chateaubriand, — 248.
  Chenanìa, II, 88.
  Cherubini M. L., — 228. 229. 233. 235. II, 22. 47. 78 e seg. 96.
    148. 182.
  Chevè Emilio, — 299 e seg. II, 20. 22. 183.
  Chevè Nanine, — 299.
  Chiavi, — 253. 258.
  Chiericato Lucrezia, — 102. II, 243.
  Chiesa Cristiana, — 33. 58 e seg. 114. 248. 249. 278. II, 111.
    116. 149. 154 e seg. 156. 162. 186.
  Chio (1º. Conservatorio), — 87.
  Chiocchi Gaetano, II, 63.
  Chiosi Giovanni, — 153.
  Chiozzotto (Vedi Croce).
  Chinone, — 244.
  Chiveli Oglu-Zorgaki, II, 89.
  Cholmeley (la), II, 233.
  Chorèe, II, 91.
  Choron Alessandro S., — 299. 303 e seg. II, 21. 22. 121 e seg.
  Ciampi Giuseppe, II, 229.
  Ciccarelli Angelo, II, 48.
  Cicconetti Filippo, II, 142.
  Cicerone, — 246.
  Cicogna Giovanni, — 98. 205.
  Cid, — 92.
  Cimarosa Dom., — 158. 160. 164. 220. 223. 224. 227 e seg.
    233 e seg. II, 48. 56. 84. 115. 136. 146. 150. 193. 212.
    221. 235.
  Cimatore Michele, — 103. 152. II, 60.
  Cimoso Guido, — 272. II, 17. 70.
  Cinesi (China), — 12. 13. 54. 170. 243. 277. 278. II, 93.
  Cinti-Damoreau, II, 233.
  Cipriano Annibale, — 142. 181.
  Cirillo Francesco, — 276.
  Ciullo d’Alcamo, — 79.
  Clarke (Vedi Dumilatre).
  Claudino (o Glaudino cantore), — 105.
  Clearco, — 47.
  Clement, — 272.
  Clemente IX, — 120.
  Clemente XIV, — 297.
  Clemente (San), — 25.
  Clementi, II, 98. 136. 147.
  Cheron (la) d’Anspach, II, 224.
  Coburlotti Matteo, — 153.
  Cocchi Gioacchino, 234. 239.
  Coccia Carlo, II, 146.
  Coccon Nicolò, II, 72.
  Codecasa Giovanna, II, 235.
  Codificazione rituale, — 62 (Vedi Antifonario).
  Cohen Giulio, II, 159.
  Coy, II, 234.
  Colbran-Rossini, II, 234.
  Coletti Agostino, — 156.
  Coletti Antonio, — 156.
  Coletti Filippo, II, 117.
  Colle, — 31.
  Colleoni Gerolamo, — 122.
  Colletti m., II, 50.
  Colmach (Vedi Vaneri).
  Colombani, — 103.
  Colombano (fra), — 63.
  Colombo Cristoforo, — 55.
  Colonna Angelo, II, 75.
  Colson (la), II, 232.
  Coltellini (la), II, 204.
  Comincini Francesco, II, 64.
  Commings ten., II, 233.
  Compositori primi, — 20 e seg.e capitolo.
  Compositori progressivi (parte antica) ai primi 13 capitoli.
  Compositori progressivi (parte nuova) II, 105. 135 e capitolo.
  Concilio di Trento, — 82. 263.
  Concilio Ecum. di Roma (1871), — 220.
  Condè, — 91.
  Condrochio, — 45.
  Conforti Gian Lucca, — 158.
  Confortini, II, 63.
  Confucio, — 72.
  Congresso Medico, II, 17. 83.
  Congresso Musicale, II, 55.
  Congresso Pedagogico, II, 106.
  Connea (la), II, 220.
  Conservatorj, — 148. 233. 260. II, 29 e seg. 45 e seg. 49. 76
    (Vedi Scuole).
  Consolini, II, 18.
  Contarini Gerolamo, — 184. II, 60.
  Contarini Marco, — 184. II, 60.
  Contarini Pietro, — 101.
  Conti abate m., II, 198.
  Conti cantante veronese, II, 63. 219.
  Conti Carlo, II, 48.
  Conti Claudio, II, 50.
  Conti Gioacchino (Vedi Gizzielo).
  Conti (i), II, 238.
  Contralti, II, 226 e seg.
  Cook (i), II, 233.
  Coppola Antonio, II, 118.
  Coppola m., II, 86.
  Copti, — 279.
  Corali, — 101. 148. 250. 258. 270. 279. 296. 300 e seg. II, 52.
    53. 92. 186.
  Corani Ida, II, 30.
  Corano, — 92. II, 86.
  Cordiali, II, 64.
  Corebo re, — 245.
  Coreggioli buffo, II, 229.
  Coreisciti, — 31. II, 87.
  Corelli, — 196 e seg. 274.
  Cori (Corodia), — 31. 47. 58. 90. 97. 101. 115. 148. 160. 177.
    247. 300. II, 52. 71. 109. 162. 173 e capitolo, 223. 242.
  Corneille, — 164.
  Corner Elena, II, 61.
  Corporazioni, — 117 (Vedi Meistersinger).
  Corrado da Pistoja, — 100.
  Correnti Cesare, II, 55.
  Correr Pietro, — 184.
  Corsi cantante, II, 227.
  Corsi (i), II, 238.
  Corsi Jacopo, — 135. 138.
  Cortelazzi Luigi, — 70. 116.
  Cortona Angelo, — 158.
  Corvus Novocomensis, — 142.
  Cosatti Anna, II, 235.
  Coselli cantante, II, 143. 219.
  Costa Michele, II, 96. 174
  Costa napolet., II, 49.
  Costoli, II, 217.
  Cotogni Antonio, II, 228.
  Cottellini (la), — 204.
  Cottone, II, 227.
  Coucy, — 93.
  Couperin, — 268.
  Coussemaker, — 258.
  Crescentini Adolfo, II, 69.
  Crescentini Girolamo. — 109. II, 18. 22. 40. 49. 157. 192. 197.
    200.
  Crescimanno G., II, 157.
  Cristina di Svezia, — 105. 211.
  Criuli Giovanni, — 143.
  Crivelli (i), II, 18. 219. 221. 239.
  Croce Giovanni (Chiozzotto), — 103. 140. 150. 163. 186. 187.
    II, 61. 136.
  Crociate, — 89. 90 e seg. II, 74.
  Cruvelli (le), — 43. II, 224. 225. 239.
  Cruvelli Vigier, II, 224.
  Cssillag, II, 231.
  Cubli Antonia, II, 61.
  Curven, — 305.
  Curzio, — 55.
  Cusin Victor, II, 172.
  Cuvier, II, 22.
  Cuzzani Luigi, II, 86.
  Cuzzani ten. II, 219. 221.
  Cuzzoni Francesca, — 156.
  Cuzzoni (la), II, 137. 213.

  D.

  D’Alembert, — 216. 268. II, 17. 37.
  Dall’Arpa Giov., — 181.
  Dalla Gostena G. B., 181.
  Dalla Rovere card., — 120.
  Dalla Viola Francesco, — 142. 144.
  Dal Liuto Antonio, Francesco, II, 243.
  Dall’Ongaro Francesco, II, 50. 99.
  Dall’Oro Biasio, II, 243.
  Dalmazia, II, 85. 224. 232.
  Dal Medico, — 81.
  Dal Torso V. E., II, 155.
  Dal Violino Antonio, II, 243.
  Dal Violino Girolamo, II, 243.
  Dal Violino Vincenzo, II, 243.
  Dal Violino Zuanantonio, II, 243.
  Damasco (cantatrici di), II, 140.
  Damaso papa, — 60.
  Damone, II, 246.
  Damoreau, II, 122. 208. 234.
  Dandolo Francesco, — 121.
  Danery Alix, II, 233.
  Danimarca, — 104. II, 85. 160.
  Dante Allighieri, — 20. 48. 78. 79. 95 e seg. 149. II, 70. 136.
  Da Ponte Lorenzo, — 230.
  Da Prato Antonio, — 115.
  D’Arcais, II, 46. 49. 50. 56. 169. 171.
  D’Argy capit., — 300.
  D’Arienzo Nicola, II, 49.
  Dario, II, 140.
  Dario Istaspe, — 245.
  Darwin, — 23.
  Dattalo, — 100.
  Dattari Ghinolfo, — 141.
  Davide (re), — 24. 28. 32. 105. 149. 165. 210. II, 88.
  David Giacomo, II, 75. 137. 142. 219.
  David Feliciano, — 301. II, 158,
  David (i), II, 239.
  David mod. cant, II, 228.
  Davidoff (la), II, 232.
  Davila Antonio, II, 53.
  D’Azeglio Massimo, II, 51. 172.
  De Angeli Felice, — 63.
  De Azula, II, 222.
  De Baillou Marinoni, II, 233.
  De Bassini Achille, II, 227.
  De Bassini (1), II, 239.
  De Benedetti Salvatore, — 92.
  Debora, — 24. II, 162.
  De Carlo, II, 70.
  De Carlo Leonardo, II, 70.
  De Cauroy Eustachio, — 193.269.
  De Coussu, — 192. 269.
  De Ferrari m., II, 156.
  De Garaudè Alessio, II, 18.
  De Giosa Nicola, II, 49. 116. 156.
  De Giovanni, II, 53.
  De Giuli-Borsi (le), II, 94. 235. 239.
  De Goizueta J. M., II, 40. 158.
  De Grandi, II, 70.
  De Grecis, II, 229.
  De Höve Irma, II, 233.
  De la Borde, — 277.
  De la Fage, — 303. II, 34. 192.
  De la Laubére, — 277. II, 91.
  De la Serra Olimpio, II, 87.
  Delecluz, II, 119.
  Delfico, II, 49.
  Delfo, — 24.
  Della Robbia, II, 23.
  De Lorenzi G. B., II, 120.
  Del Sante Francesco, II, 82.
  Delurie Luigi, II, 94. 234.
  Delurie o Deleurie (Vedi De Giuli-Borsi).
  Demacchi, II, 64.
  De Marchesi Castrone Salvatore, II, 19. 35. 83.
  De Marchesi Matilde, II, 36. 83.
  De Marchi, II, 16.
  Demerich (la), II, 13. 137. 230. 234.
  Demodoco, — 244.
  Demontiosus, — 168.
  Demos, II, 267.
  Demostene, — 45.
  De Muri Giovanni, — 195. 256 e seg. 270.
  Denina, II, 64.
  De Ponte Giacomo, — 181.
  De Pretis Benedetto, II, 58.
  Derivis cantore, II, 122. 234.
  De Roissy mª., II, 233.
  De Rosa Vincenzo, II, 221.
  De Rossi Pino, — 207.
  Dervì, II, 192.
  De Sanctos Giovanni, — 50. II, 200.
  Descartes, — 269.
  Descouret, — 107.
  De Simone, — 81.
  Desirò Domenico, II, 70.
  Desmarets Enrico, — 196.
  Despares, — 43.
  Dessy G. B., II, 64.
  Dessof m., II, 177.
  D’Este, II, 67.
  Destin Maria, II, 159.
  Deuteronomio, — 48.
  Deval Antonio (Vedi Duval).
  Devasini m., II, 96. 152.
  De Vigne Alessandro, II, 159.
  De Zorzi m., II, 275.
  Dicearco, — 31.
  Diday, II, 14.
  Didimo, — 245.
  Didot, II, 234.
  Diedo patriar., — 265.
  Dietrich, II, 220.
  Difiletoff, II, 83.
  Dillosock, II, 91.
  D’Ilsenau-Röder, II, 97.
  Di Monte Filippo, — 181.
  Dinanir, — 280.
  D’India Sigismondo, — 183.
  Diodoro, — 21. 25. 27. 245.
  Dionigi d’Alicarnasso, — 35.
  Discorso della Mus., — 35 e seg.
  Dobre (la), II, 230.
  Dodart, — 47. II, 14.
  Doglioni, — 267.
  Dokak, II, 87.
  Dolzan, II, 117.
  Domenico di Nola, — 150.
  Domiziano, — 57.
  Donà Andrea, II, 63.
  Donaducci, II, 62.
  Donato Baldassare, — 103. 141. 142. 181.
  Donato da Cascia, — 98.
  Donery Alix (o Danery), II, 233.
  Doni Francesco, — 96. 137. 177. 267. 268. II, 243.
  Donizzetti Gaetano, — 107. 109. 234. 239 e seg. 298. II, 15.
    16. 73. 81. 82. 98. 115. 120. 138. 142 e seg.
  Donizzetti Giuseppe, II, 89.
  Donzelli, II, 219. 221.
  Dorati Nicolò, — 181.
  Dori, — 27.
  Dory (la), II, 83. 233.
  D’Oro Senuccio, — 245.
  Dorus, — 43.
  Dos-Reis Camilla, II, 30. 234.
  Dozy, — 91.
  Draghi, — 212.
  Dragonetti Domenico, II, 75.
  Dramma lirico, 127. 135 e seg. 157 e seg. II, 188. 242.
  Draxler cant., II, 178.
  Druidi, — 56. 87.
  Duban, II, 97.
  Dubois, — 177.
  Du Bos ab., — 197.
  Dubsky de Wittenau, II, 97.
  Dufay, — 64. 280. 281.
  Dumilatre-Clarke, II, 224.
  Duni Eginio, — 198. 217. 220. 234. 237. 281. II, 82.
  Dunstaple, — 280.
  Duperon, II, 230.
  Dupont, II, 181. 183.
  Duprez, II, 13. 28. 42. 43. 121 e seg. 137. 143. 146. 219. 234.
  Durante, — 160. 164. 211. 212. 220. 223. 224. 233. 234. 237.
    238. 275. 292. II, 45. 47. 136. 193.
  Durastanti Margherita, — 156.
  Durer Alberto, — 118.
  Dustmann (la), II, 178.
  Dutrochet, II, 11.
  Duval, II, 72.

  E.

  Eberle, — 107. II, 100.
  Ebio Suleiman, II, 87.
  Ebrei, — 25 e seg. 55. 58. 92. 247. 248. II, 173. 241.
  Edwort, II, 181.
  Effetti, — 51. 104 e seg.
  Egardo, — 100.
  Egidio (fra), — 100.
  Eginardo notaro, — 73.
  Egizj, — 21. 24 e seg. 48. 54. 57. 58. 87. 170. 245. 247. 277.
    278. II, 152 e seg. 173 e seg. 241.
  Egizio di Bologna, — 295, II, 7.
  Elementi del canto, — 35.
  Elenco cantanti, II, 197. 231. 251. 263.
  Eliab, II, 88.
  El Fârâbi, — 279.
  El Kindi (Ahmed), — 279.
  Eliplhein, II, 88.
  Elisabetta d’Inghilterra, — 119. 313.
  Elisabetta di Spagna, — 293.
  Elwart, — 301.
  Emanuele Filiberto, — 119.
  Encina (de la) Giov., — 119.
  Engst, II, 97.
  Enrico III., — 104. 140.
  Enrico IV., — 146. 186. 251.
  Epifanio, — 48.
  Epigonio, — 245.
  Erasmo, — 263.
  Ercinia, — 57.
  Erico XIII., — 104.
  Erifano, — 30.
  Erinna, — 30.
  Ermète, — 11. 115. 243.
  Ermia, — 53.
  Erminio, II, 175.
  Ermione, — 24.
  Ernesto di Brünsvick, — 184.
  Erodoro, — 28.
  Erodoto, — 25.
  Escalante (la), II, 233.
  Esculapio, — 244.
  Esdra, — 255.
  Esercitazioni vocali, — 45.
  Esiodo, — 29. 32.
  Eslava m., II, 158.
  Estrées card., — 198.
  Ethan, II, 88.
  Etiopi, — 279.
  Euchero, — 304.
  Euclide, — 246. 269.
  Eulero Leonardo, — 276.
  Eunomio, — 48.
  Eunuchi, — 48.
  Eximeno, — 97. 267. 276. II, 198.

  F.

  Fabbrica (la), II, 30.
  Fabbrica Luigi, II, 180.
  Fabiani, II, 118.
  Fabio Ermagora, II, 19.
  Fabricio d’Acquapendente, — 47.
  Fabris Vincenzo, — 236.
  Faccio m., II, 153.
  Faggi Carlo, — 225. II, 62.
  Faydit Anselmo, — 119.
  Fallar, II, 234.
  Fancelli Giuseppe, II, 153. 221.
  Fantoni-Castrucci, — 77. 78.
  Fantoni Gabriele, — 44. II, 22. 63.
  Fantoni Famiglia, — 208. II, 238.
  Fantoni Nicola, — 207. II, 82.
  Fantoni (opere), — 11. 33. 235. 248. 265. II, 31. 60. 74. 161.
    210.
  Fapanni Francesco, II, 57. 61. 62. 73.
  Farina Luigi, II, 63.
  Farinelli Carlo (Brioschi), — 106. 223. 225. 293 e seg. 235. 237.
  Farinelli Giusep., — 237. 239. 294.
  Farnesi (duchi), — 121.
  Fasch, II, 182.
  Fasya Aurelio, — 112.
  Fattori Tommaso, II, 229.
  Faure, II, 234.
  Faustina (la), — 137. 195. 213.
  Favelli Stefania, II, 224. 235.
  Favi, II, 117.
  Fedeli, II, 62.
  Federici, II, 201.
  Federico Barbarossa, — 77.
  Federico Guglielmo Imper., II, 177.
  Federico il Grande, — 109. II, 192. 197.
  Federico II., — 92.
  Fedi, II, 7. 34.
  Femonea, — 24. II, 161.
  Fenaroli, — 223. II, 47.
  Fenicia, — 48. 277.
  Fenio, — 245.
  Fenzi, II, 85.
  Feo Francesco, — 164. 213. 217. II, 34. 136. 137.
  Ferécrate, — 246.
  Ferlotti Santina, II, 235. 239.
  Fernandez, II, 234.
  Ferni (le), II, 235. 239.
  Ferrabosco D. M., — 103. 120. 152.
  Ferrara, — 91.
  Ferrari Adolfo, II, 96.
  Ferrari Carolina, II, 162.
  Ferrari Gio. Batt., II, 153.
  Ferrary Rodigino, II, 54.
  Ferrario Giuseppe, — 108.
  Ferraro dottor, — 81.
  Ferrein, — 47. II, 22.
  Ferretti Giovanni, — 181.
  Ferri Baldassare, — 293. II, 7. 34.
  Ferrucci Luigi, II, 105. 226.
  Fertina, II, 87.
  Festus, — 56. 158.
  Fétis F. J., — 177. 271. 280. 303. II, 21. 35. 45. 139. 160.
  Fiamminghi, — 101. 102. 104. 110. 262. II, 78. 159. 183.2 23. 233.
  Fidia, II, 246.
  Fiera dell’Asino, — 64.
  Fiesco Giulio, — 142. 181.
  Filadelfo, — 28.
  Filatoff de, II, 232.
  Filippi Filippo, II, 29. 30. 52. 103. 104. 169.
  Filippi Matilde, II, 233.
  Filippine isole, II, 93.
  Filippo V., — 106. 293. II, 191.
  Filippotto di Caserta, — 100.
  Fillago Carlo (Mentini), — 154.
  Filologia del canto, — 35 e seg.
  Filosofia del canto, — 69. 221. II, 112.
  Filoxene, — 145.
  Finch Anna, II, 233.
  Fingallo, II, 175.
  Fioravanti (i), II, 238.
  Fioravanti Valentino m., — 237.
  Fioravanti Valentino buffo, II, 229.
  Fisifo, — 258.
  Fisiologia del canto, — 47 e seg. 218. II, 8. 10 e seg. 14. 20.
    23. 24. 40 e seg. 189.
  Fitè-Goula, II, 234.
  Flavio Giuseppe, — 28.
  Fiorella Matilde, II, 233.
  Florilegio (giornale), — 110.
  Florimo Francesco, II, 45. 47. 48. 116. 142. 229.
  Flory Giuseppina, II, 239.
  Flotow conte m., II, 148. 158. 166.
  Föder-Mainveille, II, 206. 208. 230.
  Fogliano Lodovico, — 261.
  Fo-hi, — 23.
  Folchetto, — 125.
  Foli, — 96.
  Folinea Raffaelo, II, 22.
  Fontanili Giusto, — 123.
  Formenton Francesco, — 123. 273.
  Fornari Vincenzo, II, 50.
  Foroni m., II, 63. 85.
  Foscarini, — 178. 267.
  Foschini G. F., II, 89.
  Fossard, — 154.
  Fossis (de) Pietro, — 101. 110. 111.
  Francescani, — 65. 96. 99.
  Francesco d’Assisi, — 96. II, 66.
  Francesco da Pesaro, — 100.
  Francesco da Treviso, — 102.
  Francia, — 104. 109. 112. 131. 172. 193. 206. 251. 263. 266.
    271. 286. II, 7. 51. 78 79. 86. 137. 183. 191. 195. 213.
    220. 233. 241.
  Franciosi Giovanni, — 79.
  Francon di Cologna, — 76. 96. 148. 149. 254.
  Frank Elisa, II, 233.
  Frank m., II, 159.
  Frank cantante, II, 232.
  Frangipane Cornelio, — 121.
  Fraschini Gaetano, II, 27. 65. 222. 224. 239.
  Freddi Amadeo, — 182.
  Freschi Giovanni, — 265.
  Frescobaldi Gerolamo, — 113. 144. 160. II, 162.
  Frezzolini (la), II, 235.
  Fricci (la), II, 235.
  Frigio Paolo, — 276.
  Frinni, — 245.
  Frippo Giovanni, II, 117.
  Fritz (cant.), II, 232.
  Fritz (la), II, 83.
  Fughe, — 268.
  Fulberto canonico, — 76.
  Fumi Venceslao, II, 94.
  Fuorusciti fiorentini, — 207.
  Furlanetto m., — 226. 236. II, 58. 61. 72.
  Fux Giuseppe, — 276.

  G.

  Gabrieli Andrea, — 142. 143. 159. 182. 185. 209. 211. 266.
    II, 61. 97. 136.
  Gabrieli Angelo, — 110. 111.
  Gabrieli Domenico, — 156. 159. 185. 208. 211. 266. II, 61.
  Gabrieli Giovanni, — 159. 163. 173. 177. 185. 208. 211. 266.
    II, 136.
  Gabrieli (i), II, 238.
  Gabrielli Aurelia, II, 238.
  Gabrielli Francesca, — 223. 230. 295. II, 5. 12. 27. 137. 192.
    195. 197. 225.
  Gabrielli (le), II, 238.
  Gabrielli principe, II, 5.
  Gabriellina, II, 238.
  Gabuzio G. Cesare, — 188. 190. II, 112.
  Gade N. W., II, 160.
  Gaffarelli, — 270.
  Gafforini Elisabetta, II, 200 e seg. 235.
  Gaffurio, — 258.
  Gafori, — 261. 279.
  Gafori (i), II, 238.
  Gairnies, — 203. 275.
  Gajarre Giuliano, II, 234.
  Galetti (la), II, 235.
  Galles principe, II, 184.
  Galileo Vincen. (o Galilei), — 37. 135. 175 e seg. 266. 269.
  Galin Pietro, — 299 e seg. II, 20.
  Galitzin, II, 160.
  Galli (popoli), — 44. 56. 70. 251. 279. II, 87. 147.
  Galli Amintore, — 272.
  Galli Andrea, II, 72. 146.
  Galli cantante, II, 143.
  Galli Mariè, II, 233.
  Gallia Nicolò, — 156.
  Gallico, — 305.
  Gallieno, — 47.
  Galuppi Baldassare (Buranello), — 157. 158. 206. 223 e seg.
    260. 288. 294. II, 5. 27. 61. 62. 84. 136.
  Galvani Giacomo, II, 84.
  Gamba, II, 75.
  Gambale Emanuele, II, 18.
  Gamberini, II, 53.
  Gamucci, II, 57.
  Ganassi Alfonso, — 141.
  Gandini Alessandro, II, 65.
  Gandini Antonio, II, 65.
  Gandolf Angelina, II, 154.
  Gandorva, — 244.
  Garat, II, 122. 234.
  Garcia Amalia, II, 94.
  Garcia Emanuele, — 239. II, 5 e seg. 22. 137. 221.
  Garcia figlio, II, 6 e seg. 22 e seg. 27. 40. 95. 233.
  Garcia Maria Felicita (Vedi Malibran).
  Garcia Resende (de), — 271.
  Gardano Angelo, — 181.
  Gardano Antonio, — 102. 120. 141.
  Gardi Francesco, — 237.
  Garzoni Giovanni, — 65.
  Garzoni m., II, 53.
  Gasc-Curbel, II, 233.
  Gaspard, II, 234.
  Gaspari di Bologna, II, 68.
  Gasparini, — 156. 209. 236. 260.
  Gasparini cantante, II, 93.
  Gasperini Francesco, — 155.
  Gastoldi, — 103.
  Gattinelli, II, 69.
  Gaudenzio, — 246.
  Gaula, II, 158.
  Gaurieff (la), II, 232.
  Gautier Luigi, — 276.
  Gazzaniga Giusep., — 158. 237.
  Gazzaniga Malaspina (la), II, 224.
  Gazzetta di Lipsia, II, 215.
  Geistinger (la), II, 231.
  Gelasio papa, — 251.
  Gelli Gio. Batta., — 128. 135.
  Gelli pistojese, II, 64.
  Genebrardo, — 78.
  Generali Pietro, — 238. II, 16. 138. 146. 156.
  Geneseo, — 269.
  Genesi, — 22. 44.
  Gennaro A. (Genero), II, 63. 253.
  Gentile Pier Gerolamo, — 269.
  Geoffroy, — 106.
  Gerbert (o Gerbertus), — 108. 254. 277.
  Gerbert papa, — 277.
  Geremia prof., — 220.
  Gerli, II, 53.
  Gerli (i), II, 239.
  Germani, — 56. 87. 102. 109. 172. 262. II, 50. 51. 97. 105.
    120. 147. 159. 160. 173. 177 e seg. 182 e seg. 230 e seg.
  Gerò Jean, — 112. 183.
  Gerosolima (Gerusalemme), — 32. 55. 247. II, 88.
  Gervasoni C., — 295. 304. II, 19.
  Gesner, — 257.
  Gesualdo Carlo (Venosa), — 116. 135. II, 142.
  Gevaert, II, 21.
  Gevviner, II, 97.
  Gherardeschi Luigi, II, 64.
  Ghirando da Panico, — 141.
  Ghiretti, — 234. 238.
  Gholam, II, 92.
  Giaj Antonio, — 236.
  Giambullari Francesco, — 126.
  Gianelli Pietro, II, 17.
  Giani (o Zani) da Viadana, II, 116. 238.
  Giannetti Raffaele, II, 50.
  Giansetti, II, 101.
  Gil Vincenzo, — 271.
  Gilles Giovanni, — 294.
  Ginnasio milit. di Lione, — 300.
  Ginnastica vocale, — 47.
  Giobbe, — 23. 34.
  Gioberti, II, 119.
  Giordani Pietro, — 154.
  Giorgio d’Annover, II, 161. 223.
  Giorgio d’Inghilterra, II, 213.
  Giorgio prete, — 73. 74. 179.
  Giornalismo teatrale, II, 237.
  Gioseffo, — 29.
  Giosuè, — 24.
  Giovanelli Ruggiero, — 181.
  Giovanni da Cascia, — 98.
  Giovanni da Prato, — 99.
  Giovanni di Zebedeo, — 59.
  Giovanni fiorentino, — 98.
  Giovanni (fra) da Genova, — 100.
  Giovanni IV. di Portogallo, — 271. II, 223.
  Giovanni XIX. papa, — 255.
  Giovanni XXII., — 82.
  Giraldoni Leone, II, 40 e seg. 227.
  Giraoud Albert, II, 158. 234.
  Girotto, II, 63.
  Giubal (Jubal), — 20. 22.
  Giulini ten., II, 219.
  Giustiniani Orsato, — 123.
  Giusto Paolo, — 103.
  Gizzi, — 164. 292. II, 34. 137.
  Gizzielo (Conti) Gioacchino, — 229. II, 7. 137. 195.
  Glareanus, — 64. 263.
  Glink, II, 160.
  Gluck, — 226. 229 e seg. 240. 289. 297. II, 146. 148. 151. 162.
    191. 194.
  Gnecco Francesco, — 237. II, 146.
  Goethe, II, 36. 140. 170. 205.
  Goffredo, — 90.
  Goldoni, II, 73.
  Golfieri Luigi, II, 97.
  Gombert Nicola, — 112.
  Gomez Carlo, — 158. 164.
  Gonet, II, 234.
  Gonzaga card., — 120.
  Gonzaga (duchi), — 121. II, 242.
  Gonzati Lodovico, — 265.
  Gordigiani Antonio, II, 97.
  Gordigiani Giovanni, II, 97.
  Gordigiani Luigi, II, 98. 117.
  Gorè, II, 234.
  Gorizia, II, 64.
  Gorrinzi, II, 232.
  Gottschalk, II, 158. 175.
  Goudimel Claudio, — 174. 196. 198. 262.
  Gounod, — 107. II, 98. 148. 166. 175. 220.
  Govinano Antonio, — 142.
  Graduale (Vedi Antifonario).
  Graffigna m., II, 146.
  Grandi Alessandro, — 143.
  Grandillo buffo, II, 229.
  Grani Luigi, — 143.
  Grassini (la), — 109. II, 195. 213. 214.
  Grazia Gaetano, II, 85.
  Graziani Luigi, II, 50. 116.
  Greci, — 13. 24 e seg. 39. 44. 47. 54. 87. 138. 140. 146.
    243 e seg. 249 e seg. 265. 278. 279. 285. II, 89. 173.
    179. 189. 241. 244.
  Greco Gaetano, — 213.
  Gregorietta, II, 57.
  Gregorio papa, — 61. 62. 72. 249. 251. 252.
  Gregorio prete, — 60.
  Grell Otto, II, 182.
  Gretry, — 227 e seg. 292.
  Grillo Battista, — 154.
  Grimaldi, II, 64.
  Grimaldi Nicola, — 156.
  Grisi Giuditta, II, 208. 224. 235.
  Grisi Giulia (Melcy), II, 30. 141. 224. 225.
  Grossi Carlo, — 183.
  Grossi (i), II, 238.
  Grossi Tommaso, — 125. 126.
  Groto Luigi, — 124. 131 e seg. II, 243.
  Groto Antonio, — 239. II, 63.
  Grüber Giorgio, — 111. 144. 185.
  Grumbate, — 55.
  Grün Federica, II, 231.
  Guadagni, — 226. II, 137. 191. 196. 203.
  Guammi Giuseppe, — 103.
  Guarducci, — 223. 233. II, 137.
  Guasco Annibale, — 116. II, 116.
  Guazzo da Casale, — 143.
  Guedronius, — 192. 269.
  Gueranger Prospero, — 250.
  Guerin da Toledo, — 121.
  Guglielmi Pietro, — 158. 223. 224. 236. 237. II, 193. 196.
  Guglielmo del Poitù, — 90.
  Guglielmo francese, — 110. 152.
  Guglielmo III, di Mantova, II, 242
  Guglielmo monaco, — 264.
  Guicciardi Francesco, — 156.
  Guidavoci, II, 107.
  Guidiccioni Laura, — 135. II, 162.
  Guido d’Arezzo, — 64. 178. 254 e seg. 263. 264. 269. 270.
    II, 111. 206. 207. 215.
  Guido Reni, — 259.
  Guinicelli Guido, — 79.
  Guittone Aretino, — 74. 105.
  Gustavo III., — 294.

  H.

  Haarem, II, 88.
  Hackensöllner, II, 118.
  Haendel, — 29. 198. 205. 222. 240. II, 38. 140. 173. 213. 223.
  Halevy, — 228. 302. II, 20. 148. 149.
  Harris (la), II, 233.
  Harrisson (la), II, 233.
  Hartmann F. P. E., II, 160.
  Hasse G. A., — 156. 205. 222. 230. 236. 240. 260. II, 61. 195.
  Hassler, — 111. 144.
  Haupert, II, 109. 176.
  Hawkins, II, 7.
  Haydn, — 205. 222. 228. 229. 240. II, 52. 146.
  Hedjaz, II, 86.
  Heghel, II, 207.
  Heiberger J., II, 182.
  Heller, II, 158.
  Heman, II, 88.
  Henoc, — 22.
  Henrico juniore, — 112.
  Herbert Spencer, — 23.
  Herbst Giov. Andrea, — 271. 296. II, 7.
  Herder, — 247. II, 176.
  Heròld, II, 102. 121.
  Herta, — 56.
  Hervè, II, 159. 161.
  Hind, II, 87.
  Hitzinger, II, 13.
  Hlava, II, 97.
  Hoewe (Höwe de) Irma, II, 233.
  Hogart Giorgio, II, 17.
  Holmes Edoardo, — 230.
  Hong-Kong, II, 93.
  Hopffer, II, 159.
  Hopskins Gerol., II, 158. 175. 233.
  Horn C. E., — 277. II, 91.
  Hoskeimerus Paolo, — 270.
  Hous-Balatka, II, 175.
  Hucbald, — 277.
  Hüller, — 301. II, 159. 206.
  Hussein Houly Khan, II, 91.

  I.

  Ibraim (o Jbraim), — 279. 280. II, 87.
  Idilj, — 116. (Vedi Canzoni).
  Igiene, — 47.
  Ignazia, II, 58.
  Ignazio (sant’), — 58.
  Illirio, — 24. II, 232.
  Imbriani, — 81.
  Imitazione, II, 37.
  Impallomeni G., — 70.
  India, — 11. 12. 32. 54. 55. 87. 169. 243. 277 e seg.
    II, 86. 90 e seg. 158. 175. 191.
  Influenze de’ cantanti, II, 185 e capitolo.
  Ingegneri Angelo, — 123.
  Ingegneri Marc’Antonio, — 181.
  Inglesi, — 44. 109. 131. 251. 267. II, 20. 22. 43. 50. 51.
    95 e seg. 105. 159. 174 e seg. 184 e seg. 213 e seg.
    220. 223. 225. 232. 241.
  Inni (Vedi Canzoni).
  Innsbruk, — 155.
  Invenzione spontanea, — 66 e capitolo.
  Ipocrate, — 47.
  Ippaso, — 245.
  Irlanda, II, 174. 232.
  Irminsul, — 244.
  Ishak (o Jshak) di Koufta, — 279. II, 87.
  Isidoro di Sicilia, — 281.
  Isidoro (santo), — 115.
  Ismail Kedivè d’Egitto, II, 151. 225.
  Istieo, — 245.
  Istituti (Vedi Conservatori e Scuole).
  Istria, II, 70.
  Italiani, — 35. 39. 44. 48. 131. 138. 284 e seg.
    II, 78 e capit. 167 e seg. 179 e seg.
  Italie (Giornale), II, 101.

  J.

  Jacchetti, — 110.
  Jacquet Elisa Claudia, — 112.
  Jacopo da Bologna, — 98.
  Jacopone da Todi, — 78.
  Jacovacci, II, 67.
  Jagnide, — 245.
  Jahiel, II, 88.
  Janacconi, — 65. II, 101.
  Janie, II, 92.
  Java, II, 93.
  Jdithum, II, 88.
  Jechiele, II, 88.
  Jèlih, — 280.
  Jesid-Haura, II, 87.
  Joal, II, 88.
  Johonsom G. W., II, 91.
  Jomelli, — 160. 164. 201. 213. II, 136. 193.
  Jopa, — 28. 54.
  Josquin, — 112. 144.
  Jury Carola, II, 30.
  Just, II, 232.

  K.

  Kabili, — 278.
  Kaldoun, II, 86.
  Kalem, II, 87.
  Kamiecy, II, 87.
  Kapp-Jung Luisa, II, 232.
  Karl Tom, II, 233.
  Karr Alfonso, — 36.
  Karsten, — 107. 294.
  Kasperger Giov., — 111.
  Kastner, — 301.
  Kaus, II, 158.
  Keiser Riccardo, — 203. 238.
  Kellner, II, 232.
  Kellog (la), II, 231.
  Kerle (de) Jacopo, — 111.
  Khatal, II, 87.
  Kircher, — 21. 269. II, 17.
  Kircherus Atanasio, — 270.
  Klefta, — 53.
  Koeller, II, 232.
  Koraiss, — 279.
  Körner, II, 179. 182.
  Kosegarten, — 280.
  Kotzmayer Gabriella, II, 231.
  Kovei, — 18.
  Krauss Gabriella, II, 231.
  Kreitzer, — 106. 289. 301.
  Krisna, — 244.
  Kunert, II, 232.

  L.

  Labano, — 22.
  Labatt cant., II, 178. 232.
  Lablache L., II, 13. 15. 22. 137. 141. 144. 219. 228.
  La-Cecilia, II, 94.
  Lacher Francesco, II, 160.
  Lacher Ignazio, II, 160.
  Lacher Vincenzo, II, 160.
  Lafon (la), II, 233.
  La Fontaine, — 194.
  Lagrange Anna (duc. Stankovich), II, 224.
  Lagroscino, — 230.
  Lajtz m., II, 158.
  Lalande, — 193. 203. 207. 275.
  Lalande Enrica, II, 230.
  Lalande (i), II, 239.
  Lambert, — 195.
  Lambertini Gian Tommaso, — 141.
  Lamperti, II, 75.
  Lamperti Francesco, II, 30. 53. 85.
  Lamperti Gio. Batta., II, 30. 53.
  Lampertico Fedele, — 123. II, 242. 243.
  Lampetro Alardo, — 269.
  Lanari Cristoforo, — 103.
  La-Nauze, — 31.
  Lancaster, — 305.
  Lanciani Flavio Carlo, — 236.
  Landi Antonio, — 130. 135. 146. 147. 202.
  Landini Francesco, — 99. 117. II, 248.
  Lanfranco Gian Maria, — 141.
  Langlois (la), II, 234.
  Lardi Alessandra, — 131.
  Laringoscopio, II, 10.
  Lassale, II, 234.
  Lasso d’Ermione, — 245.
  Lassus Orlando, — 49. 111. 176. 196. 205. 264.
  Latilla Gaetano, — 225.
  Latini, — 16. 18. 30. 57. 75. 247. 278. II, 241. (Vedi Romani).
  Latour, II, 234.
  Laurembergius Pietro, — 276.
  Lauriston, II, 124.
  Laurusse, — 272.
  Laussot, II, 56. 107. 231.
  Lavagnino, II, 64.
  Lazzaro da Curzola, II, 74.
  Leardini Alessandro, — 121. 183.
  Lebeuf ab., — 279.
  Lefebure-Wely, — 301.
  Legrenzi Giovanni, — 155. 157. 163. 206. 225. II, 136.
  Lelmi, II, 94.
  Lemms-Scherrington, II, 232.
  Lenzi Carlo, — 233.
  Leo m., — 211. 212. 230. 287. II, 34. 45. 47. 193.
  Leone X., — 120.
  Leoni D. Leone, — 103. II, 243.
  Leoni Antonio, II, 18. 52. 53.
  Leontieff Carolina, II, 83. 232.
  Leopoldo d’Austria, — 203. (FerdinandoIII,)
  Le Seur, II, 68.
  Lesner, II, 102.
  Levasseur Prospero, II, 80. 122. 234.
  Levasseur (la) de Saint’Empire-Mercy d’Argentan, II, 224.
  Levassor, II, 229.
  Libani m., II, 67.
  Licaone di Samo, — 245.
  Licenzio, — 61.
  Licei (Vedi Conservatori e Scuole).
  Lichfeldt, II, 22.
  Lichtenthal Pietro, — 108. 158. II, 14. 20. 31.
  Licurgo, — 245.
  Liebhart (la), II, 231.
  Liedertafel, II, 119. 182.
  Lidj (popoli), — 48.
  Lind Jenny, II, 232.
  Lind (la), II, 213.
  Ling-lum, — 18.
  Linguadocca, — 195.
  Lino, — 20. 30. 245.
  Lino Eubeo, — 57.
  Livingston, — 170.
  Lirica, II, 115. 156.
  Lisandro, — 245.
  Lisbona, — 224.
  Liszt, — 71.
  Livonia, II, 232.
  Lizinski, II, 119.
  Llanes, II, 234.
  Locatelli Lorenzo, — 103.
  Lodbrok, — 76.
  Lodovico da Vittoria, — 176.
  Loewe Carlo, II, 159.
  Loewe Elisa Sofia princip. Liechtenstein, II, 224.
  Lofont, — 228.
  Lola-Vega, II, 234.
  Lopez Iginio, — 119.
  Lorit Enrico (Vedi Glareanus).
  Loschi, — 119.
  Lotti Antonio, — 156. 157. 163. 205. 225. 295. II, 61. 136.
  Lotti (la), II, 235.
  Lovati-Cazzulani, II, 65.
  Lucca Paolina de Rhade, — 43. II, 224.
  Luccarini Raffaele, II, 65.
  Lucchesi Andrea, — 239.
  Luciano, — 17.
  Lucietta organista, II, 50.
  Lucilla Domenico, II, 69.
  Lucrezio, — 20.
  Lucuvich Antonio, — 226.
  Lukes, II, 97.
  Luigi XIV., — 154. 195.
  Luigi XVIII., II, 214.
  Lulli G. B., — 105. 157. 192 e seg. 198. 202. 206. 220. 281.
    282. 287. 291. II, 82.
  Lupato Pietro, — 201.
  Luraschi Gaetano, II, 18.
  Lutero, — 118. 262. II, 176.
  Luwroschy, II, 232.
  Luzzi, II, 117.

  M.

  Maasèia, II, 88.
  Mabed-Jakthin, II, 87.
  Mabellini Teodulo, II, 56. 64.
  Macabre, II, 118.
  Maccabei, — 55.
  Maccari Alessandro, — 158.
  Macchi Giovanni, II, 18.
  Mack Guglielmo, — 92. 158.
  Macknei, II, 229.
  Macque (de) Giovanni, II, 112.
  Macrobio, — 13. 55.
  Madhi, II, 87.
  Madrigali buffo, II, 229.
  Madrigali (canzoni), — 104. 111 e seg. 120. 127. 143. 150.
    159. 175. II, 74. 114. 116. 162. 188. 213.
  Madrigalisti (ivi).
  Maesen (de) Rosaly, II, 224. 231.
  Maestri de’ Fanciulli, — 101. 110. 176. II, 113.
  Maganza vicentino, II, 243.
  Maggiolate, — 96. 140. 141.
  Magi, — 246.
  Magrè Antonio, II, 243.
  Magrè Zuane, II, 243.
  Magrini ab., — 123.
  Mahmoud sultano, II, 89.
  Maillart Amato, — 301. II, 159.
  Mailing Carlo, II, 64.
  Maineri B. E., II, 109. 183.
  Maîtrises, II, 78.
  Majo m., — 160. 164. II, 136.
  Malanotte Adelaide, — 107. II, 200 e seg.
  Maler ten., II, 233.
  Malesi, — 278.
  Malibran (la), II, 6. 7. 12. 27. 137. 200. 203 e seg. 208.
    213. 224. 234.
  Malipiero Francesco, II, 72. 116.
  Mallkenecht, II, 232.
  Maltarello Vincenzo, — 265.
  Malvezzi Cristoforo, — 186.
  Mameli Goffredo, II, 180.
  Mamoum-Al, II, 87.
  Manara Francesco, — 142. 181.
  Mancini G. B., — 295. 296. II,35. 98.
  Mandl dottor, II, 42.
  Manfredi, II, 64.
  Manfredini Francesco, — 236.
  Manfredini Vincenzo, — 235. 276.
  Manfredini m., II, 71.
  Manica Paolo, II, 50.
  Manicomj, — 107. II, 54.
  Manin Daniele, II, 76.
  Mann cantante, II, 232.
  Manna Francesco, — 234.
  Manna Ruggero, — 153.
  Manna Ruggero (contemp.), II, 65. 146.
  Mantegazza, — 47. 108. 305. II, 22.
  Mantovani Nicolò, — 153.
  Manuel di Mello Francesco, — 271.
  Manzato m., II, 63.
  Manzocchi Mariano, II, 93.
  Manzoni Alessandro, II, 140.
  Manzuoli, II, 137.
  Maometto, — 31. II, 87.
  Mapleson ten., II, 233.
  Mara (la), II, 132. 137. 197. 206 e seg. 213. 230.
  Marcarini, II, 53.
  Marcella, II, 58.
  Marcellino, — 55.
  Marcello, — 37. 155. 163. 164. 173. 186. 209 e seg. 220. 224.
    II, 45. 52. 59. 113. 136.
  Marcello II, (papa), — 262.
  Marchand, — 194.
  Marchesi Luigi cant., — 109. II, 5. 57. 192. 196. 203. 212.
    215. 216.
  Marchesi m., II, 68. 177.
  Marchesi (i), II, 238.
  Marchetti Filippo, II, 67. 156. 157. 164.
  Marchetto da Padova, — 100. 257. 258. 261.
  Marchisio Giovanni, II, 229.
  Marchisio (le), II, 235. 239.
  Marciana (bibliot.), — 183. 186. 236. II, 60.
  Marcolini Maria, II, 200. 202. 208.
  Marcos de Portugal, — 271.
  Marenzio Luca, — 116. 135. 181. II, 116.
  Marescalchi, — 237.
  Maria Amalia di Sassonia, II, 223.
  Maria Amalia de Medici, — 186.
  Mariani Angelo, II, 69.
  Mariani Carlo, II, 109.
  Mariani compos., II, 117.
  Mariani Giuseppina, II, 235.
  Mariani Rosa, II, 200. 235.
  Marien Ambrosio, — 112.
  Marimon, II, 234.
  Marin cant., II, 234.
  Marin M., — 77.
  Marina, II, 58.
  Marinasi Tommaso, — 110. 152.
  Marini, II, 219.
  Marini (i), II, 238.
  Marini Ignazio, II, 227.
  Mario Alberto. — 43. II, 84. 217. 222. 225.
  Mariotti Corinno, II, 20. 64.
  Mariotti Giovanni, — 110. 152.
  Mariotti Rosa, II, 239.
  Marmontel, — 216.
  Marotta, — 121. II, 49.
  Marras Giacinto, II, 92.
  Marras (la) figlia, II, 92.
  Martell (la), II, 233.
  Martinelli Antonio, — 236.
  Martinengo Giulio, — 103.
  Martini (fra), — 58. 151. 180. 216. 217. 238. 248. 267. 268.
    271. 281. 296 e seg. II, 17. 20. 68. 198. 235.
  Martini Vincenzo, — 237.
  Martiri, — 55.
  Marty (la), II, 233.
  Marschner, II, 169.
  Marsinio Vincenzo, — 236.
  Marziali (la), II, 235.
  Marzone Leonardo, II, 64.
  Marx A. B., — 305.
  Mascitelli Luigi, — 303.
  Masini Gaetano, II, 97.
  Masini Lorenzo, — 98.
  Masotti Giulio, — 181.
  Massè, — 301.
  Massimino, II, 17.
  Mastai, II, 210. (Vedi Pio IX).
  Mathithia, II, 88.
  Matilde organista, II, 58.
  Mattei (fra) Stanislao, — 151. 233. 238. 298. II, 66. 68. 143.
  Mattei Saverio, II, 17.
  Mattei Tito, II, 96.
  Matthews, II, 229.
  Maubue, II, 158.
  Maurel Vittorio, II, 234.
  Mazza, II, 70. 117.
  Mazzarino card., — 131. 147.
  Mazzini Giuseppe, — 69.
  Mazzola, II, 98.
  Mazzoleni Francesco, II, 224. 232.
  Mazzone Luigi, II, 118.
  Mazzone Marco Antonio, — 181. II, 49.
  Mazzucato Alberto, II, 18. 23. 25. 54. 133. 184.
  Maybrick, II, 233.
  Mayo lord, II, 92.
  Mayer Andrea II, 17.
  Mayer (la), II, 231.
  Mayer (i), II, 239.
  Mayr Simone, — 233. 234. 240. 298. II, 138. 143. 146. 149.
  Medi, — 47. II, 192.
  Medio-evo, — 89. 90 e cap. 109 e cap. II, 223.
    (Vedi Crociate, Trovatori).
  Medici (de) Lorenzo, — 124.
  Medici (duchi), — 124. 126. 127.
  Medini Paolo, II, 152. 227.
  Megandie, II, 10.
  Mehul Errico, II, 102.
  Mekki, — 279.
  Mei Gerolamo, — 39. 178.
  Meibomio, — 105. 245. 268. 269.
  Meini, II, 18.
  Meistersinger, — 107. 109. 117. 118. 142 e seg. 145. 262. 271.
  Meitl, II, 97.
  Meyerbeer, — 160. 217. 301. II, 56. 80. 81. 98. 102. 103.
    147 e seg. 226.
  Mela Vincenzo, II, 146.
  Melioli Giovanni Francesco, — 153.
  Mellara m., II, 146.
  Melodia istintiva, — 19 e seg. 55. 66. 169. 283.
  Melodica ital., — 166 e cap. II, 135 e capitolo.
  Meluzzi m., II, 66.
  Memmo Dionigi (fra), — 106.
  Mena Giov., — 119. 263.
  Menalippo, — 246.
  Mendelssohn, II, 179.
  Mendioroz, II, 234.
  Mengoli Pietro, — 270.
  Mengozzi, II, 82. 121.
  Menin Domenico, II, 229.
  Mentini (Vedi Fillago Carlo).
  Mentzikon, II, 232.
  Mercadante Saverio, — 239. II, 45. 46. 48. 66. 116. 120.
    146. 149. 173.
  Mercela, — 160.
  Merçenne, — 14. 17. 113. 192. 266. 269. II, 227.
  Mercuri Agostino, II, 65.
  Mercy d’Argentan (Vedi Levasseur).
  Mergazzari Gaetano, II, 154.
  Merly Luigi, II, 227.
  Merlotti, — 121.
  Merulo Claudio, — 102. 121. 122. 143. 181.
  Messico, — 170. II, 89. (Vedi America).
  Metafraste Simeone, — 58. 60.
  Metastasio, — 206. 224 e seg. 236. 237. II, 6. 194. 230.
  Metodi, — 161 e capitoli a pag. 243. 291. II, 5 e capitolo 245.
  Metz, — 73.
  Meyer, (Vedi Mayer).
  Michau, — 93.
  Michelangeli Augusto, II, 64.
  Michelangelo, — 207.
  Micheletti Antonio, II, 63.
  Michiel Alberto, — 103.
  Michiel Nicolò, — 103.
  Michot, II, 234.
  Micieli Giorgio, II, 49.
  Micieli m., — 164.
  Mida di Frigia, — 166.
  Migliara Francesco, II, 229.
  Mikneia, II, 88.
  Milder-Hauptmann (la), II, 178.
  Mililotti Luigi, II, 67. 118.
  Millot storico, II, 241.
  Minelli G. B., II, 248.
  Mingotti (la), II, 137. 195. 217.
  Miniscalchi Guglielmo, — 183.
  Minnesinger, — 81. 117.
  Miolan (la), II, 234.
  Mirate Raffaele, II, 221.
  Mireski Stanislao, II, 85.
  Mirza-Khan, II, 91.
  Mischiewiz, II, 85.
  Misliwecek, — 236.
  Missioni, — 170. 278. II, 89. 92. 93.
  Mistri Organisti, — 101. 176. 221.
  Misura (o tempo), — 40 e seg. (Vedi Solfa).
  Mocenigo Alvise, — 266.
  Mocharik, — 280. II, 87.
  Mohaddety, II, 88.
  Mohammed-Jbnoh-Hares, II, 88.
  Moleijem, II, 86.
  Molferteiner, II, 232.
  Molière, — 194. II, 223.
  Molinari Pietro, — 157.
  Molino Antonio, — 181.
  Molique Bernardo, — 159. 176.
  Mombell, II, 234.
  Mombelli Ester, II, 137 209.
  Mondo Artistico (giornale), II, 104. 108. 112.
  Monferrato Natale, — 154.
  Moniuszko, II, 160.
  Mongini Pietro, II, 152. 222. 225.
  Monsigny de Fauquembergue, — 220.
  Montecchio Zangiacomo, II, 243.
  Montaldo (la), II, 235.
  Montanari, — 123.
  Monte Mayer Giorgio, — 271.
  Montenegro, II, 118.
  Monte Sinicelli Baldoino, — 202.
  Monteverde Claudio, — 103. 121. 153. 154. 159. 163. 182. 186.
    187. 191. II, 61. 136. 188. 193.
  Monteverde Francesco, — 153.
  Monti Decio, II, 67.
  Montpensier M.lle, — 195.
  Monza Carlo, — 236.
  Moragas, II, 234.
  Morales, — 262.
  Morales Melesio, II, 157.
  Moreno Benita, II, 234.
  Moresini Bortolo, — 103.
  Moretti Felice, II, 65.
  Moretti Luigi, II, 18. 27.
  Moriani Napoleone, II, 146. 219.
  Morichelli (la), II, 201.
  Morlacchi m., — 239. 298. II, 146.
  Moro Angelica, II, 235.
  Morosi Giuseppe, — 80.
  Moschee, II, 86. 88.
  Moscheles, II, 158.
  Moscuzza, II, 50.
  Mosè, — 24 e seg. 48.
  Mousahher, II, 88.
  Mozart, — 160. 227. 229. 230. 237 e seg. 289. 297.
    II, 82. 102. 135. 136. 146. 194. 198. 207.2 16.
  Mugnone Pasquale, II, 50.
  Müller basso, II, 227.
  Müller (i), II, 227. 239.
  Müller (la), II, 230.
  Müller m., II, 22.
  Muranesi pittori, — 260.
  Murat Gioacchino, II, 79, 154.
  Muratori A. L., — 258.
  Murer Bernardo, — 101.
  Murska (la), II, 83. 232.
  Musatto Giovanni, II, 19.
  Museo cantore, — 21. 24.
  Museo Correr, II, 73.
  Musica definizione, — 11.
  Musici, — 49 (Vedi Castrati).
  Musone Pietro, II, 50.
  Mussato Albertino, II, 119.
  Musso Giulio, — 182.
  Musulmani, — 91.
  Muzio m., II, 83.

  N.

  Nagini, — 244.
  Nani, II, 50.
  Nanni Domenico, — 276.
  Nannini Bernardo, — 187.
  Napoleone I., — 106. 227. 228. 232. 238.
    II, 139. 179. 192. 197. 212. 214.
  Napoleone III., II, 221.
  Nardini, — 274. II, 137.
  Nasco Giovanni, — 181.
  Nasolini Sebast., — 237. II, 212.
  Natali, II, 228.
  Nava Antonio, II, 18.
  Nava Gaetano, II, 53.
  Navagero Andrea, — 183.
  Navara Gaetano, — 108.
  Navary, II, 70.
  Naudin, II, 234.
  Naudin jun., II, 222.
  Nazari, II, 62.
  Nazione de’ cantori, — 163. 165.
  Nazione (Giornale), II, 169.
  Negri Giuditta (Vedi Pasta).
  Negri maestro, — 157.
  Negri Marc’Antonio, — 103.
  Negrini Carlo, II, 219. 221.
  Nenna, — 117.
  Neri Filippo, — 151.
  Neri m., II, 95.
  Nerone, — 57. 249.
  Neumann Amedeo, — 236. 238.
  Nibelungi, — 87.
  Niceforo Calisto, — 60.
  Niebelungenlied, — 279.
  Nicolai Ottone, II, 146.
  Nicolini m., II, 212.
  Nicolò vicentino, — 101.
  Nicomaco, — 246.
  Nilsson Cristina, II, 232.
  Nini m., II, 146.
  Nisio Vitangelo, II, 19.
  Niva Rosa (Vedi Stolz).
  Noè, — 23.
  Noegeli, II, 182.
  Nostradamo, — 77.
  Notazione, — 250 e seg. 256. II, 72.
  Nour-Khan, II, 92.
  Nourrit Adolfo, II, 7. 43. 122. 234.
  Nourrit padre, II, 122. 144. 234.
  Nozzari, II, 27. 40. 42.
  Numa, — 57. 248.

  O.

  Obed-Edom, II, 88.
  Obeideh, II, 86.
  Obermayer Isabella, II, 94.
  Obiols, II, 158.
  Oceanici, — 18. 87.
  Odoardo confessore, — 96.
  Odone (San), — 279.
  Odrisa, — 245.
  Offembach, — 301. II, 160. 161.
  Ohm (la), II, 231.
  Olimpici, — 122 e seg. II, 120. 242. 243.
  Oliva Pavani, II, 70.
  Olivieri, II, 116.
  Omer Meidani, II, 87.
  Omero, — 17. 27. 244. II, 174. 241. 246.
  Onori ai cantanti, II, 222. 223.
  Opera buffa, — 187. II, 136 e seg. 155. 189.
  Opera seria, — 164. II, 136.
  Opere musicali, — 261 e seg.
  Operette, II, 158 e seg.
  Opinione (giornale), II, 49. 169.
  Oracolo Delfo, — 24.
  Oratorj, — 102. 148. 151. 156. 201. 205. II, 160. 176 e seg.
  Orazio, — 30. 244. II, 168. 241.
  Orchestra, — 149. 160.
  Orfeo, — 13, 21. 30. 105. 133. 165. 244. II, 241.
  Orecchianti, II, 57.
  Oreib, II, 86.
  Orgagna, — 207.
  Origène, — 48.
  Origini, — 17 e seg.
  Orlandi Ferdinando, — 238.
  Ornitoparchus Andrea, — 269.
  Orpheons (Vedi Cori).
  Orsini Alessandro, II, 67.
  Orsini ten., II, 137.
  Ortolani Gio., — 107.
  Osiride, — 24. 26. 87.
  Osman Jahja, — 279.
  Osservazioni fisiche, — 42 e seg.
  Otha, II, 87.
  Ottentoti, — 48.
  Ottolini-Porto Matteo, II, 82.
  Ottolino da Brescia, — 100.
  Ottusi cant., — 267.
  Oudrid, II, 158.
  Oulibicheff, — 230.
  Oziel, II, 88.

  P.

  Pacchiarotti Gaspare, — 158. 223. 226. II, 5. 14. 75. 137.
    147. 195. 196. 203. 213. 215.
  Pacini Giov., — 124. 258. 298. II, 48. 120. 146. 149. 150.
  Pacini (i) (o Picini), II, 238.
  Padilla, II, 234.
  Padovano, — 265.
  Paer Ferdinando, — 234. 238. II, 6. 65. 84. 138. 146. 203.
  Paganini Cesare, II, 57.
  Paganini violinista, II, 24. 64. 137. 217.
  Pagliardini Tito, II, 95.
  Paisiello, — 146. 158. 160. 164. 213. 218. 220. 223. 224.
    226 e seg. 233. 236. II, 48. 75. 136. 141. 142. 146. 193.
    195. 204. 235.
  Paita Giov., — 156. II, 248.
  Pajago m., II, 86.
  Paladilhe, II, 158.
  Paladio Andrea, — 123.
  Paladio Silla, — 123.
  Palestrina, — 49. 64. 65. 82. 111. 150. 152. 159. 164. 173.
    174. 176. 187. 190. 204. 208. 210. 220. 222. 226. 255. 259.
    262. 263. II, 45. 52. 101. 137. 138.
  Palestrinismo, — 145.
  Pallavicino Carlo, — 155. 206. 225.
  Palloni, II, 57. 117.
  Palme, — 32 e seg.
  Palmieri, — 91.
  Paniatowski, II, 96. 161.
  Panicali Enrico, II, 66. 117.
  Panizza, II, 92.
  Panofka Ernesto, II, 18. 22. 54.
  Panormo Giov., II, 94.
  Panseron, — 271. II, 14. 125.
  Panzini m., II, 184.
  Paolino, — 61.
  Paolo diacono, — 60.
  Paolo IV., — 49. 176. 268.
  Paolo V., II, 75.
  Paolo tenorista, — 98.
  Papini (la), — 107.
  Papini Ottavia, II, 239.
  Parken Anna, II, 233.
  Parmigiano, — 258.
  Parabosco Gerolamo, — 105. 121. 179. 183.
  Paris-Aimè, — 299 e seg. II, 20.
  Parisini Federico, II, 16. 68.
  Parnaso, — 20.
  Partenio Gian Domen., — 156.
  Pasi Antonio, II, 248.
  Pasi cant., II, 34.
  Pasini m., II, 153.
  Pasquini Bernardo, — 212. 235.
  Pasta (la), II, 6. 12. 137. 141. 143. 200. 204. 205. 208. 213.
  Patey (la), II, 233.
  Patricio Francesco, — 47.
  Patrizio (san), — 63.
  Patti Adele (de Caux), — 43. II, 224. 235.
  Patti (le), II, 235. 239.
  Patti m., II, 176.
  Patti noire, II, 234.
  Paul Oscar, — 250.
  Paulli S. A., II, 160.
  Pavesi Stefano, — 237. II, 201.
  Pecci Tommaso, — 117.
  Pedro (don) del Brasile, II, 158. 223.
  Pedrotti, II, 63. 64. 155. 156.
  Peli m., — 295. II, 137.
  Pellegrini ab., — 204.
  Pellegrini Celoni Anna M., II, 16.
  Pellegrino Vincenzo, — 188. 190. II, 112.
  Pellico Silvio, II, 140.
  Pellico Ugo, II, 93.
  Pellizzari sorelle vicentine, II, 243.
  Penco (la), II, 235.
  Penna Lorenzo, — 270.
  Perelli Odoardo, II, 18. 53. 157. 164. 184.
  Peretti Bortolo, — 239.
  Perez Agostino, II, 158.
  Perez David, — 236.
  Pergolese, — 146. 198. 211. 213 e seg. 222. 223. 230. 233. 288.
    II, 101. 122. 136. 142. 189.
  Perkins Giulio, II, 233.
  Peri Achille, II, 146.
  Peri Jacopo, — 124. 135. 137. 139. 146. 183. 186. 191. 193.
  Perotti (fra), — 236.
  Perotti Gian Agostino, II, 17.
  Perotti Lodovico, II, 62. 72.
  Perotti ten., II, 222.
  Perrault, — 47.
  Perrin, — 120. 194.
  Perseveranza (giornale), II, 30. 169.
  Persia (e Persiani), — 48. 55. 56. 247. II, 90. 191. 192.
  Persiani Giuseppe, II, 83.
  Persiani (la), II, 13. 83. 137. 143. 200. 208. 215.
  Perù, — 170. (Vedi America).
  Perucchini, II, 75.
  Pescetti G. B., — 157.
  Petöfi Alessandro, II, 179.
  Petrarca Francesco, — 77. 78. 96. 98. 100. 126. 133.
  Petrella Enrico, II, 48. 156. 157.
  Petrerquin, II, 14.
  Petrino Giacomo, — 181.
  Petris, — 296.
  Petroni, — 212.
  Petrovich, II, 70.
  Petrucci, — 144.
  Petter olandese, — 105.
  Philodem, — 276.
  Phitia, II, 241.
  Piatti, II, 97.
  Picchianti, II, 16.
  Piccini, — 146. 158. 164. 213. 229. 231. 237. 289.
    II, 82. 136. 162. 193. 212. 216.
  Piccioli dottor, — 184.
  Piccioli Gerolamo, II, 63.
  Piccolomini (la) Gaetani, II, 224. 235.
  Pieson Ugo, II, 159.
  Pietro cantore, — 73.
  Pietro da Pisa, — 73.
  Pietro dottore, — 96.
  Pifaro Bortolo, — 141.
  Pigafetta Gerolamo, II, 243.
  Pigmalione, II, 42.
  Pilloti Giuseppe, II, 65. 116.
  Pilotti bologn., — 298.
  Pincherle, II, 117.
  Pindaro, — 30. 48. II, 241.
  Pin-mu-kia, — 18.
  Pintado, — 304.
  Pinzutti, II, 97.
  Pio IX., II, 154. 210.
  Piron, — 204.
  Pisani B., II, 53.
  Pisaroni (la), II, 137. 147. 200 e seg. 208. 235.
  Pisari, — 164. II, 137.
  Piseo Carielo (Adami), — 212.
  Pistocchi, II, 7. 34.
  Pitagora, — 11. 25. 27. 53. 246.
  Pitoclide, — 246.
  Pitonesse, — 24.
  Pitrè Giuseppe, — 80.
  Pittoni, — 164. II, 137.
  Pizzati G., — 275.
  Planelli, II, 198.
  Plantada Carlo, II, 83.
  Platania, II, 20. 70.
  Platone, — 11. 13. 25. 34. 35. 53. 134. 167. 224. 246. 269.
    II, 109.
  Plauto, — 120.
  Plet Luigi, II, 19.
  Plinio, — 158. 168.
  Plutarco, — 31. 204. 246. 264. 269.
  Poggi buffo, II, 201.
  Poggi ten., II, 270.
  Poitevin Guglielmo, — 294.
  Poli Giacinto, II, 19.
  Polibio, — 13. 18.
  Policarpo (San), — 58.
  Poliziano Angelo, — 120.
  Pollarolo Antonio, — 157.
  Pollarolo Carlo, — 156. 157. 206.
  Pollet (o Pellet), — 305. II, 183.
  Pollini, — 71.
  Polluce, — 17.
  Polonia, II, 119.
  Polz Hans, — 118. 262.
  Pomponio, — 117.
  Ponsard, II, 234.
  Pontano Vincenzo, II, 157.
  Ponzio, — 103.
  Pordenon Marc’Ant., — 181.
  Porfiro, — 246.
  Pori Catterina, — 155.
  Porpora Nicola, — 164. 205, 220 e seg. 228. 292.
    II, 5. 47. 122. 136. 137. 193. 209.
  Porta Costanzo, — 103. 142. 143. 153. 261.
  Porta Giovanni, — 157. 236.
  Portinari Beatrice, — 96.
  Portinaro Francesco, — 141.
  Portogallo Marco, — 224. 237. II, 212.
  Portoghesi, — 271.
  Possidonio Agostino, — 60.
  Pouget, II, 234.
  Pozzi Anna. — 226.
  Pozzi Luigi, — 183.
  Pozzoni (la), II, 152.
  Prati m., II, 53.
  Prenestino Luigi, — 117.
  Pretorio Michele, — 159.
  Primavera Giovanni Leonardo, — 181.
  Prina m., II, 53.
  Priuli Giovanni, — 183.
  Prock Enrico, II, 160.
  Prohaska (la), II, 231.
  Professori, II, 113.
  Profeti, — 55.
  Proposto Matteo, — 100.
  Proposto Nicolò, — 100.
  Protegene, — 168.
  Provenza, — 57. 77 e seg. 115. 119. 125. II, 179. 241.
  Provvedimenti d’attualità, II, 105 e capitolo.
  Prudent, — 301.
  Prussia (Vedi Germani).
  Pryni, — 34.
  Puccini Michel, II, 64.
  Puccita, — 224.
  Pucilla, — 237.
  Puente (del), II, 234.
  Pugnani, — 295. II, 64. 137.
  Pugni Cesare, II, 84.
  Puteanus Enrico, — 270.

  Q.

  Quattrini, II, 85.
  Quintiliano, — 21. 39. 246. 277.

  R.

  Rabitti Luigi, II, 18.
  Radicati F. M., II, 64. 98. 137.
  Radichi cantante, II, 178.
  Radici Bortolo, II, 65.
  Raff, II, 7. 137. 159.
  Raffaelo, — 175. 216.
  Raffanelli Luigi buffo, II, 201. 229.
  Raimondi, II, 101.
  Rainaldi, — 236.
  Rainaud Thèophile, — 77.
  Rama, — 244.
  Rameau G. F., — 193. 196. 204. 220. 268. 271. 281.
    II, 12. 224.
  Ramier, II, 121 e seg.
  Ramirez della Zorzuela, II, 234.
  Rampini, — 239.
  Ramsoë E. W., II, 160.
  Randegger Alberto, II, 96.
  Randolini, — 108.
  Raoul, — 228.
  Rapport, II, 232.
  Rauzini, II, 137.
  Ravasio, II, 85.
  Rawlinson, — 277. 305.
  Razier, — 267.
  Reber, — 301.
  Rebusini (la), II, 235.
  Recitativi, — 146. 191.
  Redi m., — 295. II, 34. 137.
  Regaldi, — 88.
  Reggenti di Francia, II, 223.
  Registri, — 45 e seg. II, 11. 13 e seg.
  Regli di Torino, — 272.
  Reicha Antonio, II, 17.
  Reinaud, — 91.
  Reise Federico, — 278.
  Remolini, II, 229.
  Remi d’Auxerre, — 277.
  Renaldi Giulio, — 181.
  Repetto Pietro, II, 84.
  Requeno, — 267.
  Resbourg (la), II, 233.
  Revoire Lorenzo, II, 17.
  Revue de deux Mondes, n, 150.
  Revue de Paris, II, 185.
  Rezzonico (principessa), — 126.
  Riario card., — 120.
  Riccardo di Borgogna, — 90.
  Ricci Federico, II, 82. 84. 155. 156.
  Ricci Leila, II, 155.
  Ricci Luigi, II, 70. 71. 96. 97. 154. 155. 230.
  Ricci Vincenzo, II, 155.
  Ricercari, — 145. 161. (Vedi Canzoni e Madrigali).
  Ricotti generale, II, 108.
  Riese, II, 97.
  Riformisti, II, 149. 167 e seg.
  Righini, — 237. II, 40.
  Rikter, II, 97.
  Rinuccini Ottavio, — 135. 138. 186.
  Risegari Laura, — 226.
  Ristori Cesare, II, 229.
  Ritmo, — 40 e seg. 70. 146.
  Rives, II, 234.
  Robert pittore, — 45. II, 23.
  Roberti Giulio, II, 57.
  Roberto d’Inghilterra, — 110. 152.
  Roberto francese, — 112.
  Robusti Jacopo, — 184.
  Robusti Maria, — 184. (Vedi Tintoretto).
  Rocca buffo, II, 229.
  Roccetti Vitto, — 143.
  Rocchi Rocco, — 239.
  Rochette, — 228.
  Rochois, — 196.
  Rocques dottore, — 106.
  Rodaz, II, 234.
  Rodigino, — 17.
  Roeder Milla, II, 231.
  Roger, II, 234.
  Rolando, — 47.
  Rolla, II, 24.
  Rolla Giorgio, — 188.
  Romaggi, II, 64.
  Romani, — 48 e seg. 247. II, 88. (Vedi Latini).
  Romani Giov., — 239.
  Romani Pietro, II, 56. 233.
  Romano Alessandro, — 181. II, 243.
  Romano Paolo, II, 243.
  Romagnoli Pietro, II, 69.
  Romanze, — 119. (Vedi Canzoni).
  Romolo, — 57.
  Ronchetti, II, 53.
  Ronconi basso, II, 219. 227.
  Ronconi (i), II, 239.
  Ronzi Antonio, II, 53. 146.
  Ronzi Fratelli, II, 53. 83.
  Ronzi (le), II, 235. 239.
  Ronzi Stanislao, II, 83.
  Rorè Cipriano, — 102. 111. 122. 142. 182.
  Rosa Salvator, II, 76.
  Rosati Teresa, — 67.
  Roselli Gerolamo, — 142. 267.
  Rosen-Babet, II, 30.
  Rossemblut Hans, — 118. 262.
  Rossellini, — 277.
  Rossetto Blasio, — 261.
  Rossi Carlo, — 236.
  Rossi conte, II, 207. 224.
  Rossi Gaetano, — 237.
  Rossi Giov. castrato, — 50. II, 200.
  Rossi Giov. m., II, 53.
  Rossi Lauro, II, 18. 48. 54. 86. 94. 103. 108, 156. 158.
  Rossi (i), II, 238.
  Rossi Luigi, II, 17.
  Rossi Luigi Felice, — 299. 304. II, 20.
  Rossi Salomone, — 182.
  Rossi (Successivi in Francia), Luigi, Michelangelo, Francesco,
    — 146. 198. 199 e seg. II, 82.
  Rossini Gioacchino, — 65. 160. 218. 233. 234. 238. 241. 282.
    289. 298. II, 36. 56. 61. 66. 68. 72. 79. 80 e seg. 98.
    101 e seg. 116. 138 e seg. 141 e seg. 149. 150. 154. 162.
    167. 169. 174. 176. 198 e seg. 209. 221. 226. 234.
  Rossino Francesco, II, 16.
  Rosso Giov. M., — 182.
  Rota Antonio, II, 58.
  Rota Giuseppe, II, 51. 70.
  Rotoli, II, 67.
  Rouget de l’Isle, II, 179. 220.
  Rousseau J. J., — 21. 35. 47. 68. 195. 197 e seg. 216. 220.
    222. 257. 267. 268. 272. 275. 281 e seg. 293. 299. 303. 304.
    II, 14. 15. 36. 37. 82.
  Roussel C. G., II, 159.
  Roussier, — 26.
  Roussoul, II, 92.
  Rovetta, — 154. 155.
  Rovettino G. B. (Vedi Volpe), — 154.
  Roze (ab.), II, 122.
  Roy (le) Adriano, — 112.
  Rubini Gio. Battista ten., II, 13. 15. 16. 28. 33. 42. 137.
    141. 142. 143. 146. 217. 219. 221.
  Rubini Concetta, II, 94.
  Rubini Nicolò, — 182.
  Rubinelli, II, 137.
  Rubinstein, II, 158.
  Rudersdorff Erminia, II, 232.
  Ruffino, II, 66.
  Ruffo Vincenzo, — 182.
  Ruggieri Ferdinando, — 217.
  Ruggiero Adele, II, 239.
  Ruggiero (le), II, 239.
  Russia, — 32. 97. II, 84. 85. 160. 232.
  Ruyz, II, 234.
  Rytmopea, — 40 e seg.

  S.

  Saar (la), II, 231.
  Saas, II, 43. 83. 231.
  Sabatini, II, 238.
  Sabbatini (fra), — 219.
  Sabino Ippolito, — 182.
  Sacchetti Bianca, — 226. II, 60. 75. 235.
  Sacchetti Francesco, — 98. 116.
  Sacchi Giovenale, — 276.
  Sacchi Giuseppe, — 31. 108.305.
  Sacchini, — 158. 164. 213. 260. II, 82. 136. 193.
  Saffo, — 30. II, 162.
  Sainz Laura, II, 234.
  Saint-Empire (V. Levasseur la).
  Saint-Laurent, — 48.
  Sala Alessandro, II, 63.
  Salati Andrea, — 122.
  Saldoni Baldassare, II, 86.
  Salieri Antonio, — 158. 239. 289. 298. II, 98. 137. 147.
  Salinas, — 267. 268.
  Salines, — 180.
  Salmi, — 210. 246. 248. 250. 277. II, 241.
  Salomon (i), II, 239.
  Salomone, — 24. 29. 30. 210. II, 88. 173.
  Salutati Coluccio, — 99. 115.
  Salvador Daniele, — 278.
  Salvadori barit., II, 227.
  Salvi m., II, 84. 160.
  Salvini-Donatelli (la), II, 235.
  Salvioni (la), II, 235.
  Sammartini, — 202. 231. II, 53.
  Sampieri Antonio, — 69. 116.
  Sampillas, — 267.
  Samuele, — 24. 28.
  Sandor, — 179.
  Sanelli Gualtiero, — 146.
  Sanfiorenzo, II, 64.
  Sangermano Luigi, II, 116. 118.
  Sangiorgi, II, 67.
  Sangiovanni, II, 53.
  Sangita Indiane, — 277. II, 91.
  San Marino rep., II, 66.
  Sanseverino Francesco, — 266.
  Sansovini, — 267.
  Sansovino, — 179.
  Santa Rosa, — 275.
  Santley, II, 233.
  Santoni (la), II, 235.
  Santonini, II, 60.
  Sanuto, — 111.
  Saraceno Filippo, II, 145.
  Saraceni (Vedi Arabi).
  Sardegna, II, 64. 162.
  Sarmiento Salvatore, II, 50. 116.
  Sarpi Paolo, — 263.
  Sarria E., II, 50. 146.
  Sarti Giuseppe bolognese, II, 93.
  Sarti Giuseppe, — 233. 234. 236. 238. 260. II, 67. 68. 84.
    98. 182. 196.
  Sarti Leone, II, 66.
  Sarti (i) II, 238.
  Sartorelli Alessandro, II, 17.
  Sartorius (i), II, 239.
  Sassani Matteo, — 156.
  Sasso Teresa, II, 64.
  Sassonia, II, 78. 176. 223.
  Saule, — 28. 105.
  Sauveur, — 268. 272. 304.
  Savart, II, 11.
  Savi Gian Paolo, — 103.
  Savigny, II, 81.
  Savinelli m., II, 16.
  Savoja, — 119.
  Savoja Francesco, II, 229.
  Savoja Pasquale, II, 228.
  Sbabo Domenico, II, 63.
  Sbarra Francesco, — 131.
  Scalese, II, 229. 239.
  Scaligeri, — 121.
  Scandinavia (Svezia), — 76. 87. 97. II, 21. 105. 111.
  Scamozzi, — 123.
  Scapuccia, — 98.
  Scaratelli M. Diamante, — 156.
  Scarlatti Alessand., — 160, 164. 173. 183. 184. 187. 211.
    212. 214. 215. 221. 233. 336. II, 45. 47. 122. 136. 188. 193.
  Scarlatti Domenico, — 211.
  Scarlatti (gli), II, 239.
  Scena (giornale), — 265. II, 36. 95. 127. 164.
  Schaftesbury, — 286.
  Schah-Kuli, II, 191.
  Scheggi buffo, II, 229.
  Scheggi (gli), II, 239.
  Schifone, — 81.
  Schiller, II, 140.
  Schira, II, 97.
  Schlegel, — 247.
  Schmerhofsky (la), II, 83. 231.
  Schmid cant., II, 178. 232.
  Schneider Federico, II, 176.
  Schneider (la), II, 178.
  Scholz Bernardo, II, 159.
  Schubert Federico, — 239. 240. II, 118. 177.
  Schumann Roberto, II, 12. 118. 175. 209.
  Schütz Enrico, — 144.
  Schwartz (la), II, 231.
  Scitky, II, 97.
  Sclesses Jacopino, — 100.
  Scott-Enrico gen., II, 185.
  Scott-Kate (la), II, 233.
  Scotta (la), II, 235.
  Scotto, — 295.
  Scozia, — 68. 263. II, 174. 233.
  Scribe, — 207.
  Scrittura Sacra (Bibb.) (V. Salmi.)
  Scuderi Salvatore, II, 232.
  Scudo Pietro, — 95. 160. 229. II, 37. 122 e seg. 185. 197. 229.
  Scuole Corali, II, 173 e capitolo.
  Scuole Elementari, II, 50. 107. 113. 120. 181.
  Scuole Francesi, — 72 e seg. 185 e capitolo. 207. 299 e seg.
    II, 21 e seg. 121 e seg.
  Scuole Militari, II, 108 e seg. 181.
  Scuole Normali, II, 110 e seg.
  Scuole Popolari, II, 52.
  Scuole Tedesche, II, 97.[185] (Vedi Meistersinger).
  Scuole (Conservatorj, Istituti, Licei, Cappelle) di
    Annover, — 205.
    Augusta, — 102.
    Baden, II, 176.
    Barcellona, II, 86.
    Bergamo, II, 65.
    Berlino, — 211. II, 97. 206.
    Blois, — 208.
    Bologna, — 103. 110. 134. 141. 151 e seg. II, 53. 68. e seg.
      (Vedi Cappella S. Petronio).
    Brescia, — 100. 140. II, 65.
    Bruxelles, II, 45. 55. (Vedi Fiamminghi).
    Cairo (Vedi Egitto ed Egizj).
    Cento, II, 66.
    China, — 244. 278.
    Chioggia, ed altre Venezie, (Vedi Venezia).
    Colonia, — 234. 239. II, 83.
    Como, II, 65.
    Copenaghen, II, 85.
    Corfù, II, 86.
    Costantinopoli, II, 89. (Vedi
    Turchia).
    Cracovia, II, 85.
    Cremona, — 153 e seg. II, 65.
    Dessau, II, 176
    Dresda, — 205. II, 78. 84. (V. Sassonia).
    Egitto, — 58 e seg. II, 89. (V.
    Egizj).
    Ferrara, — 144. 155.
    Firenze (e Toscana), — 98. 111. 135. e seg. 151. 178. 188.
      206. 249. 295. II, 56 e seg.
    Fossombrone, II, 66.
    Genova, II, 64.
    Grecia, — 32 e seg. 243 e seg. II, 89. (Vedi Greci).
    Iassy, II, 85.
    Innsbruk, II, 176.
    Lecco, II, 65.
    Lipsia, — 102. II, 78. 206. (V. Germani).
    Lisbona, II, 86. (V. Portoghesi).
    Lodi, — 100.
    Londra, — 205. 239. 251. II, 95 e seg. (Vedi Inghilterra).
    Loreto, — 234. II, 66.
    Lucca, II, 64.
    Madrid, II, 86. (Vedi Spagna).
    Mantova, — 201.
    Medina, II, 87. (Vedi Arabi).
    Metz, — 73. (V. Francia).
    Milano, — 154. 188. 251. 261. II, 29 e seg 45 e seg.
      52 e seg. 71. 107.
    Modena, II, 65.
    Mosca, II, 84. (Vedi Russia).
    Napoli (Conservat.), — 150. 164. 176. 211 e seg. 212 e seg.
      222 e seg. 234. II, 45 e seg. 49. 54. 55.
    Norimberga, — 102. 119. 144. (Vedi Germani).
    Odessa, II, 85.
    Padova, — 100. 158. 210. 273. II, 61. 63. 158.
    Parigi (Conservat.), — 192 e seg. 206 e seg. 228 e seg.
      233. 264. 299 e seg. II, 42. 55. 78. 119. 121. 124. 148.
      154. 158. (Vedi Francia).
    Parma, — 155. II, 65.
    Pavia, II, 65.
    Perugia, II, 65.
    Piacenza, — 295.
    Pietroburgo, II, 84. (V. Russia).
    Pistoja, — 100 II, 65.
    Praga, — 203. II, 55. 97. 98. 230.
    Ratisbona, II, 97.
    Rimini, — 206.
    Rio-Janeiro, II, 94. (V. America).
    Roma, — 59 e seg. 100. 120. 145 e seg. 151. 164. 170. 186.
      190. 295. II, 72.
    Rovigo, — 153, 154.
    Saint-Chapelle, — 208
    Salisburgo, II, 97. (Vedi Germani).
    San Gallo, — 250. II, 283. (Vedi Svizzera).
    Scheussenzied, II, 78. (Vedi Germani).
    Smirne, — 87. II, 89. (V. Egizj).
    Stocolma, II, 85. (V. Svezia).
    Stuttgart, II, 176.
    Tangrog, II, 85.
    Ternes, II, 83.
    Tiflis, II, 85. (Vedi Russia).
    Torino, — 295. II, 64. 180.
    Trento, II, 63.
    Trieste, II, 70.
    Turchia, — 86 e seg.
    Udine (e Friuli), II, 64.
    Valenza, II, 86.
    Venezia, — 100 e seg. 110 e seg. 135 e capit. 140. 155 e seg.
      163. 177 e seg. 185. 210 e seg. 225 e seg. 236. 260. 295.
      II, 57 e seg. 71 e seg. (Vedi Marciana).
    Verona, II, 63.
    Versavia, II, 85. (V. Ungheria).
    Vicenza, — 122 e seg. II, 63.
    Vienna, — 83. 202. 205. 239. 295. II, 98. 145. 177 e seg.
      206. (Vedi Germania).
    Weimar, II, 99. (V. Germania).
    Zurigo, II, 182.(Vedi Svizzera).
  Scurè Edoardo, II, 100.
  Sebenico Giov., II, 156.
  Secchi, II, 53.
  Segond, — 108. 305. II, 22.
  Seidler, II, 49.
  Selses (o Schaefen), II, 87.
  Selva basso, II, 228.
  Selvaggi, — 212.
  Semiramide, — 48.
  Semiramoth, II, 88.
  Seneca, — 249.
  Senesino (Bernardi Francesco), — 156. II, 137. 213.
  Septalio, — 45.
  Seratelli Giuseppe, — 157. 225. 236. II, 59.
  Sergio, — 35.
  Serlio, — 122.
  Serrao Paolo, II, 49.
  Serre, — 268.
  Sersanti G. M., II, 95.
  Sertorio Antonio, — 155.
  Servantese, — 125.
  Sessa Carlo, — 37. 46. II, 118. 162 e seg.
  Seth Calvisio, — 144.
  Sforza Luigi, — 260.
  Sgambati, II, 67. 118.
  Siagro, — 26.
  Sibille, — 248.
  Siboni, II, 85.
  Sicilia, — 116. 121.
  Sievers G. F., — 265.
  Sigismondo organista, II, 243.
  Significazioni della voce, — I.º capitolo. 108.
  Silfi, — 244.
  Silvestre Gregorio, — 271.
  Silvestro papa, — 59.
  Silvestro II., (Vedi Gerbert).
  Simmico, — 245.
  Sims-Reeves ten., II, 233.
  Sinfonia, — 202. II, 37.
  Singakademie, — 182. (Vedi Scuole tedesche).
  Sinico Francesco, II, 70.
  Sinico Giusep., 11,70. 117. 156.
  Sinico (la), II, 174.
  Siri Luigi, II, 50, 116.
  Siria. — 279.
  Sismondi, II, 106.
  Sisto V., — 49. 266.
  Sistro (giornale), — 219.
  Sivori, — 71. II, 64.
  Smart, II, 159.
  Smetana, II, 98.
  Smitter Teodoro, II, 70.
  Smoeling, (Vedi Mara).
  Soaitti, — 268.
  Soarez buffo, II, 229.
  Sobeir-Ibn-Dahman, II, 87.
  Società Cherubini (fior.), II, 56. 107.
  Società corali, — 300 e seg. II, 93. 107.
  Società musicali, — 106 e seg.
  Società sacra arm. di Londra, II, 174.
  Società scientifica d’Indie, II, 91.
  Società viennesi, II, 177 e seg. 182.
  Socrate, — 227. II, 246.
  Sogdiani, — 55.
  Sografi, — 237.
  Solfa, — 280. 294. (V. Misura).
  Solfeggio, — 255. II, 11.
  Solustri Ubaldo, — 258.
  Sôma, — 277. II, 91.
  Sontag Enrichetta, — 43. II, 13. 137. 200. 205 e seg. 224. 230.
  Soriano, II, 101.
  Soter II, (Tolomei), II, 152.
  Soudaroung, II, 92.
  Soukup, II, 97.
  Soustelle (la), II, 233.
  Souvestre, II, 234.
  Spadina Antonio, II, 65.
  Spaak-Moresi Alice, II, 233.
  Spagna, — 44. 50. 55. 91. 92. 104. 113. 117. 119. 206. 251.
    267. 271. 276. 279. II, 86. 157. 179. 222. 234.
  Spagnoletto, — 223. (V. Garcia).
  Spartani, — 27.
  Spataro Giovanni, — 103. 152. 260.
  Spegher, — 239.
  Spellini veneto, — 107.
  Spezia (la), II, 235.
  Sphor, II, 173. 176. 206.
  Spierling Giovanna, II, 231.
  Spina Lodovico, II, 65.
  Spinger (o Springer) banchiere, II, 225.
  Spitzer Erminia. II, 83. 231.
  Spontini, II, 81. 82. 98. 232.
  Spontoni Lodovico, — 182. 238. 289.
  Squarcialuppi Antonio, — 116. 258. II, 116.
  Stabile Annibale, — 182.
  Stagno-Andreoli Vincenzo, II, 30. 222.
  Stafford, — 272.
  Staforsto, — 252.
  Stamitz, — 205. 275.
  Stamitz Carlo, II, 68.
  Stampa Gaspara, — 183. II, 59. 248.
  Stanzieri, II, 118.
  Stefani Agostino, — 143.
  Steger Francesco, II, 222.
  Stella Chiara, — 156. 157.
  Stella Santa, — 156. 157.
  Steller ten., II, 227.
  Stermich Simeone, II, 232.
  Stesicore, — 30.
  Stiehl, II, 179.
  Stipendj dei cantanti, II, 225.
  Stivori Francesco, — 182.
  Stolz (le), II, 239.
  Stolz Sorelle, II, 97. 230.
  Stolz Rosa, II, 125. 126. 230.
  Stolz Teresa, II, 153. 217. 230.
  Stornello, II, 115. 156.
  Strabone, — 26. 55.
  Stradella Alessandro, — 184. 210. 236. II, 62. 63.
  Strepponi Giuseppina, II, 30. 235.
  Striglio Alessandro, — 182.
  Strinasacchi Teresa, II, 201.
  Stromba Giacomina, II, 61.
  Strozzi Gio. Battista, — 129. 131. 135. 147.
  Suardi (la), II, 30.
  Sullivan, II, 159.
  Sultzer cant., II, 225. 232.
  Superchi, II, 72.
  Suppè, II, 161.
  Surio Lorenzo, — 65.
  Sveno, — 93.
  Svezia (Vedi Scandinavia), — 87. 107. 294. II, 85.
  Svizzera, — 118. 250. 263. II, 50. 105. 109. 159. 176. 182.
    183 e seg.
  Szigethy, II, 232.
  Sylva, II, 234.

  T.

  Tacchinardi Guido, — 219.
  Tacchinardi Nicola, II, 137. 215.
  Taddeo (fra) da Venezia, — 143.
  Taddeucci, II, 96.
  Tadolini Eugenia, II, 235.
  Tadolini Giovanni, — 298. II, 68. 84.
  Taglioni Ferdinando, — 294.
  Taglioni Maria, — 294.
  Talete, — 245.
  Talma, II, 204.
  Tamberlich Enrico, II, 222.
  Tamburini Antonio basso, II, 137. 141. 219.
  Tamburini (la), II, 95.
  Tamburini Riccardo, II, 53.
  Tamiri, — 245.
  Tannhäuser cavaliere e trovatore, II, 241.
  Tarchi Antonio, — 237.
  Tarditi Orazio, — 183.
  Tartini Giuseppe, — 106. 112. 203. 210. 236. 267. 273 e seg.
    281. II, 62. 63. 66. 137.
  Tasso T., — 93.
  Taux, II, 97.
  Tavelli Alvise, — 156.
  Tavola Teresa, II, 224. 235.
  Tavolatura, — 117.
  Teatri, II, 90.
  Teatro (giornale), II, 168.
  Tebaldo re, — 93.
  Tacchi Erminia, II, 67.
  Telefano, — 28.
  Tellheim (la), II, 178.
  Tempia Stefano, — 304. II, 64. 83. 116.
  Tenori, II, 219 e seg.
  Teocrito, II, 142.
  Teodorico, — 247.
  Teodoro cantore, — 72.
  Teodosio, — 55.
  Teofastro, — 245.
  Teone di Smirne, — 245.
  Tepandro, — 28. 32. 33. 135. 245. II, 135.
  Terradellas Domenico, — 236.
  Terziani Pietro, II, 67. 116.
  Tesei, — 298.
  Tesi (la), li, 137.
  Tesi Vittoria, — 156.
  Testa m., — 174.
  Tessada Augusto, II, 229.
  Tessarin m., II, 72. 116.
  Tettamanzi Flaminio, II, 18.
  Tevo Zaccaria, — 276.
  Teuto, — 244.
  Thalberg, — 71.
  Thalesio Pedro, — 271.
  Tharik, II, 87.
  Theresa M.e, II, 229.
  Thibaud, — 270.
  Thierfelder, — 250.
  Thiers Adolfo, II, 208.
  Thomas Gregorio, II, 79. 148.
  Thuan, — 267.
  Tiberini (la), II, 235.
  Tiberini Mario, II, 221.
  Tigri scrittore, — 81.
  Tigrini Orazio, — 182.
  Timbro, — 40. 42. 45. 258. II, 8 e seg. 13.
  Timoteo di Mileto, — 28. 33. 105. 245. II, 242. 248.
  Tintoretto Maria (Robusti), — 142. 184.
  Tiraboschi, — 203. 267.
  Tirolo, II, 63. 176.
  Tirteo, — 27. 244. II, 220.
  Titiens (la), II, 174. 232.
  Tito Livio, — 18. 75.
  Tiziano, — 142. 164.
  Toderini G. B., II, 191.
  Todi (fra), — 96.
  Todi Luigia, II, 75. 208. 213.
  Todi (i), II, 238.
  Tognetti Francesco, — 276.
  Tolomei, — 28. 105. II, 151. 152.
  Tolomeo, — 35. 40. 245. 247. II, 10 e seg. 13.
  Tolomeo Claudio, — 269.
  Tomadini Jacopo, — 303. II, 64. 82. 116.
  Tomicich F., — 20. 89. 272.
  Tomj Francesca, — 226.
  Tommaseo N., — 11. 81. II, 210. 224.
  Tommasi, II, 65.
  Tommaso d’Aquino, — 65. 149.
  Tonassi Pietro, II, 17. 72. 116.
  Topai Enrico, II, 229.
  Topinard, — 170.
  Tornquist (o Torriani) Ostava, II, 232.
  Torriani Eugenio, II, 53. 71.
  Torriani (la) (Vedi Tornquist.)
  Toscana, — 127 e seg.
  Tosi (le), II, 239.
  Tosi m., — 295. 296. II, 7.
  Touppahs, II, 92.
  Trajetta, — 164. 213. 236. 260. II, 136.
  Transillo, — 121.
  Tratta de’ fanciulli cantori, (relazioni di G. Guerzoni),
    — 79. 163.
  Trebelli (la), — 43. II, 174. 235.
  Tremacoldo, — 126.
  Trento Vittorio, — 237.
  Trezza Giuseppe, — 276.
  Triaca musicale, — 140.
  Trifon Gabriele, — 183.
  Trissino Gian Giorgio, — 123.
  Tritta m., — 237. II, 141.
  Trivalsi, II, 65.
  Trovatori, — 57. 65. 77. 79. 81. 93. 94. 109. II, 135. 241.
  Troy, — 43. II, 234.
  Truchi, — 116.
  Tuono, — 40 e seg. 254.
  Turchia, — 251. II, 86 e seg. 90. 191. 192.

  U.

  Uang-scin-ho, — 13.
  Ubaldi Carlo, II, 18.
  Ubaldo di S. Amando, — 64.
  Udine (da) Gerolamo, — 182.
  Ugald (la), — 43. II, 217.
  Ugolini Braccio, — 120.
  Ugolini Giulio ten., II, 222.
  Ugolini Vincenzo, — 187. 204. 247.
  Uladislao re d’Ungheria, — 110.
  Ulisse, — 134. 244.
  Umlauff m., II, 178.
  Ungher (la), II, 143. 230.
  Ungheria, II, 85. 160. 176. 179.
  Unni, II, 88.

  V.

  Vaccaj m., II, 19. 115, 146.
  Vachon, II, 123 e seg. 234.
  Valabreque Paolo, II, 212. 224.
  Valabreque figli, II, 217.
  Valerio Anna, — 155.
  Valgulio Carlo, — 204. 264.
  Vallotti Francesco Ant., — 270. II, 137. 147.
  Valmadrera, — 202. 275.
  Van-Ghelhuwe, II, 184.
  Vanders (la), II, 233.
  Vandinelli G. F., — 270.
  Vaneri (Colmach), II, 233. 235.
  Vanneo Stefano, — 261.
  Vannini-Boschi Francesca, — 156.
  Vanzan ten., II, 63.
  Varalles Franc. Dominga, II, 20.
  Varchi, II, 55.
  Varenrath, II, 232.
  Varesi Cecilia, II, 56. 92.
  Varesi Felice, II, 227.
  Varesi (i), II, 239.
  Varischino Giovanni, — 156.
  Varisco Giovanni, II, 18. 54. 71. 107 e seg. 112.
  Varvaro, II, 234.
  Vasconcello Gioacchino, — 271.
  Vatroslay-Lisinski, II, 160.
  Vecchi Orazio, — 144. 182.
  Vecchiotti Luigi, II, 66.
  Veluti G. B., — 51. II, 6. 14. 60. 75. 95. 136. 200.
  Venier Alvise, II, 58.
  Venier Dom., — 183. II, 59.
  Venier Gerolamo, — 236. II, 60.
  Venier Maria, II, 59.
  Venier (i), II, 239.
  Venosta Felice, II, 76.
  Ventadour (di) Bernardo, II, 241.
  Ventura Lionello, II, 70. 164.
  Ventura Teresa, II, 58. 59.
  Venturini m., — 239. II, 19.
  Vera Lorini Sofia, II, 56.
  Veraccini F. M., — 106. 274.
  Verardo Marcellino, — 188.
  Verdelot (o Vedelot), — 112. 183.
  Verdi Gius., — 287. II, 32. 44. 48. 81. 82. 103. 115. 146.
    149 e seg. 156. 157. 169.
  Verger basso, II, 234.
  Verger ten., II, 234.
  Veronese Antonio, Beatrice, famiglia, II, 243.
  Versor, — 31.
  Vescovi Antonio, — 236.
  Vet-Weber, — 119.
  Viadana m., — 140. 160. 187. 201. 202.
  Viaggi, — 278.
  Viani Marco, II, 31. 219. 220.
  Viannesi, II, 83.
  Vicentini, — 265. II, 63. 243.
  Vicentino Nicola, — 150. 260. 264. 265. II, 61. 63.
  Vico, II, 174.
  Vidal Melchiorre, II, 64.
  Vielles, II, 234.
  Vielmis (de) Bortolo, — 101.
  Vieri Adamo, II, 64.
  Vieuxtemps, — 301.
  Viezzoli Ernesta, II, 76.
  Vigarini Gaspare, — 154.
  Vilfrido, — 63.
  Villani Filippo, — 98.
  Villani Giuseppe, II, 222.
  Villanis Angelo, II, 146.
  Villiers, II, 223.
  Villoteau G. A., II, 17.
  Vinaccesi Benedetto, — 183. 225.
  Vincenzo da Imola, — 100.
  Vinci L., — 198. 214. 230. 236. 259.
  Viol Giovanni, — 119.
  Viotti, II, 137.
  Virgilio, — 16. 54. 57. 168. 198. 245.
  Visconti-Aimi (Vedi Favelli).
  Visconti Galeazzo, — 126.
  Visconti Giov. (card.), — 125.
  Visconti Marco, — 126.
  Visetti Alberto, II, 85.
  Visnù, — 244.
  Vitale Arnaldo, — 125.
  Vitali Giov. B., — 183.
  Vitali Geremia, II, 16.
  Vitali (la), II, 239.
  Vittorio Emanuele II., II, 67.
  Vivaldi Vivaldi, II, 19.
  Vocalizzi, II, 9 e seg.
  Vodan, — 244.
  Vogel, II, 97.
  Vogler (ab.). II, 147.
  Volpe G. B. (Rovettino), — 154.
  Volpine Alessandro, — 122.
  Volpini (la), II, 235.
  Voltaire, — 204. II, 197.
  Vossius, — 41.

  W.

  Wagenseil, — 117.
  Wagner (la), II, 97.
  Wagner Roberto, — 107. 231. 232. II, 38. 99. 100. 102 e seg.
    148. 162. 167. 169 e seg.
  Wagneriani, II, 99. 100. 150. 168 e seg.
  Waisik, II, 87.
  Wald Jean Teofilo, — 108. 276.
  Waldmann (la), II, 153.
  Wallis, — 269.
  Walter cant., II, 78, 232.
  Walter di Stolzing, — 119. 262.
  Walter Scott, II, 140.
  Walter scrittore, — 252.
  Wanhell, — 236.
  Warton’s, II, 241.
  Wasielewski, II, 159.
  Weber, — 160. II, 22. 97. 102.147. 179. 182. 206
  Weichsel-Billington Elisabetta, (Vedi Billington).
  Weiss (i), II, 239.
  Weldon (la), II, 233.
  Wellington, II, 214.
  Wenrik, — 91.
  Wert (de) Giac., — 111.
  Weyrauch, II, 160. 232.
  Wiesselberg, II, 117.
  Wilhem, — 299. 302. 305. II, 179.
  Willaert Adriano, — 101. 102.11 1. 179. 262. II, 61.
  Willard, — 277. II, 91.
  Willhorst Cora, II, 233.
  Wilt (la), II, 178. 231.
  Winen Anna, II, 230.
  Winffen cant., II, 232.
  Winter, — 231.
  Wirtenfeld C., — 159.
  Wittgenstein (princ.), II, 252.
  Wiziak Emma, II, 231.
  Wolf (i), II, 239.
  Wolfio, — 87.
  Worms, — 118.
  Wrisberg, II, 22.
  Wynne Edith, II, 232.

  Y.

  Yivanoff, II, 13.
  Yo-King, — 12.

  Z.

  Zabiaurre m., II, 158.
  Zaccaria m., — 100.
  Zacco, II, 17.
  Zacconi Luigi, — 182. 205.
  Zacchino Giulio, — 182. 184. 185. II, 61.
  Zacharia, II, 88.
  Zalluski Carlo, — 278.
  Zambelli G., II, 229.
  Zanardi, II, 89.
  Zanata Domenico, — 239.
  Zanellato Giac. colonn., II, 60.
  Zanetti Antonio, — 209. 295.
  Zanettini Antonio, — 156.
  Zani (Vedi Giani).
  Zannini (conte), II, 111.
  Zanotti (i), II, 238.
  Zantani, — 183.
  Zappasorgo Giovanni, — 182.
  Zara Gio. Batt., — 239.
  Zarini, m., II, 53. 153.
  Zarlino, — 37. 97. 102. 111. 140. 142. 178. 179. 186.
    265 e seg. 272. II, 59. 61. 136.
  Zavertal (la), II, 97.
  Zavertal Venceslao, II, 65.
  Zegri, — 104.
  Zelanda (Nuova), — 278.
  Zelter C. F., — 305. II, 119. 182.
  Zeno Apostolo, — 37. 123. 156. 178. 267.
  Zescevich Andrea, II, 117. 272.
  Ziani Pier Andrea, — 206.
  Ziggioti mons., II, 243.
  Zingarelli Nicola, — 228. 237. II, 46 e seg. 141. 156. 192. 204.
  Zingarle Francesco, II, 20. 70. 117.
  Zoboli, II, 229.
  Zoja A., II, 64.
  Zoncada, — 63.
  Zoroastri, — 247.
  Zuccarini G. B., — 182.
  Zucchelli Achille, — 103.
  Zucchelli Andrea, — 103.
  Zucchelli (i), II, 239.
  Zucchelli m., II, 68.
  Zucchetto, — 100.
  Zucchini, II, 229.
  Zulati Francesco, — 108.



NOTE:


[1] Ediz. G. Ricordi.

[2] — Questo si riferisce ad alcuni curiosi dettagli della Storia
musicale. Ne’ secoli undici, dodici e tredici, non si studiava
la musica fuorchè col soccorso della voce. Gli allievi destinati
specialmente al canto, erano, in questo studio, diretti dallo stesso
maestro, che loro avea appreso il solfeggio.

Talvolta, e per isfuggire alle difficoltà che nella nomenclatura delle
note presentava il sistema delle _Mutazioni_, allora in vigore, al
nome delle note si sostituiva una vocale. Da questo modo impiegato
per caso, nacque l’uso, ora sì comune, d’insegnare indistintamente
col mezzo del vocalizzo, e la musica e il canto speciale. L’odierno
sistema non sembra a prima vista che la continuazione dell’antico;
eppure l’applicazione ne è essenzialmente diversa. Allora
nell’insegnamento del solfeggio il maestro con attente precauzioni
preveniva tutte le viziose abitudini che avrebbero potuto nuocere
ai futuri studj del cantante. Egli lo invigilava nella emissione
della voce, nell’articolazione del nome delle note, nel modo di
respirare; lo rendeva famigliare ad un sentimento puro e corretto
della musica, ecc. In seguito si applicava, col mezzo di esercizj
speciali e vocalizzati, allo sviluppo completo di tutte le qualità
della voce; e si avea ricorso alla _messa di voce_, al _portamento_,
al _trillo_, al _gruppetto_, alle _smorzature_, ecc. Adesso lo studio
della musica e quello del canto non sono più affidati ad uno stesso
maestro, e il primo è spesso il preparamento incompleto o vizioso del
secondo. Inoltre, scomparse ora interamente le difficoltà dell’antica
nomenclatura, nulla avvi che ci costringa a sopprimere i nomi delle
note ed a privarsi per tal modo del mezzo il più efficace di istruirsi
nella lettura musicale. Finalmente il vocalizzo, usato come unico
esercizio per lo studio delle difficoltà materiali del canto, presenta
degli inconvenienti che ci poniamo a sviluppare. — (_Prefazione al
metodo di Emanuele Garcia_).

Anche il maestro Carelli, nel recente suo metodo, segue in gran parte
le osservazioni del Garcia, sugli inconvenienti da lui suaccennati
quando, avendo posto esso Carelli per base della educazione vocale il
_colpo di glottide_, mostra la fallacia dell’insegnamento che comincia
dalla _scala tenuta_ e dalla messa di voce. Mostra dannoso lo studio,
che si fa col _solfeggio cantato_, e col _vocalizzo_. Egli separa,
con sistema logico, lo studio di un processo da quello di un altro,
prescrivendo esercizj speciali per l’intonazione per posar la voce,
svilupparla, unire i registri, variare il timbro (colore). Quando poi
l’allievo si è reso padrone del suo organo, lo consiglia a studiare il
solfeggio _vocalizzato_, per passare al _sillabato_, come istradamento
alla unificazione della parola col canto.

[3] Vedi _Dizion. Mus._ di Rousseau. — _Voix._

[4] Metodo pubblicato intorno al 1840 col nome di Lablache, ritenuto
non suo. — _Douze leçons de Chant moderne_ di Rubini.

[5] Cattaneo Eustachio, _Frusta musicale_, 1856.

[6] P. Parisini, Bologna. R. Stabilimento Felsineo L. Trebbi, 1870.
_Principj elementari di Musica_.

[7] Tradotto in Venezia da Luigi Rossi e Pietro Tonassi.

[8] Pregiate sono le 6 cantate e 18 ariette a voce sola di Gerol.
Crescentini.

[9] Vedi anche _Discorso sulla Musica nel sistema educativo_, di Poli
Giacinto, 1872.

[10] _Folkesane og Melodier Samlede og udigione._ Copenhague.

[11] Io noterò in proposito la libertà degli antichi, riscontrata
nei varj usi dei cantori secondo che loro dettava la natura, libertà
confermataci dalle rappresentazioni delle antiche imagini, quali,
i cori d’angeli delle pitture Belliniane, ed il famoso bassorilievo
dell’imitator di natura Della Robbia, che lascia distinguere il tenore
dal basso, dall’atteggiamento differente delle labbra. Vedi anche
retro, nelle osservazioni fisiologiche degli antichi, ed ivi a pag. 45
(Parte 1.a), sul dipinto di Robert; e a pag. 296.

E quivi ripeterò un precetto del maestro Albanese, scritto ad una sua
allieva nel 1773: «Specialmente nei passaggi la bocca non deve fare
movimento alcuno, tocca alla gola d’agire e null’altro. Sopratutto fate
bene attenzione che una volta emesso il suono della voce, esso resti lo
stesso fino alla fine del passaggio... Cantate senza stento, e secondo
naturalezza... tutto ciò che dà nell’esagerato spiace, ed è contrario
alla dolcezza del contegno... siate modestamente ardita nel cantare,
evitate le smorfie, e rammentatevi che un viso sorridente fa sempre
piacere.»

[12] Vedi retro, pag. 46 e seg., sulle osservazioni fisiche degli
antichi.

[13] Autore delle Opere: _Saul_, _Francesca da Rimini_, _la Duchessa di
Bracciano_. Di molti Oratorj, Messe e Cantici sacri di classico stile
in cui specialmente emerse; e di un recente _Metodo di contrappunto_.

[14] Al r. Conservatorio di Milano si insegna: Lingua italiana —
Storia universale — Letteratura poetica — Strumenti di corda, da fiato
— Pianoforte, organo ed arpa — Canto — Armonia, contrappunto, fuga e
composizione — Declamazione — Storia della Musica, corso inferiore e
superiore.

[15] Anche la Grisi e l’Antonietta Brambilla sono allieve del Lamperti;
e da quella scuola, la Fabbrica, la Strepponi, ed altre valenti. Di
Lamperti padre, è pure allievo il tenore palermitano cav. Vincenzo
Andreoli-Stagno, La Rosen-Babet, Ida Corani e Carola Jury. Isabella
Alba allieva emerita di Francesco Lamperti, aprì testè in Milano
una scuola collettiva di canto e di declamazione, e ci diè tosto la
Dos-Reis ben riuscita.

[16] Lichtenthal. _Diz. della Musica_.

[17] _Encicloped. Music._

[18] _Pensieri e riflessioni pratiche sul canto figurato._ Milano 1777.

[19] Prof. Salvatore De Castrone — Marchesi. Vienna 25 luglio 1870, al
giornale _La Scena_.

[20] G. Rossini, alla signora Matilde de Marchesi, Passy de Paris, 3
luglio 1863.

[21] Lettere sulla _Imitazione teatrale francese_, e sulla _Musica
francese_.

[22] Lettera a D’Alembert, tom. II, pag. 449.

[23] Nota finale alla lettera sulla _Mus. franc._ Tomo 15, pag. 406.

[24] Bologna. Marsigli e Rocchi editori, 1864. Tale operetta fu
tradotta dall’italiano in lingua spagnuola da D. José Maria de
Goizueta, e pubblicata a Madrid, 1869, dove l’autore la dedicava
alla scuola nazionale di Musica. Allievo del suo metodo è il tenore
Aramburo.

[25] _De la fatigue de la voix dans ses rapports avec le mode de
respiration._

[26] Rubini venduto all’impresario Barbaia in Napoli come secondo
tenore, fu levato di scena come incapace di sostenere una parte
secondaria.

[27] In pochi mesi morirono i Direttori di tre fra i più importanti
Conservatorj musicali d’Europa. Mercadante e Auber autori d’opere
teatrali applauditissime, lasciarono in poco floride condizioni
gl’Istituti rispettivi. Il Conservatorio di Bruxelles governato
dal Fètis, illustre per storici libri e didascalici, più che per
componimenti, è considerato come uno dei migliori Istituti musicali
dei nostri giorni, e dà ottimi fruiti, malgrado alcuni difetti, che
lo stesso Fètis avea avvertiti, ed ai quali il Governo belga recherà
rimedio. Debole sovra tutto vi è la scuola del canto.

[28] Da Genova, 5 gennajo 1871, al cav. F. Florimo archivista del
Conserv. di Napoli.

[29] Vedremo appresso altre assennate proposte di provvedimenti pel
riordino de’ Conservatorj, di G. A. Biagi.

[30] Nato nel 1797, allievo e successore di Zingarelli, maestro a
Novara dal 1832 al 40, morì direttore del Conservatorio nel 17 dicembre
1870.

[31] Vedi sua _Relazione ed offerta_, 1.º maggio 1868.

[32] _L’Opinione_ di Firenze, 16 gennajo 1874, n. 16, in Append.
D’Arcais.

[33] Questo giovane maestro della banda del 76.º regg. d’infanteria
diede in questi giorni a Napoli con bel successo l’opera _Camoens_.

[34] Trieste 1870.

[35] Relazione di F. Filippi, Genn. 1871. _Sull’esperimento annuale
delle Scuole popolari._

[36] Il cav. Alb. Mazzucato, Udinese di nascita, 1813, Milanese per
dimora e vita artistica, eletto quivi direttore nel 1872.

[37] _Progetto di Riforma dei Teatri musicali italiani_, di A. Ferrary
Rodigino. Venezia, Tipi Passari-Bragadin 1844, pag. 66.

[38] Vi stabilì cattedre di: 1 Grammatica, 2 Letteratura italiana, 3
Storia, 4 Geografia, 5 Letteratura poetica e drammatica, 6 Storia della
Musica, 7 Elementi di lingua e prosodia latina, 8 Lingua francese, 9
Calligrafia, 10 Aritmetica.

[39] Pel 1872 è proposto un _Mottetto_ per sole voci, fuga a sei parti
e tre soggetti.

[40] Francesco D’Arcais, _Rassegna musicale_. Dalla _N. Antologia_,
settembre 1870.

[41] Dei tanti suoi allievi in quello strumento divenne professore
distinto Antonio Rota, organista in san Marco, 1820.

[42] _Solfeggi per voce di soprano col suo basso, ad uso della nobil
donna Maria Venier._ Nella Bibliot. Marciana, raccolta Contarini.

[43] Vedi _Biografia del Colonnello Giacomo cav. Zanellato_,
dell’Autore. Venezia 1871.

[44] Francesco Fapanni, _Venezia nelle canzoni e nella musica sacra_.
Monografie Veneziane, IV (1871).

[45] _Storia della Musica sacra nella già Cappella Ducale di san
Marco dal 1318 al 1797_, di Francesco Caffi veneziano, presidente
dell’Istituto Filarm. che fu in Venezia. Tip. Antonelli 1854.

[46] Vedemmo per gli antichi veneti compositori già formata, fra le
prime, un’orchestra alla cappella di san Marco. Gli antichissimi
strumenti musicali di chiesa, avanti l’organo, si chiamavano il
rigabello, il torsello, il ninfale. Usavansi anche l’arpa e la tiorba.

Era l’incumbenza d’un Donaducci, e poscia d’un Fedeli sonar sul violino
un melodioso a solo all’elevazione della messa; e durò quest’uso fino
all’anno 1692.

L’ultimo sonator di tiorba in san Marco fu un Bartolomeo Brigadi, morto
nel 1748. Il maestro Baldassare Galuppi riordinò poi l’orchestra, che
era composta di 35 strumenti. Costavano ducati annui 1150. Erano:
12 violini, 6 viole, 4 violoncelli, 5 violoni, 4 oboe e flauti, ed
altrettanti corni e trombe. Il famoso concertista Nazari, allievo di
Tartini era capo orchestra; questa riuscì allora la migliore d’Italia e
servì poscia a modello per le orchestre teatrali.

L’istesso Tartini vi suonò per buon tempo.

Ritiensi che v’abbia cantato Alessandro Stradella (benchè non se ne
trovi memorie), famoso cantore di chiesa, la cui storia pietosa il
Carrer immortalò in una _ballata_, ch’è certamente fra le più belle del
lirico veneziano.

[47] In Vicenza sono frequenti le voci di tenore, e come tali
s’acquistarono bella fama teatrale, Gennaro, Confortini, Castellani,
Fantoni, Viani, e in oggi il Piccioli, Vanzan.

[48] Anche Antonio Spadina fu maestro di canto a Como, che, divenuto
pazzo, s’uccise nel 1869.

[49] L’_Adelinda_, 1.ª Opera posta in scena a S. Marino. Settembre 1872.

[50] Non sarebbe nuovissima la stranezza di un tal
concerto-pirotecnico, da un altro italiano essendo stata già tentata
fin dallo scorso secolo e in più opportuno teatro. Fu il celebre Sarti
che, essendo maestro della imp. cappella a Pietroburgo, in occasione
della festa ivi celebrata nel 1788 per la presa di Okzakow, compose
un _Tedeum_ che fu eseguito nel Castello Imperiale da numerosi cori e
grandi orchestre, a cui talvolta formavano base i colpi di cannone di
differente calibro, collocati nella corte del Castello e tirati a tempo
e assegnati ad intervalli.

La tradizione del Sarti, anche in questo, non è stata perduta in quel
paese. In un gran trattenimento campale tenuto nel 1836 a Krasnoë-Selo,
nei dintorni di Pietroburgo, una gran parata alla fine delle manovre
fu chiusa con un guerresco canto, la cui introduzione era formata dai
colpi simultanei di 120 cannoni, che poscia a intervalli battevano
il tempo a una massa innumerevole di cantori di tutti i reggimenti,
sostenuti dalle bande, da due corpi di trombe e 600 tamburi.

Lo stravagante esperimento del Sarti, fu ritentato da Carlo Stamitz,
violinista a Norimberga.

Poi anche a Reims nella circostanza dell’incoronazione di Carlo X, il
celebre Le Seur collocò il cannone nel suo ammirabile coro _Per vicos
ejus cantabitur alleluja_.

[51] Vedi: _Ragguagli sulla Cappella musicale di S. Petronio_, e
ricerche e documenti e memorie sulla storia dell’arte musicale in
Bologna, dal secolo 14.º a mezzo 16.º, del cav. Gaspari, socio della
Deputazione di Storia patria per le provincie di Romagna, 1870.

[52] Vedi retro, _Principj elementari di Musica_ del Parisini.

Anche un Marchesi e un Zucchelli furono in passato riputati maestri
cantori, col celebre Tadolini. (Vedi Vol. I, pag. 298).

[53] Leonardo De Carlo, direttore del Teatro Bellini, morì nel febbrajo
1872. Adesso compongono nuovamente in Palermo i maestri, Gaetano
Impallomeni, e Giovanni Avolio.

[54] Fra questi: l’Oliva-Pavani, il Petrovich, il Navary.

[55] Morto (1870).

[56] Angelo Cestari, autore del _Cleto_, avea istituita una scuola
sociale, 1863, ma immatura morte lo tolse, e la scuola si spense, 2
agosto 1869.

Andrea Galli, veneziano, autore dell’opere _Varbeck_, e _Il Duca di
Foix_.

A. Aloysio pubblicò un suo _Nuovo sistema di Notazione musicale_, 1872.

Francesco Malipiero autore delle opere: _Alberigo da Romano, Linda
d’Ispahan_.

[57] Una celebre messa di _requiem_ compose per l’Accademia di santa
Cecilia in Roma, altre ne avea apprestate per le solenni esequie a
Rossini, in cui tutti i grandi compositori concorsero.

Di spartiti teatrali scrisse ed eseguì a Venezia, il _Ferramondo_ sua
1.ª opera: _Mastino_, pel baritono Superchi (1841); Gli _Avventurieri_
(1842); _Amleto_ (1847); _Elisabetta di Valois_; la _Puta onorata_, e
quella in dialetto d’ultima sua invenzione. I suoi manoscritti furono
per coletta acquistati a decoro del Museo Civico. Anche a Napoli
scrisse Canzoni, essendo ivi allievo di Donizzetti.

[58] Vedi _Principj Anagogici_ dell’Autore. Cap. V. Venezia, tipi
Naratovich, 1865.

[59] Vedi Gamba, sul Veneziano dialetto.

[60] Un di questi veneti trovatori che s’accompagnava col mandolino, e
che per trent’anni fu acclamato, è disegnato da Eugenio Bosa nell’album
di Ernesta Viezzoli sorella a Daniele Manin.

[61] Felice Venosta, nel racconto _Salvator Rosa_.

[62] G. A. Biaggi, _Sul riordinamento de’ Conservatorj_. Nella _N.
Antologia_, Aprile 1871, Fasc. IV.

[63] Il primo morto nel 1870 d’anni 57, il secondo nel 1871, d’anni
60. Anche un Carlo Plantada vecchio ed amabile compositor di canzonette
morì a Parigi nel 1871, d’anni 84.

[64] La Olimpia Bertrand è allieva di Ronzi Stanislao; la De Filatoff,
di Luigi.

[65] Ivi morì nel 27 luglio 1872, d’anni 85.

[66] Vedi _Mondo Artistico_, n. 35, settembre 1870.

[67] È istituita in Pest anche una nuova _Società musicale Ungherese_,
che ha per organi speciali i Giornali: _Zenészeti_, e _Capok_.

[68] Ebio Suleiman, schiavo persiano affrancato, scrisse un libro sulle
_Cantatrici schiave_ (755-775, e. v.).

[69] Vedi Ariosto, _Orlando Furioso_. Can. XVI, 71, 72.

[70] Il primo era pagato a monete d’oro per ogni nota: e leggesi di
Kalem, che costò al califfo Waisik 10,000 pezze d’oro, poichè fu inteso
a cantare una sua composizione.

[71] Vedi Tharik-el Khamiecy, _Biogr. de Mahometh_.

[72] _Storia del Califfato._ Anno 840.

[73] Oggi il Foschini, e l’Antonietti, già maestro in Russia, si fanno
onore a Messico.

[74] Recenti dati indicano la esistenza attuale de’ seguenti teatri:
Italia, 358. Francia, 337. Germania, 191. Spagna, 168. Austria, 152.
Inghilterra, 150. Russia, 44. Belgio, 54. Olanda, 23. Svizzera, 20.
Portogallo, 16. Svezia, 10. Danimarca, 10. Grecia, 4. Turchia, 4.
Rumenia, 3. Egitto, 3. Serbia, 1. In America, soltanto a New-Jork
v’hanno già 18 teatri. Nell’Indie 6, e 4 nell’Australia.

[75] Vedi in principio di quest’Opera, e in seguito, colla scorta
dell’Indice, alla parola _India_; e per _la rivelazione istintiva
dei canto all’umanità, spontanea come quella del linguaggio_, vedi
specialmente a pag. 19 e seg. 55, 169, 283, Vol. I.

[76] Vedi: _Viaggi nell’Indie_.

De la Loubère, _Description du royaume de Siam_. In cui avvi una
raccolta di Canzoni indiane. Amsterdam, 1700.

William Bird, _Ricerche Asiatiche_, 1770.

G. W. Johonsom, _Il Canto nell’Indie_.

Carlo Edward Horn, _Melodie Indiane_ etc. Londra, 1813.

Sòma, _Tratt. de Sangita Narayana, Ragavibodka, e Sriraga_, modi di
canto.

Willard, _Tratt. di Mus. dell’Indostan_. Calcutta, 1834.

[77] Relazione di viaggio del signor Marras, autore dell’_Edenland_,
nelle Indie. Novembre 1871.

[78] Giuseppe Sarti, fratello al tenore di questo nome.

[79] Lauro Rossi nel Messico sposava Isabella Obermayer prima donna di
que’ teatri, da lui perfezionata nel canto.

[80] «In Inghilterra sono innumerevoli le scuole e le istituzioni
dirette allo scopo educativo musicale. La pubblicazione di opere
didattiche vi è incessante; la fabbricazione degli strumenti è portata
a un grado di sviluppo e perfezionamento straordinarj, e sulla
via dell’arte vi è una moltitudine di cultori numerosa e fitta da
sorpassare di molto il bisogno. I cantanti si moltiplicano a vista
d’occhio, i compositori crescono a dismisura; le opere teatrali
pullulano. Ma non sì tosto lasciamo i bassi fondi dell’arte, e
dalla cifra, dalla nota, dal meccanismo noi saliamo sulle regioni
dell’estetica, e volgiamo alla manifestazione di concetti e di
sentimenti, alla esplicazione di tipi ideali, noi ci troviamo quasi
nel vuoto. Nessun segno di vita, nessuna potenza.... Qui non vi fu mai
un compositore insigne dal quale i giovani maestri possano prendere le
mosse. O questi si appoggiano alle astruserie tedesche, o rimangono
fermi in quelle composizioni slavate che si appagano d’inezie e son
poste al servizio di frivoli intendimenti. La fantasia di questi
maestri inglesi si trova impedita dalla forma... la loro melodia è una
cantilena continua di vieta forma, di vieto effetto, che non tocca,
non esilara, non commuove, non infonde nella sua esecuzione quel fluido
affascinante che viene dalla ispirazione, dall’estro.»

_Corrispondenze da Londra alla Scena_, 23 settembre 1872, del Prof. G.
M. Sersanti.

(Simili impressioni ebb’io a provare in Inghilterra).

[81] Lo Schira, autor della _Lia_, ebbe l’incarico di compor la Cantata
pel _Festival Birmingham_, 1872, da eseguirsi con 2000 voci.

[82] L’illustre musicista Carlo Maria barone di Weber morto a Londra in
età d’anni 40, il 5 giugno 1826.

[83] Figlio di Antonio Gordigiani cantante d’opera, esordì di soli
anni otto, a Monza nel 1803, in una _Cantata_ composta dall’Asioli pel
vicerè Eugenio Beauharnais. Studiò a Milano. Organizzò un istituto
per l’insegnamento del canto a Ratisbona. Passò professore a Praga,
dove potè vantare fra i molti allievi: i tenori, Lukes, Duban, Vecko,
Bachmann; i bassi, Scitky, Vogel (questo ora maestro di canto corale
allo stesso istituto); le donne Beranek, Meitl, Hlava, Gevviner,
Dubsky de Wittenau (poi vedova Taux che fu direttore del Motzarteo
di Salisburgo), baronessa Riese, Engst, Richter, D’Ilsenau-Röder; la
Zavertal, le Stolz, la Boema, la Soukup, la Wagner (morta a Lipsia.)
Compose alcune Operette, e Canti sacri, e da camera. Imitò Ricci perfin
nell’abbigliamento e nel cappello a larghe falde da questi usato. Ebbe
un fratello minore, Luigi Gordigiani, pure abile compositore di canti
per camera, onde fu chiamato lo Schubert italiano, e che morì a Firenze
nel maggio 1860.

Anche uno Smetana, compose il _Dalibor_, per quel teatro boemo, alla
cui direzione fu preposto, e fu in Praga insegnante.

[84] Famosa a Berlino la _Cantata_ del Buzzola scritta per
l’anniversario del Re (1843), delle nipoti del quale era maestro di
canto.

[85] Colui che scrisse a Vienna nel 1788 la famosa _Tarare_.

[86] A Berlino, maggio 1870, avvenne il fatto di questo fra i più
riputati direttori d’orchestra della Germania.

[87] L’_Italie_, 22 settembre 1870, ammirando le melodie di _Giannina e
Bernardone_ riprodotte a Firenze.

[88] Hérold, parigino, dopo la sua opera _Zampa_ di stile rossiniano,
promettea molto; quando nel 1833 lo colse immatura morte a 42 anni.

[89] «Questo colosso ebbe un battesimo puramente italiano, e lo
confermano, il _Crociato_, _Romildo_, _Costanza_, e le più belle pagine
dei suoi capolavori quali, il _Roberto_ e il _Profeta_...

Se Meyerbeer avesse avuto tutta la spontaneità e tutta la ispirazione
del genio di Rossini, se avesse saputo fare in 28 giorni un _Guglielmo
Tell_, non si sarebbe affaticato certamente a rintracciare nelle
combinazioni strumentali, negli artificj complicatissimi del
contrappunto, nei nuovi e sorprendenti effetti acustici e nei rovesci
armonici, la maggior parte delle sue glorie; dissi la maggior parte,
perchè altra e non piccola la deve alla melodia, al canto ed alla
ispirazione.»

O. Camps y Soler, _Lettera trascendentale_. Bilbao 1870.

[90] Editore De Giorgi, 1870.

[91] _Lettera_ 30 agosto 1870, pubblicata nel _Mondo Artistico_,
4 settembre n. 35, in risposta ad altra ivi inserita il 28 agosto
precedente.

[92] _Lettera_ da Norbamby a Luigi Ferrucci.

[93] Fra queste, quella di Napoli in precedenza al Congresso Pedagogico
del 1871, di cui fu relatore il m.º Caputo col lavoro surriferito.

[94] _Discorsi_ relativi, in occasione del primo esperimento di Canto
corale tra soldati nel quartiere di S.t Eustorgio in Milano, il 20
marzo 1870. _Florilegio di Conferenze popolari._ Serie 2ª vol. 5.
Milano.

[95] Vedi _Bollettino Consolare_ da Stockolm del Conte Zannini.
Settembre 1870, sull’Istruzione primaria ecc.

[96] Lettera 7 settembre 1870 da Milano, al prof. Varisco, inserita nel
_Mondo Artistico_ N.º 56.

[97] Salvatore Sarmiento, maestro della cappella napoletana, morto nel
1869, coi colleghi Luigi Graziani e Luigi Siri, mancati pure intorno a
quel tempo, seguirono pei sacri cantici l’orme del Mercadante.

[98] Come il prete Tomadini da Cividale al concorso di Francia, così
il cav. Stefano Tempia di Torino fu premiato nel 1870 a Firenze per un
religioso _mottetto_.

[99] Antonio Cagnoni, allievo del conservatorio di Milano, e maestro di
cappella a Vigevano, il compositore di tanti pregiati spartiti teatrali
ben noti.

[100] Fra gli _Albo musicali_ pregiati pei valenti scrittori, e la
copia elegante di siffatte composizioni, distinguesi quello che da
parecchi anni pubblica il simpatico giornale milanese _Il Trovatore_.
Più recente e che diffonde musica da camera, è _Il Pacini_, giornaletto
di Napoli.

[101] Questo serto di canti, edito a Milano, contiene: l’_Onomastico_,
cantata di Bazzanella; il _Ritorno dalla Scuola_ e la _Ricreazione_,
cori di Dolzan; _Fuggite la menzogna_ e _Amore ai poveri_, canzoni di
Pincherle; _Il Mattino_ e i _Tre Amori_, di Mazza; _La madre_ e _Festa
giovanile_, duetto e coro, di Sinico; _Canto degli Operaj e degli
Amici_, cori di Wiesselberg; _Viole_ e _Tripudio campestre_, canzoni di
Zescevich; _La Gioventù_ e _Misericordia pei vecchi_, di Zingarle.

[102] _L’Augurio, Laude, la Scuola, Preghiera pei genitori, ai
Benefattori_, cantate.

[103] Milano, Edit. Canti, 1871.

[104] O. Morandini, ed E. Paoletti; Firenze 1871.

[105] G. A. Biaggi, _I Conservatorj ed i loro ordinamenti. N.
Antologia_, aprile 1871.

[106] _Discorso_ alla Accademia Olimpica, 1871.

[107] Alla _Scena_ 1. settembre 1870, N. 14.

[108] Vedi specialmente a pag. 46, vol. I; 23 e seg. di questo.

[109] Nel 1812, Rossini scrisse le prime sei Opere: _L’Inganno felice,
Ciro in Babilonia, La Scala di seta, Demetrio e Polibio, La Pietra
del Paragone, L’Occasione fa il ladro_, le quali tutte gli fruttarono
franchi 1800.

[110] L’avv. Filippo Cicconetti pubblicò a Prato nel 1859 la biografia
del Bellini, di cui poi si valse il cav. Florimo ne’ suoi cenni sulla
Scuola musicale di Napoli.

[111] Vedi _Backismo in Germania e Palestrinismo in Italia_, di Filippo
Saraceno, 1872.

[112] D’altri valenti maestri e autori di canti di quel tempo mi
vien fatto in corso d’opera di accennare: qui però non trascuro di
ricordare: Francesco Gnecco autor dell’_Arsace e Zamira_; il Mellara,
_dei Gauri_; il cav. Morlacchi, di _Tebaldo e Isolina_; Carlo Coccia,
di _Catterina di Guisa_; Ottone Nicolai, _del Templario_; Antonio Ronzi
tenore e autor della _Luisa Strozzi_; Mario Aspa speciale autor de’
Buffi napoletani, fra cui _I due Forzati_, il _Muratore_; ed Enrico
Sarria, suo seguace, autor della _Carmosina_ e del _Babbeo_; Andrea
Galli, Ruggero Manna, Gualtiero Sanelli, Angelo Villania, Graffigna,
Vincenzo Mela, Nini, Achille Peri, Vaccaj.

[113] _Revue de deux Mondes_, 1848.

[114] Vedi _Biografia di Giovanni Pacini_, dell’avvocato Filippo
Cicconetti.

[115] Soter II. (Tolomeo) 85 anni av. Cr. ordinò un coro di 600 persone.

Vedi retro a pag. 86-90 (Cairo ed Asia).

[116] In questo primo e clamoroso avvenimento musicale in Egitto,
tutto fu in mano agl’italiani artisti: dopo il maestro Verdi colmato
d’oro, fu Bottesini direttore alla orchestra; Devasini maestro ai
cori; Mongini tenore, la Pozzoni prima donna, la Contarini, Medini
basso. Trionfo dell’arte italiana nel Cairo. Riprodotta tosto a Milano
(Carnevale 1872) col maestro Faccio, Zarini dei cori, Fancelli tenore,
la Stolz e Waldmann prime donne.

Dopo l’_Aida_ di Verdi, diedesi al Cairo nella medesima stagione altra
nuova opera dell’italiano maestro Pasini, _Ivanhoe_, coronata essa pur
di successo.

[117] Di Luigi Ricci, vedi _Biografia_, Trieste 1860; e Vincenzo
Ermenegildo Dal Torso, _Scena_, Venezia 1869.

[118] Federico Ricci, ora stanziato a Parigi, vien collocato, con
Cagnoni e Pedrotti, nella triade vigente, che mantiene l’onore della
vera _opera buffa_ italiana.

Vincenzo, il terzo de’ fratelli, datosi all’arte del canto, corse,
paesi molti con romantiche avventure, e da ultimo trovate fortune ed
alte protezioni, forse fatali, nel Brasile, colà si ammogliò, nè altro
si seppe di lui.»

[119] Cagnoni che a 19 anni si diè la fama col Don Bucefalo.

[120] De Ferrari autore del _Pipelet_, del _Menestrello_, e d’altri
spartiti.

[121] Torino, tip. Bianchi, 1872.

[122] Questi e tutti i nostri migliori compositori viventi fanno a gara
di produrre al teatro nuovi lavori.

Enrico Petrella napoletano, noto autor del _Marco Visconti_, _Giovanna
II_, _Duchessa d’Amalfi_, _Assedio di Leida_, _Promessi Sposi_, sta
scrivendo per le scene di Roma.

Apoloni dà in oggi a Trieste il nuovo _Gustavo Wasa_; mentre dicesi
inteso a musicare il medesimo soggetto anche il Marchetti.

Odoardo Perelli appresta pel teatro La Scala la nuova opera _Viola_.
Braga un’altra. Nuovi giovani compositori pure s’attentano. Onde anche
il prossimo anno 1873 non s’appresenta scarso di frutta.

[123] Milano 1870.

[124] Scrittore di cose musicali, pubblicò recentemente: _Apuntes
Filologico-Musicales_.

[125] _Corriere d’America._ Genn. 1871. Venne insignito dell’ordine
della Rosa col grado d’Ufficiale, e le insegne in brillanti.

Nell’anno stesso il Rossi fu trasferito al massimo collegio di Napoli
(pag. 54).

Ora il Gomez dà la nuov’opera _Fosca_ pel gran teatro di Milano.

[126] Distinguansi gli esimj musicisti, come questo, e Feliciano David,
Maubuè, e Paladilhe in Francia, e tanti altri stranieri pure influenti
al musicale progresso, quali, Moscheles, Chapin, Heller, Rubinstein,
Kaus di Francfúrt, dai genj atti a trovare le vere e più felici
espressioni del canto. E vogliasi ricordare, che noi veniamo accennando
anche fra i compositori moderni, come facemmo pei passati, quelli che
meglio riuscirono al canto.

[127] C. Loewe mori a Kiél nel 1869; il figlio è marito alla cantatrice
M. Deslin.

[128] _Sulla Educazione degli Uomini_, Discorso dell’Autore, per un
Congresso di Donne. Tipi Naratovich, Venezia 1865.

[129] Articolo — _Speranze_ — del maestro Carlo Sessa, da Modugno 23
aprile 1870; Vedi _Scena_ n.º 49, anno stesso.

[130] _Lettera trascendentale sulla Petit Messe di Rossini_, 1870.

[131] _La musica dell’Avvenire_. Lettera di Mel Balbi al periodico di
Trieste il _Teatro_, 10 settembre 1870, Padova. Inserta al num. 140.

[132] Rassegna musicale, dalla _Nazione_. Firenze, 3 dicembre 1871,
num. 337.

[133] Rassegna musicale, dalla _Opinione_. Roma, 21 novembre 1871, num.
322.

[134] Rassegna musicale, dalla _Perseveranza_. Milano, 6 novembre 1871,
num. 4317.

[135] Lettera di Riccardo Wagner, al maestro Arrigo Boito, da Lucerna,
7 novembre 1871.

[136] _I miei Ricordi_, 1, c. 10.

[137] _Le cinque Piaghe_ di Sphor; come Mercadante musicò per grande
concerto le _Sette Ultime parole di Cristo_.

[138] _Sacred Harmonic Society_, in Londra.

[139] Schumann suggerisce inoltre di cantare in coro particolarmente
nelle parti di mezzo.

[140] Questo canto solenne fu presentato al nuovo imperatore Federico
Guglielmo di Prussia nel marzo 1871.

[141] Vedi sopra sul Metodo Galin-Paris-Chevè.

[142] Vedi Maineri, _Conferenze Popolari_.

[143] Vedi _Letteratura Turchesca_, dell’ab. Giov. Batt. Toderini,
vissuto a Costantinopoli, 1800. Ivi sui modi di canto Indo-Persi; da
cui appariscono derivati quelli dei Turchi, come la maggior parte de’
loro istrumenti musicali. Erano anche più riputati i persiani per le
belle voci, molto più rare fra i turchi; ed i Dervì oriondi di Persia
erano più abili, sia nei canti religiosi a coro, come nei danzanti ed
in quelli seducenti d’amore. Notisi anche che l’uso della castrazione
de’ cantori ebbe origine in Asia, e specialmente fra Medi e Persi.

Vedi retro, a pag. 86 e seg. dei canti turchi e loro esecutori.

E vedi dei _Castrati_ al Vol. I, pag. 47 e seg.

[144] «Cette capricieuse divinité eut des démelés avec le grand
Frédéric, dont le despotisme _éclairé_ s’appesantissait aussi bien
sur les cantatrices que sur les philosophes et les poètes. La Mara
fut obligée de se sauver de Berlin comme Voltaire, et faillit être
appréhendée au lit par un soldat aux gardes.» (Scudo).

[145] Dei principali cantanti, che oltre alle celebrità specialmente
accennate in questa opera, interpretarono le composizioni teatrali dei
maestri dello scorso secolo, e della prima metà del presente, daremo
in fine un elenco. — _Cantanti dal_ 1750 _al_ 1850. — Seguirà poscia
un’altro elenco — _Cantanti dal_ 1850 _a questi giorni_ (1872), — oltre
ai contemporanei che saranno nominati nel testo.

[146] Vedi Veluti a pag. 51, Vol. I; 60 e altrove di questo, come
all’Indice generale. Egli cantò ultimamente a Londra nel 1826. Si
ritirò al Dolo ove morì.

[147] Rossini del 1810 al 1813, compose meglio che dieci nuove opere
in Venezia; come per quel nuovo teatro la Fenice, giunse all’apogeo
scrivendo la _Semiramide_ (1823).

[148] Questa degna emula della Catalani, diva dell’epoca di Paisiello,
fu proava del vivente maestro e scrittore Beniamino Carelli.

[149] Questo epiteto _strano_ dato a Pio IX anche in altra nostra
opera storico-militare: _I Fasti della Guardia Nazionale del Veneto
negl’anni_ 1848-49 meritò una lunga lettera di N. Tommaseo che fu resa
nota colle stampe. (Tip. Grimaldo, Venezia 1868, volumi due).

[150] Parigi, ottobre 1849.

[151] _Gazzetta musicale_ di Lipsia, 21 agosto 1816.

[152] Nata a Roma nel 1818; abbandonò le scene nel 1850; morì
d’apoplessia a Neuilly ai primi maggio 1867.

[153] I tre nobili figli della Catalani eressero di recente un
magnifico monumento nel Cimitero famoso di Pisa, _alla gloria ed
alla virtù_ della lor madre. Lo scultore Costoli ideò sotto al Genio
della musica, raffigurato in santa Cecilia, l’Angelo della Carità che
soccorre alla Indigenza.

La unità e l’espression del concetto in quel magnifico monumento
sarebbero, a mio vedere, meglio riuscite, se le due figure inferiori,
l’angelo e la mendica, non fossero state addossate una contro l’altra
alla base della statua primaria, ma in altra postura avessero pure
contribuito all’armonia delle linee piramidali.

[154] _Stand ich auf hohen Bergen_....

[155] De Rosa morì nell’età d’anni 90 in Napoli, agosto 1871.

[156] Carlo Negrini, il tenore del sentimento, morto giovane, ha busto
nel primario teatro di Roma.

[157] Fin dallo scorso secolo il genio di Haendel avea suscitato gli
spiriti musicali del re Giorgio, che cooperò alla formazione dei cori
ed alla coltura delle voci in Inghilterra. Anche i Reggenti di Francia
attesero nuovamente alla musica, quali il compositore della _Pantea_, e
il successor Carlo VI.

[158] Fra questi la principessa Maria Amalia, distinta poetessa e
compositrice, morta li 17 settembre 1870.

[159] Dalla Villa Norbamby.

[160] Anche di cantori serio-comici, altri nomi si troveranno nei
citati due _Elenchi_ in calce a questa Opera.

Siccome poi di tali cantanti specialmente nei passati tempi, furono
tanto feconde le scuole di Napoli, chi ne volesse rilevare gli
allievi, troverà guida nei _Cenni storici sulla Scuola Napoletana_, da
quell’Archivista cav. Florimo ora pubblicati.

[161] Per le due prime sorelle, allieve del conservatorio di Praga
Luigi Ricci componeva due grandi _Cantate_ sulle parole del Metastasio,
1845. La terza d’attual rinomanza.

[162] Per altre cantatrici e cantori alemanni e boemi contemporanei,
vedi anche a pag. 83 e 97 di questo Vol.

Vedi poi il 2. Elenco in fine dell’Opera, come si richiamerà in
appresso, oltre ai nominati nell’opera stessa e segnati all’Indice
generale.

[163] Non parlo delle terre conterminanti all’Italia, dove il genio del
canto s’è fatto quasi congenere, come già dimostrai per l’Illirio, e
come nella Dalmazia i cui cantanti si confondono coi nostri, quali il
suddetto Mazzoleni, lo Stermick Simeone di Zara, e tant’altri. Vedi 2.
Elenco, alla fine dell’Opera.

[164] Balfe G. F. autor della _Zingara_ e della _Figlia di San Marco_,
e d’altre 20 operette, decesso nel 1871, d’an. 62.

[165] Baroilbet Paolo morto fra le barricate di Parigi 1871.

[166] Prima di questi erano stati rinomati tra i francesi: la
Branchu, la Damoreau, il Garat, il Nourrit padre, Dérivis, Levasseur,
Boulangerr, Latour, Vachon, ed altri che troveransi in seguito e
negl’Elenchi rispettivi.

[167] Codecasa Giovanna, contemporanea di Paisiello e Cimarosa e
prima a cantar le lor opere, morì quasi centenne a Milano nel novembre
1869. Parimenti la Caravoglia-Sandrini Luigia morta d’anni 88 pur nel
novembre 1869.

[168] Carlotta, soprano di questo nome, morì di parto a Torino a 35
anni, 28 giugno 1872.

[169] Teresa e Carolina Ferni celebrità artistiche anche quali
violiniste.

[170] Altri nomi di Cantatrici e di Cantori resi famigerati negl’ultimi
anni, o tuttora dediti ai teatri, potranno riscontrarsi in fine
dell’Opera, nella 2. Nota _Cantanti dal_ 1850 _a questi giorni_.

[171] Anche adesso si ha una prima donna Aurelia Gabrielli.

[172] Morì non ha guari a Milano, Enrico Crivelli baritono, da non
confondere col tenor di quel nome.

[173] La Adele Ruggiero d’Udine rimasta vittima dello scoppio del
vascello che riconducea dalle Spagne la compagnia italiana, assieme
alle compagne artiste Giuseppina Flory, Rosa Mariotti, Ottavia Papini,
giugno 1872.

[174] La Vitali conta fra i parenti la Ronzi, la Ferlotti, Scalese,
Fraschini.

[175] Quattro sono in oggi i soprani di questo nome.

[176] De’ Trovatori, dei bassi tempi e di quelli medioevani, oltre a
quanto fu da noi dello nella prima parte dell’opera (vedi Indice), si
veda anche: Bernardo di Ventadour fra poeti provenzali del sec. XII;
e di Tannhäuser fra quelli alemanni del sec. XIII. — Millot. _Hist.
litt. des Troubadours,_ pei francesi. — Warton’s. _History of English
Poetry_, pegl’inglesi.

[177] Nelle Memorie dell’Accademia Olimpica si ricordano nel 1582
certe sorelle Pellizzari figlie del Bidello, salariate con 20
ducati l’anno cadauna per le musiche dell’Accademia due volte alla
settimana occorrendo. Una Beatrice figlia di Antonio Veronese,
piffero stipendiato, la quale con Gerolamo suo fratello e Antonio
cugino cantava, rimunerati anche di 36 ducati pel fitto. Prè Girolamo
Pigafetta, regalato nel 1580, e nel 1585 di 24 scudi. I preti Zuane
e Antonio Magrè, zio e nipote. Francesco e Antonio Dal Liuto, prè
Zangiacomo Montecchio, Sigismondo organista del Duomo, Biasio Dall’Oro,
Bortolameo d’Arzignano, Vincenzo Dal Violino, Zuanantonio suo figlio e
Girolamo e Antonio germani, pifferi della città, retribuiti 50 ducati
l’anno, poi ad alcuni uno scudo il mese (1593-1600).

I rinomati compositori Alessandro Romano figlio di Paolo pur musicista
(1596), già citato a pag. 181, vol. I, e D. Leon Leoni che scrisse
le musiche per la strepitosissima barriera nell’Accademia del 4 marzo
1612, citato a pag. 103, vol. I, appartennero anche a quell’Accademia
con ben altra fama.

Vedi per tali memorie monsig. Ziggioti, e i Ricordi Accademici
letterarj offerti dall’attuale Preside Fedele Lampertico, § 5, p.
23. (Atti del Consiglio Accademico 5 marzo 1872). Tipografia Paroni,
Vicenza.

Vedi anche retro al vol. I, pag. 122, 123.

[178] Vedi retro a pag. 102, 131, 135, vol. I.

[179] Ai musici e donne di tal professione stipendiati, era concesso da
principio il solo titolo di Accademici Olimpici, ma senza voto, nella
maniera degli _absenti_. Ziggioti succitato.

[180] Vedi specialmente a pag. 247 vol. I, e pag. 27 e seguenti vol. II.

[181] Poi moglie al fu M.o Andrea Casalini, vicentino, autor della
_Sposa di Murcia_.

[182] Questo cantante e compositore di Trieste è autor dell’_Orio
Soranzo_.

[183] Del m.º Antonio De Zorzi che fu in Udine buon compositore.

[184] I nomi contenuti nel I volume non portano che una linea; gli
altri hanno la indicazione del volume II.

[185] Per altre Scuole qui in seguito non indicate specialmente, vedi
alle rispettive Nazioni e Provincie.



Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo
senza annotazione minimi errori tipografici.



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